UN ANGIOLO ALLA MIA TAVOLA

Ci sono persone che, inconsapevolmente, cambiano la vita degli altri. Per me, una di queste persone è, e da oggi devo dire era, Angiolo Bandinelli. E’ stato uno scrittore, un poeta, un politico. E’ stato nel Partito radicale fin dall’inizio, ne è stato segretario e tesoriere, è stato consigliere comunale e deputato. E’ stato, soprattutto, un poeta e uno scrittore. Traduceva Eliot. E’ stato in prima fila in tutte le antiche, e oggi date per scontate, battaglie per i diritti civili. E ha, appunto, cambiato tutto nella vita delle me ventenne: forse, ripeto, senza saperlo. Forse, semplicemente, aprendo una porta.

Era gennaio, era il 1976, l’anno dei miei vent’anni. Davanti a quella porta, in via di Torre Argentina 18, ci sono io e c’è Graziella De Palo, la mia migliore amica. Dietro la porta c’è la sede del Partito radicale. A spingerci là era il desiderio di fare qualcosa che andasse al di là del leggere libri, ascoltare musica, partecipare alle manifestazioni per il Cile. Volevamo, così ci dicevamo in lunghe chiacchierate mentre andavamo avanti e indietro da via Asmara,  una militanza, un essere dentro le cose della vita, perché la vita si stava muovendo attorno a noi con una forza imprevista. Perché ci ripetevano che il mondo era nostro, ma non sapevamo da che parte cominciare ad acchiapparlo.
Ci rimanemmo un po’, davanti a quella porta, senza deciderci a bussare. Comincia tu, dicevo io. No, l’idea è più tua, ribatteva Graziella. Alla fine fui io a colpire il legno con le nocche, accorgendomi  solo dopo che c’era anche un campanello, di quelli antichi, col pulsante al centro di una mezza sfera dorata.
Fu un signore che giudicammo anziano ad aprire. Avremmo scoperto dopo che aveva 49 anni: un’enormità, per due ragazze. Si chiamava Angiolo Bandinelli, era tondo e brizzolato e gentile. E paterno. A pensarci, fu un bene che sia stato lui ad aprire, perché se fosse arrivato invece uno degli sbrigativi obiettori di coscienza della Loc, il trattamento sarebbe stato diverso. Angiolo Bandinelli era invece e appunto paterno, ed è per questo che tutto si decise là, in quel momento, nel tempo in cui ci chiese, da cofondatore del partito, chi eravamo e cosa volevamo.
Rispondemmo impacciate, se non ricordo male in coro: militare, darci da fare. Non sentirci inutili.
Cosa sapete fare, chiese dunque Angiolo Bandinelli.  Ci guardammo, credo con le guance paonazze. “Sappiamo scrivere”. “Scrivere cosa?”. “Ecco, i nostri temi in classe erano molto belli. E a quattordici anni abbiamo fatto un giornalino”.
Tutto si decide là, appunto, come spesso avviene nelle vite: in pochi passi, quelli che dalla porta e dall’ingresso che avremmo imparato molto bene a conoscere ci guidarono in un corridoio e due erano le porte che si aprivano a sinistra e in fondo, spalancata, ce n’era un’altra da cui veniva rumore di ferraglia. Il ciclostile, disse Angiolo Bandinelli.
Nella prima porta a sinistra c’era un tavolo addossato al muro, tre o quattro sedie, una macchina da scrivere sul tavolo e due telefoni e un banchetto più piccolo con un’altra macchina da scrivere, stavolta elettrica. Al tavolo grande c’era un ragazzo alto e severo con grosse mani coperte da guanti di lana (i geloni), che somigliava a Mal dei Primitives. Dal banchetto si alzò un ragazzo esile con un sorriso dolce e molti ricci. Il ragazzo coi guanti si chiamava Enzo Zeno, il ragazzo coi ricci si chiamava Walter Baldassarri, ed era il direttore dell’agenzia quotidiana Notizie radicali. Dall’altra porta uscirono altri tre uomini: un ragazzo  con gli occhiali, che si chiamava Valter con la V semplice  (Valter Vecellio, che oggi ricorda con parole belle Angiolo Bandinelli qui),  un altro scarmigliato con un maglione verde, che si chiamava Angelo Foschi, e un uomo con i ray ban e la sahariana sbottonata e stretta in vita dalla cintura, un uomo che si chiamava Italo Toni e che in quell’esatto momento fu, per una delle due, la lama fredda e inconsapevole del Fato.
Graziella visse ancora altri quattro anni e mezzo. Io sono qui a raccontare e ricordare: ma senza la generosità, la curiosità, la fiducia di Angiolo avrei percorso, probabilmente, tutt’altra strada. Mille grazie, gentile poeta, mille grazie per sempre.

3 pensieri su “UN ANGIOLO ALLA MIA TAVOLA

  1. La memoria dei social è volutamente labile per fare di noi delle banderuole.
    Il blog, certo più “digitalmente” scomodo, permette dì mantenere le tracce . Complimenti,.
    Graziella e Italo che qui citi sono gli stessi dì “L’arrivo dì Saturno”, vero? Ci sono ulteriori sviluppi per arrivare ai responsabili della loro fine?

  2. Davvero gli incontri che cambiano la vita. Mi sto chiedendo se oggi possano esistere ancora da qualche parte un luogo e delle persone in grado di aprire analoghe porte per un impegno politico-civile-culturale a qualche giovane interessat*. E magari anche a noi della “vita di mezzo”, disillusi, fiaccati, spesso complici più o meno consapevoli dell’andazzo attuale… sarebbe davvero una bella (e necessaria, credo) “botta di vita”.
    P.S.: Tanta rabbia per i “mancati sviluppi”. Che hanno ottime probabilità di persistere, purtroppo.

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