TUTTI I FIORI NON SONO CHE SCENE IRONICHE

Ci sono due giovani donne accanto a te, mentre bevi il bicchier d’acqua più caffé della mattina, al solito bar, e proprio come faceva tuo padre cedi al piccolo vizio di tendere le orecchie e ascoltare i discorsi – le vite – degli altri (“Impiccione!”, lo rimproverava mia madre. “Non faccio niente di male, mica intervengo pure io”, rispondeva lui).
Le giovani donne hanno vestiti chiari e leggeri, i capelli legati in una coda di cavallo, mangiano dolcetti. Una promette amicizia eterna. “Non ti lascerò mai sola, io”, dice. “Voglio vedere a sessant’anni”, ride l’altra.
Non ti lascerò mai sola.
E’ bello da dire, ma poi non sempre succede. A volte ci si mette di mezzo la vita stessa, che ti porta su strade che nemmeno immagini. A volte è la morte a intervenire.
Perché oggi non è il 6 agosto ma il 22 luglio. Tre anni fa, Chiara Palazzolo diceva, al telefono, che il giorno successivo sarebbe stata infine ricoverata per risolvere quel problema che non le dava tregua, un’ascite che da maggio la tormentava. Poi torno subito, mi aveva detto. Era domenica, io ero in campagna. L’avrei vista una volta sola, dopo una settimana. E poi mai più. La storia di quel ricovero e della sua morte è stata raccontata dal marito, Anselmo Terminelli, in questo pamphlet.
Dunque sono passati tre anni dall’ultimo giorno di Chiara da donna libera, sia pure provata e malata. Non ho dimenticato, certo, e non hanno dimenticato coloro che le volevano bene. Mi chiedo, nei giorni di malinconia come questo, se poi infine serva non essere dimenticati. Quando vado a trovare un’amata o un amato  al cimitero faccio una cosa stupida: tamburello con le dita sulla lapide, nel desiderio disperato di sentire un tamburellìo in risposta, o almeno un sospiro di riconoscimento. E’ stupido, ma lo faccio lo stesso.
Perché infine si è separati, e quel che ci resta sono squarci, lampi, accidenti, il modo di tagliare la pizza, una risata, la marca di uno zainetto. E, certo, le parole. Però, ecco, quando tutte queste persone che si rivolgono a te chiedendo un aiuto per pubblicare ti dicono che i libri sono qualcosa che resta dopo la morte, ti viene da ridere. Non è vero se non in pochi casi. I libri di Chiara – è il mio inestinto tormento – non si trovano più. Posso impararli a memoria, diventare Persona Libro e andare per il mondo a recitarli. Ma non esistono, non si trovano, non finiranno nelle mani di un lettore occasionale.
Diciamo tante cose, ed è giusto così, ma i fatti finiscono per fare polvere di tante delle nostre promesse.
La poesia non muta nulla, e tutti i fiori non sono che scene ironiche (qui). Poi, certo, si continua a scrivere, a piantare semi.

6 pensieri su “TUTTI I FIORI NON SONO CHE SCENE IRONICHE

  1. L’unico amico che ho perso per decesso è stato un compagno di scuola morto in un terribile incidente stradale tanti anni fa. Non sono mai andato al cimitero a trovarlo perché so che non è più lì. Anzi, VOGLIO che non sia più lì! A distanza di tanto tempo lo ricordo sempre come allora e da allora ogni volta che passo nel tratto di Autostrada tra Ancona Nord e Ancona Sud cerco di immaginare i suoi ultimi momenti con un brivido freddo che mi percorre sempre la schiena. Ogni volta.
    Non so se il continuo ricordo aiuti a rielaborare il lutto, di certo ne ha parlato magistralmente François Ozon nel suo ultimo, splendido film “Una nuova amica”, dove la protagonista si realizza e realizza compiutamente la sua amicizia ferrea con l’amica del cuore deceduta per un tumore solo mantenendo l’ultima promessa a lei fatta e tuffandosi nella nuovissima, inaspettata vita che le è derivata. Non ho mantenuto promesse che non avevo mai fatto al mio amico deceduto, ma mi sono tuffato nella vita con l’energia che lui aveva a quel tempo e di cui io invece deficitavo (ebbene sì: suscitando mie invereconde invidie!…): ci ho guadagnato pienamente e il suo ricordo non si è mai più spento in me da 25 anni a questa parte.

  2. Davvero “verticale” la poesia di Fortini, davvero illuminante l’appassionato commento di Giacomo Cerrai. Non sono un cultore dalla poesia, ma confesso di aver provato una “profonda” vertigine nel leggerla e nel rileggerla dopo le “note a margine”. Forse quello è davvero il senso ultimo della vita (e quindi della morte). Senza concessioni e illusioni.

  3. Tu tamburelli, io appoggio la mano in cerca di una carezza che il marmo non è capace di trasmettermi, o di restituirmi. C’è voluto molto tempo prima che io trovassi il coraggio di poggiare quella mano senza che essa si stringesse a pugno. Oggi è un gesto di tenerezza verso chi ho perso e verso me stessa
    A volte dobbiamo permetterci di provare dolore, dobbiamo consentirci di essere fragili.
    E poi, un’altra cosa.
    Pochi giorni fa, ho saputo che una delle mie istruttrici di nuoto è stat portata via da una leucemia. Ha chiesto alle sue amiche e colleghe di non dimenticarla. Ecco, io credo che lei, come CHiara, non saranno dimenticate. Perché sono persone che si sono date con amore agli altri, attraverso il nuoto e attraverso la scrittura.il ricordo non cancella l’assenza ma dona vita a chi vita non. L’ha più. Noi siamo anche le vite degli altri, di tutti coloro che abbiamo amato e che ci hanno amato.

  4. “Perché infine si è separati, e quel che ci resta sono squarci, lampi, accidenti […]. Diciamo tante cose, ed è giusto così, ma i fatti finiscono per fare polvere di tante delle nostre promesse.
    La poesia non muta nulla, e tutti i fiori non sono che scene ironiche.”
    …Ed è proprio questo il “luogo freddo e deserto” in cui nasce la poesia. Miracolo da se stesso per se stesso, quando il resto è bruciato. Fiore inutile, sospeso come un sasso nell’aria.
    Quando mi chiedo: per chi, per cosa?, solo allora intuisco la radice. E affiora un “grazie”, gelido come una spada.

  5. Eppure. Capisco la malinconia del post, ma penso che anche tu sappia che è vero quel che scrivi, e anche il suo contrario. Chi legge sa, conosce quella cosa miracolosa: che un libro ti mette nella condizione di ricevere, direttamente, dal cuore e dal cervello di chi l’ha scritto. Non credo di essere l’unica che, leggendo un libro, ha avuto la netta sensazione di essere stata in contatto diretto, profondo e privilegiato, con chi lo scrisse, magari in tempi lontanissimi; e dunque di essersi legata/o a costei/costui in un rapporto profondo, di relazione vera, in una magia che addirittura azzera il tempo.
    E la poesia forse non cambia tutto, ma cambia molto; o almeno: se pensiamo a un cambiamento in senso “positivo”, poesia e bellezza restano le sole che possono cambiare qualcosa.
    Poi, se i libri di qualcuno non si trovano più in vendita, però ancora resistono forse n qualche biblioteca, e di certo in qualche libreria privata, e di lì possono ancora passare di mano in mano, e continuare a lasciare segni profondi.
    (per inciso.. i libri della Palazzolo mi sembra che ancora si possano acquistare in rete)
    xxx 🙂

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