TRENTASEI

Sono passati 36 anni e siamo ancora qua, già già.
Di Ustica sappiamo tutto o quasi, ma quello che sappiamo non porta a riparare alcuna ferita. E c’è quel quasi: il segreto di Stato, che ancora paralizza la parte più importante del nostro passato.
Ustica, certo, e non solo.
Se qualcuno non sapesse, può andare su questo sito, e finanziarlo. Il motivo?
Contiene “oltre 600mila pagine di atti giudiziari e parlamentari sulla sciagura aerea del Dc9 della compagnia Itavia precipitato nel Tirreno il 27 giugno 1980 con a bordo 77 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio.
Il sito è autofinanziato, non percepisce risorse pubbliche, non ospita inserzioni pubblicitarie e la sua unica missione è quella di mantenere viva la memoria su quanto accadde quella notte.
La raccolta fondi è stata promossa per migliorare i contenuti già disponibili e potenziare il database con documenti non ancora digitalizzati”.
Molte cose possono essere fatte per raccontare cosa è successo, o quel che possiamo dire sia successo perché sappiamo e non abbiamo le prove ultime. Intanto, ricordare che quei morti, ognuno con la sua storia, non sono stati gli ultimi di quell’anno atroce. E che ogni cosa, con le mille connessioni che si possono e si devono fare, non è ancora illuminata.
“Insomma a bordo c’era: un dentista, un commerciante di carni, c’era una laureanda in lingua dell’Università di Padova, una insegnante di scuola media, un operaio, c’era un’avvocatessa, un bracciante agricolo, un carabiniere in licenza… poi c’era due impiegati del Ministero delle Finanze, c’erano un ingegnere, alcuni pensionati, un giornalista di “Lotta continua”, un rappresentante di ditte dolciarie e fitofarmaci, un fotografo ambulante, il gestore dei laboratori di produzione dei gelati Nevada; un altro commerciante, c’era poi una laureata in ingegneria nucleare, un’agente di cambio, un’agente di commercio, un’agente di pubblica sicurezza, un impiegato dell’Ospedale militare di Palermo, una impiegata dell’Hotel De Palm; un piastrellista, una bracciante agricola temporaneamente baby sitter, un altro carabiniere in permesso, un assicuratore, un imprenditore edile, un manovale edile, poi c’era un ragioniere, c’era un geometra, c’erano alcuni studenti universitari, una impiegata di farmacia, un’albergatrice e poi un perito metalmeccanico, altri pensionati. Sì, e poi c’era anche una professoressa di analisi matematica e una borsista anch’essa in matematica e c’era anche un commerciante in tessuti, e poi c’erano due tecnici della SNAM progetti. Un viaggiatore di commercio, sì e poi, un capo ufficio di banca e un impiegato di banca, poi c’era un maresciallo della Guardia di Finanza in pensione; poi c’erano 13 bambini, di cui due neonati, tutti in attesa di futuro e occupazione nella vita, una hostess, un’assistente di volo, un comandante pilota e un primo Ufficiale copilota al posto di servizio. A me sto aereo, sembra un treno, con tutti questi mestieri, non è più nel 1980, che gli aerei li guardi passare e basta, è quel momento che li puoi cominciare a prenderli, puoi decidere costa un po’ di più…”
(da I-TIGI, racconto per Ustica, di Daniele Del Giudice e Marco Paolini)

2 pensieri su “TRENTASEI

  1. Grazie per questo post. Io conosco una famiglia che ha perso un figlio/fratello/zio, un ragazzo di 25 anni, un medico. Non aveva figli o mogli, non aveva ancora una famiglia sua, ma la sua morte ha innescato una serie di eventi che hanno creato importanti (a volte fatali) cambiamenti all’interno della famiglia.
    Penso spesso a quante vite sono state cambiate a causa di una tragedia (come Ustica, ma anche le tantissime altre stragi che hanno segnato la storia del nostro Paese). Non solo per i morti, dunque, ma soprattutto per i vivi, a volte, anche loro, solo sopravvissuti …
    Stefania

  2. Grazie Loredana, guarderò il sito da te indicato. Mi piacerebbe che, quando vi sarà possibile, veniate tutti numerosi a visitare il museo di Ustica, qui a Bologna. E’ un luogo incredibile, dove il dolore e la rabbia sembrano mescolarsi ad una strana sensazione di vita sospesa.

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