Qualcuno, ieri, in occasione dell’anniversario della strage di Ustica, a cui abbiamo dedicato la discussione di apertura a Fahrenheit, sottolineava l’inutilità, o forse il narcisismo della memoria e di chi la sollecita. Buona per chiacchiere, convegni, spettacoli, film, romanzi. Blabla. Fuffa.
Possibile che abbia ragione, possibile che non l’abbia.
E’ vero, purtroppo, che la memoria fin qui ha prodotto discorsi, convegni, spettacoli, romanzi, film, e che nonostante tutte quelle parole non si sia arrivati ad avere giustizia.
Ma senza quelle parole, quei discorsi, quei romanzi, quei film, ricorderemmo Ustica? E non solo Ustica, certo.
Se non avessimo, per esempio, il blog di Antonella Beccaria, che da anni ostinatamente tiene le tracce di quanto è avvenuto negli anni oscuri, cosa sapremmo di quegli anni? E, sì, credo che sapere sia importante per il nostro essere oggi nel mondo, creature ancorate al presente, immerse nel flusso di pareri e contropareri, di opinioni dotte o d’impulso, o tutte e due, che poco ci cambiano e poco cambiano la realtà.
Se non esistessero coloro che, come Fabrizio Colarieti, fermano la memoria anche di episodi che giudichiamo marginali, quegli episodi verrebbero inghiottiti da un tempo convulso, in cui già fatichiamo a ricordare cosa è accaduto domenica, figurarsi, per dire, nel luglio 1995.
Il 19 luglio 1995, per fare un solo esempio, muore un agente del Sismi, Mario Ferraro. Che c’entra Mario Ferraro? Cosa ha a che vedere con Ustica? Con Ustica forse nulla, ma con quanto si muoveva nel 1980 moltissimo. Dal sito di Fabrizio Colarieti:
“Nel 1980, infatti, a soli 31 anni è tenente e passa dall’Esercito al neonato Sismi. Quattro anni dopo viene trasferito nel delicatissimo Ufficio sicurezza interna, la divisione, che sulla carta non esiste, ma che di fatto controlla il lavoro di tutti gli 007 del servizio segreto militare. Il suo ufficio è mascherato, si nasconde dietro l’Istituto per le Relazioni italo-arabe con sede in viale del Policlinico, ed egli riferisce direttamente al direttore, l’ammiraglio Fulvio Martini, nome in codice “Ulisse”, detto il “bastardo”, appena nominato ai vertici del Sismi. Mario Ferraro è un agente operativo, un esperto di affari internazionali, in particolare di traffici di armi ed esplosivi; ha al suo attivo un gran numero di missioni all’estero, un po’ in tutto il mondo. Nel 1986 viene inviato per tre mesi a Beirut dove indaga su traffici di armi. Al suo ritorno viene mandato all’ottava divisione, quella che si occupa di sicurezza industriale e di armamenti, che ha sede proprio in viale Pasteur. È un uomo riservato e sa il fatto suo. Quando viene trasferito a Forte Braschi fa carriera, da capitano a maggiore, lavorando nella divisione controspionaggio, la prima dove si occupa alacremente di flussi migratori. Porta avanti indagini importanti: nel 1993 si reca a Johannesburg, in Sud Africa, e nel 1994 in Somalia. All’Ufficio Sicurezza Interna gli passa per le mani ogni genere di porcheria commessa in giro per il mondo dai suoi colleghi ed è proprio lì che tra il 1984 e il 1988 comincia a inimicarsi un gran numero di persone. Nelle sue memorie, dove sono ben descritte le guerre e le gelosie interne al Servizio segreto militare, si comprende che lui era l’uomo giusto nel posto sbagliato. Nel luglio 1995, poco prima di morire, stava organizzando una missione in Albania: aveva programmato di recarsi a Tirana, dopo le ferie, intorno al 7 agosto. In quel periodo stava lavorando a qualcosa di delicato, forse un traffico tra l’Italia e il Paese delle Aquile, ma nessuno arriverà mai a scoprire di cosa si trattasse”.
Quel 19 luglio, Mario Ferraro viene trovato morto dalla compagna. Una strana, stranissima morte:
“Mario Ferraro è impiccato con la cinghia dell’accappatoio, lunga poco più di un metro assicurata al tubo di un appendiasciugamano fissato al muro a circa un metro e venti dal pavimento. La sua posizione è anomale e sospetta, infatti, sebbene egli sembri seduto a terra, il fondo schiena non poggia sulle mattonelle, ma è sospeso a circa dieci centimetri. Il cappio gira attorno al collo dell’ufficiale, è serrato e gli segna la pelle”.
Il resto leggetelo qui.
Perché cito questa storia, una sola su mille? Perché credo che la memoria non sia chiacchiera, e non sia inutile. Permettetemi di riportare quel che scriveva nel 1985 Franco Fortini, sempre lui. Sarà superfluo, ma io ci credo:
“La memoria non è ricordo di fatti, di episodi e neanche documentazione di clima, di temperie, di contesti come ho sentito ancora oggi da molti ripetere; memoria è soprattutto giudizio storico, è giudizio storico quello che fa capire quello che abbiamo davanti e non soltanto quello che abbiamo alle spalle”.
La memoria è la responsabilità a far vivere e RIvivere “possibilmente” per non dimenticare e frugare (ostinatamente) nelle crepe lasciate. Si. Sono d’accordo anche con te. Mirka
Lo scandalo – amesso che sia possibile oggi davvero stupirsi ed indignarsi con il candore che era delle anime in tempi meno complessi – è nel fatto che si possa anche ipotizzare la memoria abbia smesso di avere un senso. Dimenticare di ricordare è fare un passo nella direzione del nulla.