TRY, GO, FIGHT

Preparatevi, perchè in questo breve post andrò a ingrossare la schiera di chi è molto preoccupato per il nuovo governo.  Liberi di dirmi “ma stavamo peggio prima”, di accusarmi di mugugno e disfattismo, e anche di populismo, se piace, ma prima leggete.
Dunque, quel che si sa è che la riforma del lavoro cui il premier Monti ha fatto cenno nel discorso di ieri, si basa sulla proposta di Pietro Ichino. Flex security.  La stessa proposta che lo scorso 12 novembre, sul Riformista, un dalemiano più dalemiano di D’Alema come Matteo Orfini aveva bollato così: 
“… per quanto riguarda la proposta di riforma del mercato del lavoro proposta da Pietro Ichino, non è certo quella la soluzione. La proposta di Ichino sarebbe un atto di violenza contro il welfare. Nominare Ichino ministro sarebbe, per il Pd, una vera e propria provocazione che avrebbe un solo, unico,  fine: far saltare il governo Monti. Le posizioni di Ichino sono largamente minoritarie nel Pd. Il governo Monti deve avere il profilo di personalità autorevoli e di garanzia, non certo di pasdaran”.
Cosa prevede la riforma del lavoro delineata da Ichino? Due tipi di contratto, detto in sintesi:  i vecchi restano tutelati dall’articolo 18, i nuovi assunti no. Se volete, c’è il podcast dell’intervista di ieri a Fahrenheit.

qui
Qual è il personale timore? Che invece di riconoscere come tutela e diritto quanto sancito negli anni Settanta (che a parere di autorevolissimi giuristi – Stefano Rodotà, per dire – vengono ritenuti il decennio in cui la Costituzione trova la massima attuazione) si intenda sbarazzarsene come di un ingombro. Lo affermò, in un celebre intervento, Giulio Tremonti. Ma anche nel libro di Ichino si trova la stessa affermazione a proposito dell’eredità sessantottina.
Non sono un’economista, certo. Dunque mi permetterete di esemplificare visivamente la sensazione che ricevo in questi giorni da letture, visioni, ascolti. Non il “try and go” di cui parla Ichino. Bensì, “eat and go”. Non sto parlando di caste voraci, ma di adesione a un modello economico che si è dimostrato fallimentare. Vogliamo chiamarlo – l’intuizione è del mio geniale consorte – modello Pac-Man?

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Ps. Ammetto lo sconforto anche per la  lettura dell’articolo odierno di Natalia Aspesi. A proposito di quanto detto nel post di ieri. Copio e incollo l’articolo medesimo.
“Non ragazze ma signore. In età non da show girl ma adatta alle competenze di ministro. Tailleur un po´ squadrati possibilmente con pantaloni comodi. Bei tacchi solidi e non a spillo. Pure nonne, e alle spalle decenni di studio, lavoro, impegno, carriera, successo professionale. A parte guidare tre ministeri essenziali, dovranno con la loro presenza e il loro lavoro rassicurare le altre donne, ormai prostrate dall´idea che se sei femmina la vita finisce a trent´anni, che studiare non serve, che se hai una figlia carina devi consigliarle la professione di escort, che se non passi dalla tivù non sei nessuno, che solo il chirurgo plastico ti rende uguale a tutte e quindi appetibile, che fare il ministro dipende dalle belle gambe, dal letto di qualche potente, da una cascata di capelli rossi o dalla capacità vanesia di rimbeccare con sarcasmo nei talkshow anche mitissimi interlocutori. Forse dovrà passare un po´ di tempo prima che ci si abitui a queste signore normalissime e potenti, sconosciute e autorevoli, e che magari, come ministri tecnici della crisi ci faranno soffrire, forse sorridendo e forse no. Però: il nuovo ministro dell´Interno, signora Anna Maria Cancellieri potrebbe essere più severa, se non altro per la lunga carriera prefettizia, del suo predecessore Maroni, che pure, nell´affanno generale dei tempi bui, pareva tra i suoi colleghi il più volonteroso; il nuovo ministro della Giustizia, signora Paola Severino, prende solo adesso il posto che le era stato offerto quando Alfano fu promosso segretario del Pdl, poi occupato da Nitto Palma come un´ombra, di cui infatti è impossibile ricordare la faccia; il nuovo ministro del Lavoro, politiche sociali e pari opportunità, la signora Elsa Fornero, sostituisce da sola due ministri, uno fin troppo bello e giovane, Mara Carfagna, l´altro forse fin troppo malinconico e pio, Sacconi; anche se pure nel nuovo governo da questo lato non si scherza. Tutte e tre le signore sono ultrasessantenni, essendo comunque l´età media dei componenti di questo governo 63 anni, dieci in più del precedente E comunque signore di aspetto giovanile pur senza civetterie, inutili nel loro mestiere, che sollievo! Più vicine come aspetto, abbigliamento, sorriso, determinazione e autorità, ad Angela Merkel piuttosto che alla più scomposta e apparentemente neghittosa Brambilla, passata sui banchi di governo vistosamente ma anche inutilmente.
Ci si stava abituando, purtroppo, tra le tante malinconie o rabbie vissute negli anni passati e si spera irripetibili, che governare per una donna voleva dire esibirsi in televisione, spalancare gli occhioni sul nulla della propria insipienza e spesso arroganza, e soprattutto ubbidire al capo, in eterna adorazione e in quella totale sudditanza che viene considerata ovvia virtù femminile. D´altra parte solo la benevolenza del capo, nata dal disprezzo per le donne, le aveva fatte assurgere alle poltrone di governo dal nulla, seguito da un corso accelerato di politica della durata di tre giorni. Venivano premiate soprattutto perché carine e si sa che l´ex premier tali vuole le donne, anche fuori dal boudoir.
Del resto, le signore e signorine ministro non si potevano definire più incompetenti della maggior parte dei maschi, oltretutto quasi sempre bruttissimi, scivolati sulle loro poltrone per meriti modesti e talvolta inconfessabili. Non si riesce a immaginare che le nuove tre ministre di massima autorità, non sappiano se necessario tenere testa al presidente del Consiglio Monti, non tanto disubbidendo quanto convincendolo delle loro ragioni. Certo sarà un duro esercizio per noi, ridotti anche senza volerlo ad audience, rinunciare alle grazie televisive, qualsiasi castronata dicessero, delle nostre molte precedenti ministre e sottosegretarie, anche le più birichine (Meloni, ministro piccino alle Politiche giovanili), le più rovinose (Gelmini, ministro presuntuoso all´Istruzione), le più antipatiche (Bernini, ministro scocciato alle Politiche europee), le più lacrimose (Prestigiacomo ministro frustrato dell´Ambiente), le più fotogeniche (Carfagna ministro inascoltato delle Pari opportunità), le più noiose (Brambilla ministro non raffinato al Turismo), la più terrorizzante (Santanchè sottosegretario di cattivo carattere, all´Attuazione del programma).
Cosa ci ricorderemo di queste signore, viste e riviste migliaia di volte, in quella che è stata la lunga drammatica fiction di questi nostri drammatici anni? Forse i tanti servizi fotografici pubblicati da Chi, che togliendo quel decoro che se non loro, almeno la loro carica esigeva, le hanno mostrate come qualsiasi divetta, avvinte nell´ombra della notte a fidanzanti o sconosciuti, oppure intente a qualsiasi cosa (cucina, abito da sposa, gioco con cani, battesimi, accanto alla zia suora, alla partita) purché non fosse la loro carica. Quando il settimanale mondadoriano avrà finito la serie di servizi sulle nuove ministre donne, riprese, loro consentendo, in quanto amorevoli nonnine (oppure intente a picchiare selvaggiamente i nipotini, se al tuttora padrone facesse piacere per suo cattivo umore, renderle odiose alle lettrici di cuore tenero), di chi mai, in politica, potrà parlare? Forse delle ministre giubilate ma sempre vigili e pronte, mentre si fidanzano, si sposano, fanno figli, preparano la tavola di Natale, fanno regali agli orfanelli afgani.”

105 pensieri su “TRY, GO, FIGHT

  1. Consiglia il patchwork di letture di Foucault proposto da Wu ming1? Fa male perché si nasconderebbe dietro un dito. Ma ha letto questa argomentazioni? L’elogio dell’insipienza che si spaccia per elogio della critica?
    Studiare, studiare e ancora studiare. Poi, forse, eventualmente parlare.

  2. Secondo me le cose sembrano andare ancora peggio.
    Prima di leggere questo post, nel mio blog ( http://riflessi-one.blog.kataweb.it ) ho scritto
    Sono bastati due giorni e i giochi sembrano essersi subito chiariti. Purtroppo per chi si aspettava qualcosa di nuovo dal governo tecnico del Professore.
    La solita storia del bastone e della carota, col bastone sempre sul groppone dei soliti pochi disgraziati italiani che pagano le tasse, mentre la carota sempre a riempire le tasche dei soliti furbetti della “casta”.
    Come si può interpretare altrimenti il fatto che alla Camera Monti dice che i sacrifici “verranno richiesti a quelle categorie che finora hanno dato di meno” quando non parla di patrimoniale mentre le prime indiscrezioni sulla riforma delle pensioni sembrano prevedere “Due regole per ridurre le disparità del sistema pensionistico. La prima consiste nell’introduzione del contributivo pro rata per tutti dal 2012: anche chi nel 1995 aveva già almeno 18 anni di contributi (per lo più i nati tra il 1950 e il 1962) vedrà applicato non più come ora il sistema retributivo (pensione calcolata sulla retribuzione) per tutti gli anni, ma un sistema misto: retributivo fino al 2012 e contributivo (pensione calcolata sui contributi versati) dal 2012 in poi. La seconda consiste in una età di pensionamento per tutti non inferiore ai 63 anni. Poi chi va in pensione tra i 63 e i 65 anni subirà delle penalizzazioni automatiche, mentre riceverà un premio chi lo farà tra i 65 e i 70 anni.”? (Repubblica 18 novembre 2011)
    Per Monti una delle categorie che finora hanno dato di meno è quella di chi ha iniziato a lavorare a 18 anni pagando sempre e regolarmente i contributi? Per cui gli pare giusto ed equo che prima di maturare il diritto alla pensione lavorino per 47!!!!! anni? Altrimenti penalizzazioni automatiche?
    E io che pensavo che le categorie che finora hanno dato di meno fossero del tipo:
    evasori totali
    spacciatori
    miliardari (di euro) con decine di ville e palazzi principeschi
    calciatori
    pensionati da 31.000 euro al mese
    gioiellieri e ristoratori con negozi con 10 vetrine, suv, villa con piscina e reddito la metà di un operaio
    A sentire le reazioni di tutti i componenti la casta politica (in modo straordinariamente bipartisan a parte la Lega, il che è tutto dire) sembrerebbe che diano tutti ragione a Monti e non alla mia lista.
    Vuoi vedere che ad essere egoista sono proprio io che penso male di chi evade le tasse senza ritegno mentre non capisco di essere un privilegiato a poter lavorare 47!!!! anni prima di poter arrivare al traguarso della pensione?
    Se è così domani straccio la tessera del sindacato e mi trasformo in un onesto evasore fiscale.
    Datemi un incoraggiamento.
    Auguri Italia.

  3. A me Foucoult Loredana non mi smuove di un passo. Non mi ha smosso in passato nel mio modo di agire e collocarmi professionalmente ogni volta che mi tirano fuori la solfa dei rapporti tra cura della psiche e potere non mi smuove adesso. Non lo trovavo utile in quelle circostanze, non a me e a tanti che si fanno il culo in quattro e non mi pare utile adesso in questo collage, di cui per altro mi fido poco, perchè mi fido poco delle citazioni a pezzi. Non condivido la questione del mettere subito qualche cosa al posto del nemico. Non condivido quel processo logico perchè impedisce di fare delle utili discriminazioni, utili per chi le vive sulla propria pelle. E tu fai bene a fare quella citazione perchè quel modo mentale e coerente con questo tuo adesso, almeno per quelle che risulta da quella sintesi ed è una posizione come un’altra, oltre che esattamente il punto di convergenza mentale su cui qui siamo in disaccordo. O’ vedi che siamo in disaccordo?
    Detto ciò io Hommequerit lo trovo molto maleducato – che passi – ma anche un tantino inutile. Nessun intellettuale serio quando partecipa a uno scambio tra persone mediamente e sufficientemente informate con l’argomento “studiare di più”, se non altro perchè è un triste sintomo di mediocrità, una difesa triste dall’incapacità di mettersi li e dire: ascolto quello che hai da dire per poi aggiungere sono d’accordo, oppure non sono d’accordo. Il resto è rumorosa fuffa.

  4. Probabile che ormai sia fuori tempo massimo, ma fa lo stesso.
    Ai sostenitori della “cura Ichino” faccio presente due cose empiricamente verificabili anche senza leggere Foucault.
    1. Ricette come quelle proposte da Ichino – meno diritti formali e meno stabilizzazione in cambio di più lavoro, anche se precario, e più diritti di fatto rispetto a quelli scritti sulla carta – sono state il motore primo del boom economico di sistemi-paese quali Spagna e Irlanda. Quanto siano durati i miracoli spagnolo e irlandese, e come si trovino adesso le economie di quei paesi, mi sembra sia sotto gli occhi di tutti. E che nessuno, oggi, abbia il coraggio di nominare la “reaganomics”, qualcosa vorrà dire.
    2. Nella realtà i diritti goduti non sono quasi mai l’intera gamma di quelli prescritti; le condizioni materiali (i rapporti di produzione o le relazioni di potere, se queste locuzioni non suonano troppo marxiste o foucaultiane) costringono ad un abbassamento della soglia reale: il casco in edilizia è formalmente obbligatorio, ma basta girare con la testa rivolta alle impalcature per rendersi conto di quanti edili ne sono privi. Ogni riforma – ad esempio quelle di Brunetta e Sacconi, “micro” nella forma ma sostanziali nei contenuti – che abbassa la soglia giuridica in nome di un “prendiamo atto della realtà dei fatti” abbassa di conseguenza anche la soglia reale dei diritti.

  5. Scusa Girolamo, ti farei un paio di domande relative al tuo intervento, perché la mia ignoranza in economia è notevole e non riesco a seguirti.
    Il discorso “meno stabilizzazione in cambio di più lavoro” penso sia la definizione di “flessibilità”, concetto che in teoria non conosco ma nella pratica (italiana) so quanto sia menzognero. Non capisco invece la formula “più diritti di fatto rispetto a quelli scritti sulla carta”: è un modo per tutelare i lavoratori visto che nessuno rispetta le carte (ossia contratti e leggi)? Immagino di no, visto che ne dai una valutazione negativa. Allora cosa significa?
    La seconda questione riguarda l’appunto su Spagna e Irlanda: come mai metti a causa del fallimento di questi due paesi proprio questa “cura Ichino”?

  6. Ekerot: la teoria “più diritti di fatto rispetto a quelli scritti sulla carta” è quella di Pietro Ichino (e, con parole più o meno simili, dai sedicenti “socialisti nel PdL”, in particolare Sacconi, Brunetta, Cazzola. Secondo loro, dal momento che un tot di diritti di fatto non sono applicati, tanto vale rinunciarvi in cambio di quella che chiamano “flexsecurity”. Quello che segue, secondo me, credo di averlo spiegato bene.
    I governi di Spagna e Irlanda (con diversi colori politici, in apparenza: in realtà, conservatori o social-laburisti che fossero, comunque adepti del credo del “lasciar fare alla globalizzazione”) hanno basato la crescita economica – che si è rivelata un ciclo breve periodo – sulla generalizzazione dei contratti a tempo, o precari, o diversamente flessibili. In quei paesi la percentuale di lavoratori neo-assunti con contratti precari ha superato il 50%, ma all’opinione pubblica sembrava andasse bene: si parlava di tigre celtica o di miracolo irlandese [NB: sull’Irlanda sto banalizzando, perché la crisi ha avuto un doppio ciclo; il che vuol dire, e credo sia istruttivo, che i governi irlandesi sono stati recidivi nel seguire non una, ma due volte le sirene del FMI e delle grandi società d’intermediazione finanziaria]. In tempi diversi, le stesse cose hanno cominciato ad avverarsi anche da noi: detto altrimenti, questi gius-economisti che si credono all’avanguardia sono dei lemming che vanno dietro altri lemming già cascati dal fiordo. Il guaio è che, da bravi lemming, dietro loro ci siamo tutti noi.
    Ti/vi dò due link secondo me importanti sulla precarizzazione dei diritti e sulla crisi italiana, dai quali si ricava una lettura meno semplicistica e più analitica. Con un’avvertenza: questi studiosi a cui rimando sono 10 buoni anni, come minimo, che cassandreggiano sull’argomento.

  7. Mercato del lavoro: più flessibilità, meno disoccupazione. Una cosa su cui concordano la logica, il buon senso, mia nonna, i premi Nobel e tutte le evidenze empiriche da decenni.
    La flessibilità protegge i lavoratori più “deboli” (disoccupati), al limite facendo pagare il conto a chi gode di maggiori garanzie.
    Se la crisi dell’ Irlanda dipendesse dal suo mercato del lavoro, chissà la Danimarca dove sarebbe.
    La finanza molto più che il mercato del lavoro spiega, per quanto è possibile, la crisi. Non scherziamo.
    Per quanto riguarda la regolamentazione dei rischi, vale piuttosto la “regola di Peltzman”: ognuno di noi ha delle preferenze legate al rischio, se una regola comprime il nostro rischio su un versante, lo amplieremo su un altro.

  8. Allora, bisognerebbe chiedere a logica, buon senso, nonna ed eventuali premi Nobel come mai dopo vent’anni di flessibilità di fatto siamo sempre allo stesso punto. E come i paesi che hanno liberalizzato i licenziamenti non siano cresciuti in occupazione. Per esempio.

  9. Ho la sgradevole sensazione che alla base di alcuni commenti qua sopra ci sia questo assunto”Con i tempi che corrono bisogna accontentarsi di avere un lavoro, i diritti vengono dopo”.
    Vorrei proporre a coloro che la vedono in questo modo di andare in una banca con un contratto precario e richiedere un mutuo. se con i tempi che corrono la banca si accontenterà di un lavoratore precario e le garanzie verranno dopo, mi scrivano in che banca sono andati grazie!
    Certo il flessibile licenziato potrà dire alla banca “ehi calma ora la mia regione tramite il FSE finanzierà un corso dove aggiornerò le mie competenze”
    Ecco nel migliore dei mondi possibili forse si potrebbero applicare concretamente le teorie della flexsecurity…nel nostro mondo invece…

  10. Si sono visti i risultati della cosidetta flessibilità: precariato, instabilità, crollo della qualità, del mercato, perdita dei diritti e potere d’acquisto. Tanti promuovevano le società interinali come il futuro, la soluzione dei problemi, il modo per abbattere ed eliminare la disoccupazione. In realtà è avvenuto il contrario: il lavoratore ha stipendi più bassi perché col suo lavoro deve mantenere un manipolo di persone che di produttivo non hanno nulla e avere o non avere professionalità non fa alcuna differenza.
    Poi alle persone si continua a dire che devono accontentarsi, devono calarsi gli stipendi mentre il costo della vita aumenta, tirare la cinghia, lavorare di più per meno, accettare qualsiasi cosa. Ma così si arriva alla schiavitù: ecco qual è la considerazione che si ha degli individui, che grazie a questo meccanismo vengono messi ai margini della società e isolati, con tutte le conseguenze che ne insorgono (stascichi psicologici e in alcuni casi sempre più frequenti vere e proprie malattie).

  11. Più flessibilità, meno disoccupazione. Da sempre e ovunque, Italia compresa (ci siamo già scordati i tassi a due cifre?). Quindi non c’ è proprio da chiedere a nessuno, bisogna solo informarsi. Il nostro problema semmai è che la flessibilità è troppo concentrata (sui giovani).
    La crescita è altra cosa, mica dipende solo dal mercato del lavoro (magari!), specie quella di frontiera dei paesi avanzati. Dipende dall’ innovazione, altro problema. Ma il paese con le ASL che avrebbero chiuso il garage dove iniziava Steve Jobs, qualche idea in merito se la puo’ anche fare.

  12. Ok broncobilly se nella realtà è davvero come dici tu: più flessibilità = meno disoccupazione come è possibile avere come risultato un drastico calo dei consumi (come è avvenuto negli ultimi anni) e non una crescita?
    forse al di là degli schemi dovresti domandarti qual’è il vero potere d’acquisto di un lavoratore precario, quanto vale il suo contratto a livello sociale, quale tipo di welfare bisognerebbe affiancare ad una società basata sulla flessibilità, dovresti chiederti quali diritti un precario può rivendicare nella realtà quando si trova davanti il suo vero datore di lavoro.
    mi spiace entrare nel personale ma la domanda che mi viene spontanea è: ma tu di cosa campi? dove lavori? non voglio certo che tu risponda perchè logicamente sono affari tuoi, ma c’è uno scollamento tra i tuoi commenti e la realtà che io vivo tutti i giorni che mi lascia basita.

  13. Con i presupposti della flessibilità si ha solo instabilità e nell’incertezza le persone limitano le spese all’essenziale, con conseguente crollo del mercato e accentuazione della crisi. Invece di migliorare la situazione la si peggiora.

  14. @Lipperini
    Guardi che qui mancano davvero i fondamentali. Ma costa davvero molto a un umanista dire che non ne sa una mazza e non ha mai studiato (che non vuol dire leggere la divulgazione ma capire la materia)?
    Partiamo dal presupposto condiviso da angeli e diavoli che nel migliore dei mondi possibili ciascuno ha non solo un alto stipendio ma un rapporto di lavoro garantito dall’articolo 18 del caso. I sognatori si fermino pur qui (Io sono per il comunismo, lo dico subito a scanso di equivoci. Ma poiché la maggior parte del mondo non è organizzata in questo modo è meglio capire come sia fatta se vogliamo migliorare qualcosa).
    Io non so cosa leggete per credere alle tesi più squinternate ma Spagna e Irlanda non sono entrate in crisi per una precarizzazione contrattuale del proprio sistema giuridico dei rapporti di lavoro: non vi è nessuna correlazione ma propria nessuna perchè così parlando si scambiano cause per effetti. Al contrario, questa flessibilità contrattuale è ciò che ha permesso la creazione di un temporaneo boom economico attraverso l’allocazione finanziaria di capitali stranieri – capitali che se ne sono andati nel momento in cui i diversi sistemi bancari internazionali sono stati costretti a coprire le perdite dei propri bilanci per allocazioni di capitale sbagliato in altro luogo (a cominciare dai mutui subrpime americani che, lo ricordo ai manichei d’ogni tipo, nascevano come strumento positivo anche nei riguardi dei mutuari che senza una distribuizione sistemica del loro rischio insolvenza non avrebbero mai e poi mai potuto avere accesso per vie monetarie all’acquisto della prima casa. Lo ricordiamo agli analfabeti che non capiscono nulla della funzione della finanza e si mettono poi a latrare di qui e di là).
    Quelloche non volete capire è che i diritti di un articolo 18 non possono essere tenuti fissi facendo girare loro attorno l’economia. Dovete razionalmente capire che la precarizzazione italiana (e, progressivamente, occidentale) non è la decisione sadica di una fazioneche potrebbe risolversi altrimenti mandando al governo altre politiche. È la conseguenza di una diminuzione inesorabile della nostra crescita economica dovuta, come sapete tutti, all’entrata in scena di almeno 3 miliardi di nuovi soggetti produttivi in altri continenti.
    La nostra trasformazione in una società di servizi comporta che l’architettura del primario e del secondario le sia proporzionale. Tuttavia non è stato così. Ricordo che oggi il 67% degli occupati lavora nel terziario (Confcommercio 2008): questa evoluzione del sistema produttivo è certamente leggibile come un sinonimo di ricchezza. A differenza dei nostri amati Paesi scandinavi noi non abbiamo risorse energetiche sufficienti a costituire le nostre entrate nel primario. Tutto è a cascata. L’insipiente pensa a un modello di società basato sui servizi, si concentra sui welfare altrui, ne studia gli aspetti civici e culturali. E dimentica che quel sistema è sostenibile solo se sono soddisfatte determinate condizioni, a partire dai fondamentali energetici e minerari e se sono a credito o a debito.
    Signora Lipperini, comprendo che sia difficile capire la relazione articolata che lega anche la sua professione di speaker radiofonica con – per mero esempio – l’industria dell’acciaio, l’estrazione del petrolio, o l’agricoltura. Sono fortemente persuaso che lei creda che un sistema produttivo possa basarsi solo sulla sovrastruttura, per riprendere il nostro caro Marx. Invece non è così. Tutte le professioni umanistiche, ad esempio, nascono dal plusvalore dell’industria primaria e secondaria. Non sto dicendo che siano meno utili, si badi: la complessità di una società è proporzionale alla sua qualità di vita. Tuttavia se progressivamente riduciamo la produttività del primario e del secondario, a valle seguirà l’asfissia di tutte le altre professioni complesse, quali la sua.
    Alla stessa stregua funzionano i diritti. In tempi di vacche grasse è possibile concedere diritti più robusti. Ma se c’è carestia è inutile chiedere di mangiare la stessa quantità di cibo perché al massimo si sta recitando una preghiera. Il Governo Monti dovrà creare nuovi pascoli, ma per farlo occorrono lustri, non mesi. Nel frattempo la soluzione più razionale è rimettere in discussione la ripartizione della singola vacca tra le varie bocche. Legge universale: PRIMA si crea economia POI seguono i diritti.
    Per questo occorre sempre proporre alternative, altrimenti il nostro discorso è quello dell’artista e del poeta – ed è solo per queste due categorie che le parole di Foucault citate da Wu ming1 riacquistano senso e consistenza. Insistere ancora e sempre sui diritti non ci rende migliori degli altri, lo ha capito da sé spero; oggi è come lamentarsi che l’automobile non vada avanti se non c’è benzina nel serbatotio. È vano dire che è inaccettabile, su una vettura già pagata in cui abbiamo voluto i sedili in pelle e il sistema satellitare, scendere e spingere.

  15. “Prima economia e poi diritti”. Una curiosa interpretazione del comunismo, la sua. (peraltro, Hommequirit, la pianti di fare scenate: capisco che si senta irritato da tanti insipienti che non sono d’accordo con lei, ma si possono esprimere le proprie ragioni senza dare degli imbecilli a tutti gli altri. Altrimenti, non se la prenda se prima o poi qualcuno darà dell’imbecille a lei).

  16. @hommequirit posso almeno dire che mi girano se a scendere e spingere sono sempre gli stessi, cioè quelli che i sedili in pelle e il satellitare non lo volevano neppure?
    Che nell’attuale ripartizione della singola vacca ho il timore che a qualcuno improvvisamente spuntino due bocche?
    Che nell’ambito delle professioni complesse temo di più certi economisti, certa fantasiosa finanza e non chi “fantastica” su un’economia più equa?
    Vale per te la stessa domanda che pongo a broncobilly!

  17. Davvero? Ma Marx ci dice proprio questo: prima economia poi diritti. Dov’era lei quel giorno quando il prof spiegava la relazione tra struttura e sovrastruttura?
    Qaunto a chi mi dà dell’imbecille che le devo dire? Anche in questo thread qualcuno ci ha provato, io non ho abboccato alla provocazione e alla fine lei rimprovera me (che argomento a profusione) e non loro (che si limitano all’invettiva?)
    Se le interessano gli argomenti, gliene ho dati alcuni per cominciare a discutere senza fondamentalismi ideologici. Se al contrario le interessano i consensi, lo dica esplicitamente. Se poi vuol fare un gineceo, dica anche questo.

  18. Perché si deve parlare sempre che i lavoratori devono perdere diritti, accettare tutto, mentre con la crisi parlamentari, dirigenti non vengono toccati, anzi i loro stipendi aumentano?
    Qua, le solite classi (politiche, imprenditoriali) vogliono mantenere gli stessi guadagni e lo stesso tenore di vita che c’èra nei tempi migliori, poco importa se sulle spalle altrui: si parla di ridimensionamento, ma loro non devono essere toccati, sono la classe privilegiata.
    No, questo sistema è sbagliato, non devono esistere due pesi due misure.

  19. @hommequirit sarà che il giorno in cui spiegavano Marx ero distratta perché io l’ho sempre capita che economia e diritti dovessero andare di pari passo (altrimenti vedi alla voce rivoluzioni)
    Comunque non volevo dare dell’imbecille a nessuno, ne tanto meno provocare, ripeto rimango solo perplessa da quanto alcune teorie e argomenti citati rimangano distanti dalla mia realtà quotidiana, dalle storie che sento tutti i giorni, dalle esperienze di amici e parenti in diversi ambiti lavorativi e in diversi Paesi.
    Che sull’esperienza di poche persone non si possa costruire una teoria economica mia pare scontato, che queste quindi debbano tacere decisamente no!

  20. Tranquilla, Laura, sono io il bersaglio annoso di Hommequirit. Prima o poi si stufa.
    Il problema, Hommequirit, che quelli che per lei sono fondamentalismi ideologici per me sono basi etiche irrinunciabili. Che vuol farci?

  21. @loredana già l’etica, questa si che è una materia prima rara! L’altra sera ho visto in tv Stefano Rodotà presentare il suo libro “Elogio del moralismo” e mi è venuta la tentazione di comprarne un centinaio di copie da spedire come regalo di Natale a certi soggetti!!!

  22. @Laura Atena
    Ma l’esperienza quotidiana di ciascuno non è che il risultato di una complessità che non può essere compresa per analogia: non puoi studiare il moto delle singole particelle per giungere alla legge del moto browniano. Eppure quella legge generale ed astratta, che non è analogia del singolo moto di una particella, ci dice in modo statisticamente affidabilissimo come sarà il moto globale di tutte le particelle messe assieme.
    Faccio un solo esempio accessibile all’esperienza quotidiana di ciascuno di voi per far comprendere da una prospettiva diversa la relazione tra economia e diritto, introducendo l’importanza della vituperata finanza.
    Prendiamo il sistema previdenziale per cui ciascuo versa ogni anno una quota per ricevere dopo tot anni un’altra quota.
    Detto così una persona potrebbe chiedersi perché non infilare il proprio contributo nel proprio salvadanaio fisico personale invece che nel porcello dell’INPS. Una perdita o un guadagno, quindi?
    Il punto diventa quindi capire come sia possibile avere indietro una quota mensile corrispondente al costo della vita, quindi rivalutato all’inflazione futura. E qui entra in gioco l’importanza della finanza e dell’economia.
    Io posso insistere sul Diritto a avere indietro una certa cifra in un determinato tempo ma senza finanza come farò a riprodurre il valore monetario dei miei contributi rivalutati all’inflazione (il che vuol dire allocando in nuovi mercati vecchie risorse?) Io verso il mio contributo in una scatola a cui non ho accesso e a cui ha invece una procura un istituto di diritto finanziario come può essere un fondo comune. Questo isituto fa dei calcoli e mi promette un rendimento certoa dati parametri. Nel frattempo l’istituto usa la procura per prendere il tuo denaro e finanziare l’economia allocandolo nell’impresa X sotto forma di capitale (e quindi un’obbligazione) o come partecipazione ai suoi utili (e quindi un’azione) o in una richiesta di denaro da parte di uno Stato sovrano (e quindi un obbligazione di Stato)- i più svegli avranno intuito la parentela anche terminologica tra obbligazione in diritto e in economia.
    L’altra alternativa, quella INPS vigente, è dare il tuo contributo pensionistico di lavoratore nell’oggi trasformandolo di fatto e immediatamente nell’erogazione del contributo al pensionato che riscuotesempre nell’oggi. Perché? Perché è il modo più semplice e meno rischioso finanziariamente: pago oggi con i tuoi soldi il diritto di un altro, confidando che domani il tuo diritto sarà soddisfatto dal contributo di un altro. Può sembrare uno shcema Ponzi da catena di Sant’Antonio (e infatti lo è!).
    Cos’è successo al nostro diritto che pensavamo costruito per sempre a cominciare dalle robuste gambe contadine dei nostri nonni? Che quel diritto, elaborato in anni di crescita e con modelli ultra ottimistici, non sta più in piedi per svariati motivi. Se io oggi guadagno 100000 euro all’anno posso pensare di comprarmi un bene da 500000 a un tasso del 10% di interesse al creditore, essendo 5 anni un limite sostenibile del mio mutuo. Ma se il secondo anno comincio a guadagnare progressivamente meno, non potrò soddisfare l’obbligazione e se il sistema è complesso la minusvalenza si trasferirà da debitore a creditore via via, perché chi possiede anche il piàminimo dei capitali è sempre debitore di qualcosa affinché possa essere creditore di un’altra. Così l’INPS.
    Il diritto a percepire il tuo contributo pensionistico di X euro nel tempo Y era basato su un modello economico di crescita e demografica e monetaria.
    Tuttavia alla generazione dei baby boomers non è succeduta una proporzionale generazione demografica che li possa mantenere oggi che starebbero per andare in pensione stando al modello attuale; inoltre il PIL è andato calando progressivamente (nonostante il costante ricorso al debito da metà degli anni ’70): ne consegue che quel diritto è carta straccia.
    Lo stesso discorso può essere analogizzato facilmente per il pubblico impiego e più in generale per la sostenibilità dei costi sistemici dell’articolo 18.
    Insomma, quei diritti possono essere erogabili solo se c’è un sistema economico che lo permetta. La finanza non è mai il problema: è al massimo la risposta più intelligente possibile nel nostro sistema di fornte a quel problema, ammesso che non si voglia rivoluzionare il mondo abbandonando la proprietà privata, il concetto di capitale, e i vantaggi dell’allocazione di quel capitale. Possibile e auspicabile, ma non realizzabile né ora né probabilmente prima di qualche rivoluzione tecnologica che a oggi non sappiamo nemmeno cosa riguardi.
    Quindi se si critica Monti, o Ichino, a quale pianeta stiamo guardando e a quale generazione di un lontano futuro stiamo parlando?

  23. Hommequirt farebbe meglio a non millantare una conoscenza così profonda di Marx, che a ripetere la vulgata meccanicistica fa solo la figura di quello che di Marx ha letto il bigino.
    Il rapporto di produzione secondo Marx è una cosa molto più complessa della sola economia. Altrimenti non avrebbe scritto una Critica dell’Economia Politica. Certo, si può dire che in un certo senso per Marx venga prima il rapporto di produzione e poi la rivendicazione operaia. Ma il senso è l’esatto contrario di quello che intende Hommequirt: l’umanità si pone solo problemi che può risolvere, le “rivendicazioni irrealistiche dei marxisti” (Monti docet) sono i problemi che l’attuale rapporto di produzione pone e che l’umanità può risolvere.

  24. Hommequirit, faccia una cosa: ascolti quel che sta dicendo Veltroni a Lucia Annunziata parlando dell'”angoscia” di Pietro Ichino a proposito delle generazioni di precari. E’ pure possibile che riescano a convincere alcuni che rendendoli ancora più precari risolleveranno le sorti loro e del paese. Io non posso che, testardamente, ribadire quanto ho detto, nella mia umanistica insipienza: no, i diritti non vanno un passo indietro rispetto alla finanza. Può riempire anche sedici pagine di commento e non mi convincerà.

  25. Non sono io a doverla convincere. Non capisce che anch’io vorrei credere a quel che crede lei? Sarebbe tutto più semplice perché vorrebbe dire che la soluzione è nota e il problema consiste solo nel come imporla a testardi paperoni.

  26. Forse non mi sono spiegato: quando dico che i diritti vengono dopo l’economia sto parlando di logica non di assiologia. Dire che i diritti vengono prima è come dire che i tetti vengono prima delle fondamenta.

  27. @hommequirit ok quella che hai descritto è la struttura dell’inps nella sua “virtuosa” anche se non lungimirante forma teorica.
    se il meccanismo s’inceppa e se un diritto non può più essere erogato (anche se non mi piace usare questa parola perché un diritto non è un servizio ma tant’è) vado ad analizzare la situazione reale e mi domando: che cosa ha eroso il sistema economico che lo permetteva? dov’è il punto debole di questa struttura?se, nel caso dell’Inps, mi accorgo che esiste un’intera categoria (i rappresentanti alle camere del parlamento ad esempio) che percepisce (Per molto tempo) più di quello che ha versato (in poco tempo) è o non è realizzabile un cambiamento? o devo solo aspettarmi che lo Stato mi dica “il diritto alla pensione non è più erogabile siamo spiacenti!”
    non è per un fondamentalismo ideologico, come lo chiami tu, ma è per senso etico che non posso accettare questo atteggiamento e ciò che scrivi.
    per questo penso che una certa finanza e una certa politica sono il problema, la finanza perché ha costruito un sistema pensionistico basato su un modello economico sbagliato o comunque che non si è verificato e la politica perché se ne avvantaggia lasciando le cose come sono.
    Io lascio il mio contributo nel porcello dell’inps non perché mi sembra la scelta economico – finanziaria migliore, ma perché mi sembra una scelta etica di civiltà.

  28. @Lipperini
    Certo che a volte la logica non basta, ha ragione lei, perché è logico che la logica sia una condizione necessaria non sufficiente.
    Altrimenti lei rischia di predicare soltanto ai convertiti o fare psicoterapia collettiva: se vuol salvarsi l’anima faccenda sua. Se le interessa la sorte di tutti gli uomini a cui parla invece occorre sapere cosa causa qualcos’altro.
    @Laura atena
    E allora senza logica ti tieni la tua etica di civiltà, che oggi si traduce nell’andare in pensione a 67 anni e con tre lire o lavorare da precario con contratti scandalosi. Di che ti lamenti? Se vuoi cambiare il mondo non basta la bocca, urge il cervello e quindi la logica che per fare il tavolo ci vuole il legno, e per fare il legno ci vuole l’albero…
    quanto alla frase che scrivi: “basarsi sulla sola logica è come fare il cemento armato con la sabbia, logicamente risparmio però poi…”
    che dire? La logica è necessaria per non fare appunto il cemento con la sabbia di mare. La logica serve anche per commettere un reato, usando la sabbia di mare e speculando sul costo nel momento in cui il guadagno sia rilevante e nessuno debba risponderne.
    Ma la logica è anche quella che permette di trovare il colpevole di quel reato senza incolpare il primo che passa. Giusto?

  29. Vedi Hommequirit devo essere proprio fatta male perchè il problema per me non è andare in pensione a 67 anni con tre soldi è che in concomitanza con questo ci sia qualcuno che va in pensione a 40 anni prendendo uno sproposito.
    se per te va bene rinunciare a un tuo diritto per continuare a perpetuare un’ingiustizia fai pure.
    a me la tua logica sembra solo paura,comunque mi arrendo perché davvero mi sembra di parlare due lingue diverse se quello che ti serve è sentirti dire che hai ragione ti accontento: sei il più preparato, hai studiato, hai ragione tu.

  30. @Laura atena
    Ma allora focalizza meglio il tuo obiettivo, studialo bene e chiamalo con il suo termine corretto: lotta di classe.
    Battersi per i diritti non è fare lotta di classe: qui sta l’equivoco (anche della signora Lipperini). Non è con la battaglia per i diritti che si cambia la struttura della società e la legge inevitabile dell’accumulazione capitalista, ovvero che i soldi vanno ai soldi.
    Ultima cosa: evitiamo di leggere il presente con le categorie del passato. Scioperare oggi nel mondo occidentale non è minimamente paragonabile allo scioperare di inizio ‘900. Combattiamo pure le storture del capitalismo ma rendiamoci conto che oggi le nostre richieste non sono come allora il “vivere o morire”, ovvero una lotta per i bisogni primari.
    Noi manifestiamo per desideri e aspettative tradite, personali o collettive. Avremmo voluto quei servizi o quelle carriere e non li avremo e così riteniamo insopportabili quelle sperequazioni economiche della nostra società che in tempi di crescita economica abbiamo eluso perché un po’ di grasso colava anche per noi. Così ognuno, soprattutto a Sinistra, ha fatto quel che gli era possibile fare, perseguendo l’aumento del proprio reddito nel momento in cui poteva farlo. Indipendentemente dagli altri.
    Ma dobbiamo anche ammettere che quelle aspettative sono nate all’interno di quel sistema che critichiamo. Non vorrei che chi critica non avesse bene in mente l’impossibilità di tenere assieme la botte piena e la moglie ubriaca.

  31. Hommequirit, consentimi: quando parli di gente che latra, ti stai guardando allo specchio. E fai venire in mente il motto cinese: bastona il cane che affoga.
    Sparare a capocchia l’accusa di non capire niente di economia (meno male che Hommequirit c’è, direbbero Apicella & Friends) è una buona arma retorica, che non regge davanti al fatto che quelli contro cui latri di economia ne sanno abbastanza, e rendono note le proprie fonti (che ti guardi bene dal discutere, tu come Ichino & friends). Hai un bel citare la logica: come Marx, che affermi di aver letto (di nuovo consentimi: leggere e capire cono due cose diverse) dovrebbe averti insegnato, la fonte degli errori degli economisti classici, che pure testa ne avevano, era di credere che il mondo segua una logica lineare; e, come di nuovo il testone tedesco insegna a chi lo ha letto davvero, i fatti hanno la testa più dura delle teorie (ti ha mai detto nessuno che ci sono logiche più complesse di quella lineare, che pretende che il mondo si adatti al principio di non-contraddizione?). Tanto per dire: i tetti si costruiscono dopo delle fondamenta, tò ve’!, ma se non dai quanto peserà il tetto hai forti probabilità di cannare le fondamenta.
    Tanto per dire, di nuovo: il sistema previdenziale NON È in deficit. Non lo era neanche prima della riforma Maroni. Non lo era neanche prima della riforma Dini: informati, prima di aprire bocca. Il sistema previdenziale italiano, dal punto di vista contabile, ha sempre rispettato le regole del pareggio di bilancio. Il motivo per cui il sistema previdenziale è andato in crisi all’inizio degli anno Novanta perché lì c’era il contante, e da lì si andava a pescare per qualsivoglia esigenza di bilancio, indipendentemente dalla struttura del sistema pensionistico: meglio prelevare il contante dalle casse della previdenza che tassare le rendite e i grandi patrimoni. Ogni riforma ha certificato la stabilità del sistema previdenziale. Ma ogni governo successivo alla riforma, non sapendo dove pescare liquidità senza intaccare i privilegi dei grandi elettori, ha riformato il sistema pensionistico per un semplice motivo: lì ci sono i soldi, e i pensionati non scendono in piazza a rompere i coglioni e le vetrine (ed essendo stati educati negli anni Settanta da PCI e CGIL a fare da aiuto-questurini, non hanno l’abitudine a metterla giù dura: che c’entra anche questo).
    Il sistema finanziario globale che tu difendi con la tua logica è consistente quanto le paratie del Titanic: continua pure a dire che un eisberg non può affondarlo, se credi.

  32. @Girolamo
    Da quello che dice lei non è nemmeno vicino dal capire come funziona un sistema previdenziale. Non ne ha proprio compreso il principio diacronico. Lei legge il presidente dell’INPS che naturalmente ne certifica l’attività del bilancio. Ma ha compreso cosa vuol dire? Eppure credevo di averlo spiegato bene in un commento precedente e senza usare tecnicismi, in modo che la comprensione fosse accessibile anche a un bambino. Come crede di generare un flusso di cassa al costo della vita odierno per una somma algebrica di contributi versati a cominciare da 40 anni fa? Rompendo il salvadanaio? Ha compreso che l’attivo di bilancio dell’INPS è in funzione di quanti contributi entrano nell’oggi per pagare le uscite dell’oggi? Non è difficile, non capisco cosa la tenga lontano dal comprenderne i corollari.
    Per quanto riguarda la sua tirata sulla logica è partito in quarta: se avesse letto il mio commento avrebbe visto che parlo di moto browniano, quindi non certo un’equazione lineare. Io ho usato il termine “logica” solo perché non vorremmo buttare a mare il modus ponens solo perché beviamo troppi Gin-fuzzy, giusto? Tra l’altro il suo esempio mi dà ragione: un tetto si costruisce comunque dopo le fondamenta e proprio per reggerlo meglio continua a valere il modus ponens e dalle fondamenta si parte.
    Ma la sua ottusa risposta è la prova che non ha neanche avuto la buona creanza di leggere bene.

  33. Non è applicando alla finanza la teoria del moto browniano (come è stato fatto) che ci si è trovati nella situazione attuale eh? No, la finanza non sbaglia mai: solo gli ottusi pensano il contrario.

  34. Le piacerebbe pensare che che io difendessi la totalità della finanza, vero?
    Così si potrebbe raccontare ancora una volta che sono un nemico, e quindi uscire intellettualmente indenne da argomenti come i miei.
    Tuttavia è ancora un problema logico: se una determinata scienza non dà previsioni corrette la soluzione è studiare nuovi modelli, non rifiutarne l’esistenza. Altrimenti si fa come quelli che, constatato che la Scienza non spiega tutto, la rifiutano ritenendo di potersi accontentare della fallita spiegazione precedente, ovvero Dio.

  35. @hommequirit ripeto si hai studiato, sei il più bravo, hai ragione tu.
    ma a parte riportare parole che avrei potuto trovare in qualsiasi saggio non credo che tu abbia risposto a nessuna delle mie domande, sai ai bambini piace chiedere perché?

  36. No, non mi ha risposto e mi attribuisce pensieri che non ho espresso. Io le ho fatto una domanda specifica: il moto browniano è stato applicato alla finanza. Se non sbaglio, vista la mia insipienza, dovrebbe essere avvenuto negli anni Settanta, o almeno teorizzato in quegli anni. Mi spiega perchè ci sono diritti che passano e teorie finanziarie che restano? Perchè questo davvero non arrivo a capirlo.

  37. x Girolamo: grazie per la spiegazione e per i link!
    x Hommequirit: alla faccia del commento alla portata dei bambini! Io ho capito una sola cosa di economia e finanza: tutti riportano numeri, statistiche, dati, e percentuali. Il che dovrebbe garantire una certa chiarezza durante l’analisi di una situazione. Eppure, tutti riescono sempre a girare i numeri a seconda del vento o della propria necessità. E soprattutto, una volta tirati fuori i dati, quando c’è da passare ai “rimedi”, alle cure, mi pare che i diritti e gli interessi delle persone più deboli non vengano quasi mai tutelati. Come mai? E’ un discorso di logica? Si sta facendo “il bene del paese”? Oppure qualcuno lassù, che non ci ama, deve sistemare i propri affari e la chiama “finanziaria”?

  38. Quindi i disoccupati USA sono da imputare alla flessibilità di quel mercato del lavoro?
    Ricordo sommessamente che  c’ è stata una crisi e la sua natura (almeno negli USA) è di tipo finanziario (anche qui c’ è l’ accordo di logica, buon senso, nonne e Nobel).
    Magari è da lì che vengono i disoccupati. Che ne dite?
    La tesi che invece vede responsabile di tutto il casino il mercato del lavoro mi giunge nuova.
    Per quanti sforzi faccia, l’ unica cosa di affine alla lontana è la posizione di chi vede un ruolo nelle diseguaglianze crescenti.
    Tesi ideologicamente suggestiva ma che non osano sostenere seriamente neanche i liberal più radicali:
    I’ve written a lot about the evils of soaring inequality. But I have not gone that route. I’m not ruling out a connection between inequality and the mess we’re in… More equality would be good, but not, as far as I can tell, because it would restore full employment.
    Chiudo con un OT su Faoucault: perché tra le varie letture non inserite anche quelle in cui il Nostro mostra il suo apprezzamento per i padri del liberismo e dell’ anarco-capitalismo?
     
     

  39. Non bisogna aver paura di quello che dice Hommequirit, La sua analisi tende a far preferire il sistema “argentino” che ha spinto alcune previdenze ad investire nei fondi, appunto, d’investimento; con risultati spesso tragici. Il nostro Inps continua a chiudere i conti in attivo, nonostante sia costretto ad accollarsi le, altrimenti, fallimentari casse di alcuni VERI privilegiati.
    Quello che chiederei ad Ichino, la cui cura raccontata in radio può sembrare quasi bella, è “chi riuscirà a far tornare ad investire in Italia tutti quegli imprenditori che hanno delocalizzato in Danimarca e Finlandia?”
    lucio

  40. No, Broncobilly, significa semplicemente che la flessibilità non è un buon rimedio. Anche perchè, ribadisco, la stiamo comunque sperimentando anche noi da un paio di decadi. E la “cura Ichino” non farebbe che crearne di nuova.

  41. Broncobilly, la crisi finanziaria è stata innescata dal fatto che i lavoratori americani non avevano più soldi per pagare i loro mutui. Quindi, si, boia faus, c’è un problema enorme di mercato del lavoro negli iuessei. Leggiti

  42. Si pretende la flessibilità da parte dei lavoratori per pagare gli errori altrui, quelli imprenditoriali. Ma se si è giunti a questa crisi, è perché le imprese per prima cosa hanno tagliato le risorse (materiali e personali) a ricerca e sviluppo, quando hanno investito. Dopodiché, non avendo nuovi prodotti, sono andati a fare tagli sul settore commerciale perché il prodotto (vecchio) non riusciva a vendere, facendo cadere la colpa sugli operatori del settore perché ritenuti incapaci. Visto che, dopo aver eliminato ricerca e vendita, non rimaneva altro che la produzione, si sono accaniti con chi era in questo settore, pretendendo che pagassero loro.
    Il punto è: si tratta di un problema di braccia o di testa?
    Una piccola nota: il pesce, quando comincia a puzzare, inizia proprio da quest’ultima.

  43. Signor Hommequirit i suoi interventi, che sulla base dei numeri e della “sua” logica sono decisamente inappuntabili, mi hanno in un certo senso agghiacciato. Lo dico fuori di polemica. Tanto per cominciare non capisco se avalli il tutto, si definisce comunista e auspica un nuovo modello però poi le sembra lapalissiano che cancellare dei diritti sia una conseguenza inevitabile di questo tipo di sistema. Infatti le vorrei chiedere, lei avalla questo tipo “sistema”? la prego non mi dica che è “inevitabile” e così vanno le cose, come ha detto in un commento precedente. Mi dica cosa pensa lei. Ho usato l’aggettivo possessivo “sua” logica non a caso, poiché, mi perdoni, io non sono pratico di queste materie e faccio domande semplici semplici, e la mia logica mi risulta totalmente diversa dalla sua. Sarò breve: se il lavoro inizialmente nasce per gestire dei bisogni delle moderne società, a un certo punto qualcosa è andato storto – per noi lavoratori dico – e non c’è più stato bisogno di adempiere alla logica semplice che si lavora perché è necessario che qualcuno pulisca le strade, coltivi i campi, curi le persone, trasporti delle cose, etc. etc.
    Il lavoro per me è quello. Non mi sembra “logico” fare un lavoro senza senso molte più ore del necessario per far arricchire poche persone. Questo per me è lampante. Ed è una cosa a cui mi oppongo spontaneamente, senza aver letto marx e senza sposare un’ideologia di riferimento. Mi sembra logico che mi stanno fregando. A lei no? E se anche lei sembra, quale sarebbe questo altro modello che propone? Io da ignorante mi dico che se produciamo troppo e troppe cose inutili, si dovrebbe tornare a ragionare su ciò che è necessario, e a mali estremi suddividere il lavoro che serve fare, per tutte le persone in grado di farlo. Mi sa che si lavorerebbe di meno tutti e la disoccupazione sparirebbe. E’ utopistica questa cosa, giusto? Per per me è maledettamente logica. Oltre questo c’è solo una grande fregatura. lei Nei suoi interventi invece appare come uno che un ghigno malefico vuole dimostrare che questo è inevitabile, per “questo” intendo la cancellazione graduale e sistematica dei diritti e lo sfruttamento della maggior parte delle persone, in virtù di numeri che rispondono alla “loro” logica. O, mi ripeto, è anche la sua? Non mi sembra, è stato molto ambiguo nei suoi interventi, nonostante mi sembri una persona decisamente preparata. Mi piacerebbe davvero che mi spiegasse. Un aneddoto, che poi è il motivo per cui mi è venuta voglia di scrivere questo inutile commento: pochi minuti fa, una mia collega di lavoro in albergo, che fa i massaggi, mi parlava del fatto che debbano alzarsi sempre prima per venire a lavorare (alle 3 del mattino) e che questa “non è vita”. Poi ha aggiunto, in dialetto veneto. “Va bene che dobbiamo ringraziare di avere un lavoro, però ecco, questa non è vita.” Ecco, nella mia logica, io non voglio ringraziare per avere un lavoro. Vorrei farlo perché serve, perché vivo in una società e mi sta bene fare qualcosa per contribuire, ma non vorrei mai diventare schiavo di quella logica per cui devo ringraziare chi mi sfrutta. Spero mi risponda, e perdoni l’ingenuità delle domande.

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