UN LIBRO ITALIANO IN TESTA ALLE CLASSIFICHE INGLESI

Tre anni fa scrivevo qui di Point Lenana. Già che ci sono, vi riposto sotto la recensione. Perché riparlarne? Perché avviene una cosa strana: c’è un italiano, oggi, che è primo nelle classifiche inglesi, e non è Elena Ferrante. E’ Felice Benuzzi, che nel 1948 scrisse Fuga sul Kenya (da cui Point Lenana nasce, come leggerete), la cui nuova versione inglese, No Picnic on Mount Kenya è in vetta alle classifiche di non fiction del Times. Un libro vecchio di 70 anni e nella settimana della ribalta di Francoforte. Qualcuno se n’è accorto?
Point Lenana di Wu Ming 1 e Roberto Santachiara (Einaudi Stile Libero, pagg.596, euro 20) inizia soffiando nei polmoni del lettore l’aria gelida del Monte Kenya, ma non prosegue raccontando la storia attorno a cui il libro ruota: ovvero, la fuga di tre italiani da un campo di prigionia inglese in Africa, nel 1943, l’ascesa – con mezzi che definire di fortuna è riduttivo – fino a Punta Lenana, la volontaria riconsegna dopo 17 giorni. Quella storia è già in un libro,Fuga sul Monte Kenya, scritto da uno dei protagonisti: Felice Benuzzi, nato a Vienna, cresciuto a Trieste, alpinista, funzionario ad Addis Abeba, infine diplomatico, viaggiatore, scrittore, e soprattutto polo del magnete che attira a sé la storia italiana (e non solo) del Novecento (e non solo). Point Lenana si pone come “altro”, e in quanto “altro” non è incasellabile in alcuna definizione predisposta (libro sulla montagna, saggio, inchiesta, romanzo): si svolge, come l’alpinismo secondo una definizione degli autori, “in un’intersezione”, a scarti, generando narrazione dopo narrazione, tappa dopo tappa, come in un’ascensione che porta dal basso verso l’alto.
Dal basso si parte, infatti: quando Santachiara invia a Wu Ming 1 la copia di Fuga sul Monte Kenya è il 2009, e il ricevente si trovava – come molti – sotto una cappa che “risucchiava le energie buone” lasciando a terra “i vapori nocivi, gli umori più cupi, le inettitudini più resilienti, i rancori più facili da coltivare”. Messo a parte del progetto, lo accoglie con perplessità, sia per l’impresa di Benuzzi, che sulle prime sembra la classica e fascistissima esibizione di muscoli, ma anche per quello che sarà il motore del libro stesso: i due Roberti avrebbero ripercorso la via verso Punta Lenana, uno già esperto di montagne, l’altro uomo di terre basse e scrivania. C’è perplessità anche fra i colleghi e gli amici (fra cui chi scrive, che avrebbe atteso con non poca ansia il messaggio sms che, nel gennaio 2010, annunciava che la cima era stata raggiunta). Ma andare è necessario, per comprendere la “metafora primaria” (“verso su” è bene, “verso giù” è male) che è alla base non solo dell’alpinismo, ma di tutti i nostri pensieri e discorsi.
Se la scalata degli autori è il punto di partenza, la ricostruzione della vita di Benuzzi è il sentiero che tiene insieme altre vicende, piccole e grandi. L’aereo del pediatra di Atlanta che si schianta sul Monte Kenya e che diventa il pretesto per una catena di truffe telematiche. La rivolta dei Mau Mau, di cui una generazione intera conoscerà solo la versione dell’impero (gli assalti ai civili bianchi) e non le migliaia di impiccati o le decine di migliaia torturati e castrati nei campi di concentramento britannici. E poi la comunità slovena, e l’irredentismo, e il mito virile delle colonie, e Gea della Garisenda che canta A Tripoli coperta solo di una bandiera tricolore, e il vecchio Pascoli che incita alla conquista, e Carducci, e D’Annunzio e tutti i poeti che “a contatto col nazionalismo tirano fuori il peggio di sé”, e le fiamme dell’Hotel Balkan. Adolescente, Felice Benuzzi fa le prime ascensioni al Monte Nero di Caporetto mentre la storia gli scorre accanto, e vede i segni di quella da poco trascorsa guardando gli alberi fatti a pezzi dalle artiglierie. Adulto, si incanta alle piroette di Rogers e Astaire in Seguendo la flotta, mentre Rodolfo Graziani erige forche, piaga carni con l’iprite, massacra monaci e cantastorie. Point Lenana segue le curve di ogni sentiero, sale e scende raccontando (anche attraverso interviste a familiari e testimoni) i primi trent’anni di Benuzzi e quelli che che seguiranno la sua liberazione, fino alla morte. Aggira il fulcro “con una manovra a tenaglia”, oscura gli anni del campo inglese e la manciata di giorni dell’avventura indagandone il senso: Felice Benuzzi, Giovanni Balletto ed Enzo Barsotti “andarono su” per sfuggire al tedio e all’abbrutimento della prigionia, per ridare senso al tempo, per ritrovare la fiducia e la capacità di meraviglia. Per Felice funzionò, a quanto sembra: e funziona per il lettore, che infine si meraviglia davvero, e almeno spera di ritrovare fiducia. Di pensare, dal basso, a quel che c’è in alto.

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