UNA REPUBBLICA CHE SI AFFONDA SU UN AVVERBIO: LA TORTA AVVELENATA DEL DELTAPLANO

Cominciamo da una sentenza della Corte Costituzionale: l’edificabilità è connaturata alla proprietà del suolo. Pensi al disastro che ha reso possibile. Perché in Italia, negli anni del suo massimo sviluppo, non ha avuto né leggi, né regole, né controlli, né piani. Tutto è successo, travolgendo, cancellando, snaturando. E dietro al disastro, quelle semplicissime parole: l’edificabilità è connaturata alla proprietà del suolo.
Antonio Cederna, Paesaggio con rovine.

Per cominciare, due link.
Il primo all’articolo di Mario Di Vito, sul Manifesto di oggi.
Il secondo è a un intervento di Laura Colini, per anni ricercatrice accademica ed esperta della Commissione Europea politiche urbane e regionali. Un intervento pacato, serio, dove si mette in evidenza la situazione disperata in cui si trovano gli abitanti di Castelluccio:
“Nel caso del Deltaplano la partecipazione non sembra essere un processo virtuoso. Il Deltaplano è un pacchetto già confezionato con tanto di firma di “archistar” (spettacolarmente definito tale dai giornali locali) da rendere luccicante la soluzione del problema definito da poteri decisionali che hanno già preso accordi tra attori forti. A questo punto basta il consenso dei cittadini, il loro convincimento al sostegno del progetto e tutto può andare avanti. Gli enti pubblici sembrano essere lentissimi nelle opere di ristrutturazione degli immobili: su 100 000 case disastrate nel centro Italia solo 18 sono ristrutturate. Gli abitanti sono disperati, non ascoltati, passivamente arresi e dipendenti dalle decisioni (e inefficienze) del settore pubblico. Quando si piange, qualsiasi attenzione, sembra un regalo inatteso. Così il progetto del Deltaplano arriva come una torta bella e pronta su cui tutti, specie chi l’ha preparata, potrebbero mangiare, senza dichiarare chi festeggia, chi mangia e chi ne smaltisce i rifiuti”.
E aggiunge:
“L’area di Castelluccio è tutelata paesaggisticamente ma queste tutele sono svanite in vista della Determinazione Dirigenziale N. 1098 del 05/02/2018 che dà l’avvio alla realizzazione di “strutture temporanee per la delocalizzazione delle attività produttive per la ristorazione a Castelluccio di Norcia”.
“Per quest’opera temporanea e rimovibile  abbiamo ottenuto la Vinca (valutazione incidenza ambientale, ndr) dall’Ente Parco, mentre anche se non era necessario abbiamo acquisito i pareri favorevoli del ministero dell’Ambiente e dei Beni culturali”Alfiero Moretti dirigente del Servizio organizzazione e sviluppo del Sistema di Protezione Civile Regione Umbria. Tutto è stato approvato sotto l’egida delle politiche emergenziali del terremoto facendo leva sullo smarrimento di chi si trova improvvisamente senza casa e senza lavoro, come gli abitanti di Castelluccio tanto da arrivare a vedere il Parco così com’è oggi come nemico, un vincolo per la crescita .
Verrebbe da chiedersi quanto la legislazione non sia stata magistralmente orchestrata per dare garanzie di realizzabilità a una decisione già presa e quanto questi strumenti legislativi non siano strumentalizzazioni che utilizzano il terremoto per deregolamentare il territorio a fine speculativi.
La clausola che permette la realizzabilità del progetto è la temporaneità.
Nell’urbanistica italiana la “temporaneità” ha tempi paurosamente elastici specie quando non c’è un piano e una volontà politica che ne determini la sua precisa durata. Nel caso del Deltaplano, la temporaneità andrebbe pianificata fissando esattamente la vita della costruzione a Castelluccio ( non i generici 15-20 anni), definire un piano per lo smaltimento da un punto di vista logistico, funzionale ed economico. Una volta costruito, Il Deltaplano è lì e ci starà a lungo: è tecnicamente smontabile ma non temporano. Non ci saranno probabilmente fondi per smantellarlo, non si saprà dove metterlo, e si farà a gara per decidere cosa farne. Forse tra 50 anni quando le strutture portanti, tanto all’avanguardia oggi saranno obsolete, allora si penserà alla dismissione, ma intanto Il Gran Piano sarà sempre più urbanizzato, pezzo dopo pezzo, dalle strade, dalle auto e dalla turistizzazione insostenibile che occuperà anche questo pezzo di paradiso”.
Questi sono i fatti. La discussione in rete si è fatta difficilissima. Ogni reazione, ogni critica, viene bollata come bufala, come “becero buonismo”, come fare gli ambientalisti col culo degli altri, come salottiera indignazione a distanza. Ed è, attenzione, comprensibile, vista la disperazione di chi continua a essere lasciato solo, salvo promettere una soluzione aggiusta-tutto come il Deltaplano, che nulla aggiusterà, invece. Anzi, potrebbe diventare l’alibi per non ricostruire nulla (vi abbiamo dato il Deltaplano, che altro volete?).
L’Italia che amiamo è una Repubblica che si affonda su un avverbio: ancora. Uno arriva sul promontorio di Portofino, guarda e dice “toh, c’è ancora”. Scende nel Salento e ritrova la pineta che ricordava verdissima sul blu del mare, ritrova lo scoglio intatto e esclama: “che bello, è ancora così”.
Antonio Cederna, Paesaggio con rovine.

3 pensieri su “UNA REPUBBLICA CHE SI AFFONDA SU UN AVVERBIO: LA TORTA AVVELENATA DEL DELTAPLANO

  1. E poi le masserie con i trulli e il profilo bianco di Ostuni, giù fino a Otranto, con lo sguardo rivolto al castello misterioso di Federico II. E la santità, la sacra rappresentazione dei fedeli di Padre Pio. La fine della Via Appia a Brindisi e Lecce con la sua cultura e i monumenti di pietra edificati da artisti artigiani. Luogo di set cinematografici: forse è il sud più bello, l’italia che ci fa sognare.

  2. La tutela del paesaggio, obbligo costituzionale, non è esprimibile in termini monetari. Anche una eventuale convenienza economica dell’intervento non esaurisce l’argomento: le componenti non esprimibili in moneta vanno valutate con parametri che non hanno spazio nei bilanci numerici.

    1. Certo. In questa vicenda l’amarezza viene dal fatto che gli abitanti di Castelluccio sono stati messi in condizione di accettare questa roba. Non per ignoranza (ora qualcuno degli autoproclamatisi portavoce accusa i critici di dar loro degli ignoranti, il che è falso), ma per fragilità.

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