UNA ROSA DI SERA

Alla Festa di Pesaro il Pd ha organizzato una tre giorni di riflessione/formazione sul web, Frattocchie 2.0. Fra i partecipanti, molte persone che conoscete: Giovanna Cosenza, Luca De Biase (al link trovate già la sintesi della tavola rotonda di ieri mattina), per citarne due. La domanda lanciata da Marino Sinibaldi riguardava il ruolo dei blog (e comunque dell’informazione “dal basso”) nel momento in cui almeno alcuni grandi media tradizionali (quotidiani) tornano al giornalismo d’inchiesta incalzando il potere.
Le risposte, come potete leggere dal resoconto di Luca, sono state svariate: quel che mi interessa qui è ribadire come ANCHE attraverso i blog si possa cominciare a smontare un immaginario che ci schiaccia all’angolo e costruirne uno nuovo.
Esempio, fatto anche ieri a Pesaro: la rosa bianca di Mara Carfagna: questa. Ora, attribuire al femminile, come è stato fatto, l’innocenza (candido=puro) e mostrarla mentre viene avvelenata dal nero della violenza maschile è non soltanto retorico, banale, sciocchino e quel che volete voi. E’ pericoloso. Perchè agisce, ancora una volta, sul piano simbolico: e credo non ci sia neanche bisogno di spiegarlo, caro commentarium (il vecchio pendolo, no? l’oscillazione tra purezza e porno, no? il vecchissimo madonna o zoccola, no?).
Ora, di nuovo. Quale medium tradizionale si prenderà la briga di discutere sulla rosa bianca e la rosa nera, a meno che Umberto Eco non decida di impugnare la tastiera? Credo pochissimi. E probabilmente è anche giusto così. Nel mio ostinato ottimismo, penso che il racconto che altrove è passato attraverso Dallas-Drive In, possa e debba passare, almeno all’inizio, per la rete.
Ps. A meno di non volerla usare per farsi gli affaracci propri, che siano politici o letterari: come si poteva evincere da almeno un paio di interventi di ieri mattina.

30 pensieri su “UNA ROSA DI SERA

  1. Lo spot ministeriale è goffo e retorico come tutti gli spot ministeriali. Ricordo che le campagne d’informazione dall’alto mi facevano venire l’orticaria già ai tempi dell’educazione sessuale a dodici anni. “Ci credono dei bambolotti che si bevono ogni cosa” mi dicevo. Mi riesce anche faticoso associare una rosa bianca ad una donna ordinaria, sinceramente, al massimo ad una martire, forse era questo il messaggio. In ogni caso melenso e pieno di aspettative sottintese nei confronti del sesso femminile…

  2. PS La rosa bianca può anche essere interpretata come simbolo di verginità. Va bene che è simbolico, ma mica tutte le donne violentate sono vergini, no? Retorico, lacrimevole, Candy-candy-style

  3. Sono super d’accordo sulla capacità bloggeristica di destrutturare i simboli stantii e proporne altri più congrui. (perchè senza simboli, non si sta – è come avecce l’acqua senza i rubinetti) Secondo mi si stanno facendo moltissime belle cose in rete e tante se ne possono fare. Credo che questo sia in un modo che non mi è chiaro, collegato alla sperimentazione testuale e linguistica.
    Quello che mi preoccupa è l’omogeneità sociale dei fruitori della rete, dei lettori dei blog e dei blogger stessi. C’è una larga compagine di utenza che ha orientamento politico e formazione culturale altamente condivisi. Rispetto a certi contesti la rete mi pare un circuito autonomo che non esce da se stessa e dove al suo interno, per certi versi – non si fa che sfondare porte aperte.
    Come fare in modo che la costruzione di senso, facciamo conto di un certo quadrato della rete (tipo: il tuo blog+Cosenza+il corpo delle donne+ altri blog di noi altre bloggheresse che scriviamo di cose simili) esca da quello stesso quadrato? dallo schermo?

  4. Riguardo alla campagna della Carfagna la trovo terribile.
    Mi viene in mente che, sotteso all’immagine, potrebbe esserci lo slogan: la violenza sporca la donna.
    E la sensazione di sporco è quella cosa che le donne violentate non riescono a togliersi di dosso.
    Ma chi le fa certe campagne?!
    Riguardo al resto ho anch’io, come Zaub, la sensazione che la rete possa essere autoreferenziale, o almeno che un forte rischio ci sia.

  5. @zaub quando dici omoegeneità sociale dei fruitori della rete cosa intendi esattamente? che i blog sono autrferenziali? cioè che in genere chi frequenta un blog si trova assimilato a persone che per la maggioranza la pensano nello stesso modo rispetto a chi gestisce quel blog?
    Non ne sono certo ma a me sembra che c’è sempre una certa tendenza a ritrovarsi con persone che la pensano nello stesso modo. Come dire che sarebbe utile se Repubblica venisse letto principalmente da persone di destra e non di sinistra. Con un giornale l’interattività è molto bassa, con internet invece potrebbe essere elevata. Ma il cambiamento è quando si comunica profondamente con persone che hanno visioni radicalmente diverse dalle proprie. Solo quando un sito di femministe venisse frequentato principalmente da uomini si potrebbe sperare in un confronto.
    Il libro a mio parere più istruttivo che ho letto sulla Donna (ma anche sull’uomo) è OSHO, La Donna, News Service Corporation.
    Il cambiamento è possibile se oltre al dialogo c’è un lavoro di destrutturazione, di deprogrammazione. Un progetto più tecnico che politico.
    luminamenti

  6. No, non tutte le donne violentate sono vergini: ma non si dice che certe donne se la cercano, perché in fondo… (persino ai tempi del massacro del Circeo)? Lo spot della rosa bianca, a parte ricordare il verso di un’orribile canzone di Gigliola Cinquetti (una rosa di sera/ non diventa mai nera), può veicolare anche questo messaggio come sottotesto. Se non è intenzionale, è uno spot mal fatto.

  7. Le pubblicità debbono veicolare al meglio il messaggio. In questo caso il messaggio è chiaro. La rosa bianca, può nell’immaginario indicare la purezza ma anche la DIGNITA’. Possibile che su ogni cosa che si muove in tv, nei giornali è da guardare con sospetto e denigrare con dispetto. Se la stessa pubblicità era stata promossa dal ministro Bindi o Pollastrini, avrebbe ricevuto le vostre espressioni di disgusto?

  8. Mo’ disgusto! s’è detto solo una cosa tipo “ammazza che fantasia” e “ce risiamo colla dicotomia”. MIca che se semo svenute!
    Luminementi si, più o meno dico quello che dici tu, anche se in termini più generali – perchè che i blogger costituiscano isole di affini mi pare poco grave, tutto sommato io pure invito affini a casa mia quella reale colli divani veri:) invece la questione rete tutta mi perplime. Per dire: io quando trovo un blog di destra ci ho un sussulto: i blogger di destra sono molti di meno. Ci sono ma sono di meno. Almeno a me pare così

  9. Spett. Dinosauro, poiché presumo che il “voi” che Lei usa (“le vostre espressioni di disgusto”) si riferisca ai commentatori che frequentano questo sito, Mi preme farLe notare che ho avuto modo di esprimere giudizi negativi (rasentanti il disgusto) sull’operato delle passate ministre Pollastrini e Lanzillotta anche in questa sede. Prenda questa mia come un “SI” di risposta alla Sua domanda.

  10. Nera no. Ok. Rossa allora. Rossa magari andava bene, no? Purtroppo al governo c’è la destra, ecco spiega questo dark-spot… Bonsoir

  11. Ok girolamo! Riecco il ritornello destra-sinistra. I blog prevalentemente culturali dovrebbero, ogni tanto (sic!), lasciare a terra quell’ideologismo che tarpa le ali della cultura. La questione della rosa non è di per se importante, l’approccio alla discussione si. Non credo sia un male confrontarsi senza limiti, mantenere solo quello della decenza. Tanti interventi riportati in questo blog, piuttosto che in Nazione indiana, Carmilla, il primo amore ecc. li condivido, altri sono per me stimolo alla riflessione ed il confronto altri ancora li rigetto. Ciò non vuol significare essere di destra o un po’ meno di sinistra. Rifiuto le classificazioni a premessa di ogni dibattito. La “Cultura” non può essere indulgente (o complice) con una parte politica o un’altra. Ogni cittadino deve fare scelte politiche, quindi anche chi s’interessa di cultura.

  12. Appunto. Discutere sulla scelta di un simbolo, che venga da Mara Carfagna o da Beccogiallo editore, per me è fare politica, oltre che cultura. Temo che dinosauro confonda politica e partiti, oltre che testate (web o meno) e teste dure.

  13. No, dinosauro, non mi risulta che il bianco simboleggi la dignità: in tutta la tradizione è simbolo di qualcosa di vuoto, intonso, allo stato di natura, “sine macula”. Che lo stupro offenda e in questo senso sporchi la donna è fuor di dubbio, certo che rimarcare su quest’aspetto è francamente banale. Qualcuno ce l’ha, un simbolo per la dignità? La spada? no, troppo violento. Il rosso? No, la passione. Il giallo? No, l’invidia e l’ambiguità (tradizionalmente, poi io lo adoro, il giallo). Una corona? No, sa di potere…

  14. @Gabriele. Il problema simbolico non è legato al colore d’arrivo, il nero, ma a quello di partenza, il bianco. Una pubblicità che facesse diventare la povera candida rosa di un rosso sangue, magari con degli sgocciolii, sarebbe stata ancora meno azzeccata, avrebbe fatto “jus primae noctis”…

  15. @ Dinosauro
    Ti ho forse dato del “destro” o del “sinistro”? Tu hai chiesto se ci sarebbe disponibilità a criticare anche Pollastrini o Bindi, io ti ho risposto che l’ho già fatto (mi correggo: in un post non qui, ma su Nazione Indiana). Lo spot di Carfagna mi dà fastidio, molte cose fatte da Pollastrini e Lanzillotta anche, e forse di più: segno che mi infastidisco a prescindere da etichette. Fine.

  16. @ Marco B. Appunto. Comunque la si veda, qualsiasi colore avrebbe avuto dei risvolti poco azzeccati.
    Volevo solo ironizzare con l’autrice del post (ma a quanto pare qualsiasi battuta diventa un’invettiva nei suoi confronti) perchè si cerca sempre di far polemica su qualsiasi cosa appaia in tv ed abbia a che fare con la Donna. Così tanto per.

  17. Non tanto per, caro Gabriele.
    Basta riflettere sulla dichiarazione del Presidente del Consiglio apparsa oggi su tutti i giornali: “La maggioranza degli italiani vorrebbe essere come me, si riconosce in me e condivide i miei comportamenti”.
    E rileggere in questa luce la frase “qualsiasi cosa appaia in tv”.

  18. Concordo sul fatto che quella rosa bianca, tutto lo spot è abbastanza banale, ma sostenere che è pericoloso è falso, anzi è proprio vero il contrario se si dà retta al significato delle relazioni oggettuali portato a livello del conscio.

  19. Ho appena ascoltato un’intervista a M. Carfagna (tg2 ore13). Alla domanda “perché il colore bianco?” la risposta del ministro delle pari opportunità è stata “perché è il simbolo della purezza e del candore femminile”.
    Sì, decisamente tutto molto retorico.

  20. Provo ad articolare la mia idea. A livello simbolico, di immagine, la significazione non è mai semplicemente a livello del significante. Se così fosse, i nostri sogni sarebbero facilmente decostruibili e comprensibili. Lasciamo l’interpretazione dei sogni a chi deve giocarsi i numeri al lotto.
    In Occidente, influenzati da una cattiva lettura illuministica della ragione, “comprendere” ha sempre avuto un riferimento alla ragione e alle idee della mente. Neppure il sospetto che le idee nascono all’interno di un orizzonte comprensivo pre-logico, pre-mentale che possiamo chiamare “simbolico”, a condizione di non intendere il simbolo come un segno che rinvia ad altro, o come il contenitore di ogni inesplicabile mistero, ma come ciò che mette insieme, in greco syn-bàllein, i motivi che, nel loro intrecciarsi, esprimono il senso, e che a livello previsionale sono avvertiti dal sen-timento, nel senso greco del thymòs che, da Omero a Platone, designa quella capacità di avvertire la situazione a un livello antecendente l’analisi razionale, e di agire e reagire.
    Nella nostra cultura non si è mai data rilevanza alla comprensione di cui è capace il sentimento. Alla base di questa lacuna c’è la persuasione che il sentimento appartegna alla natura dell’uomo, quindi all’elemento non-storico della sua storia, anche se poi siamo tutti persuasi che il nostro modo di “sentire” non assomiglia più al modo di sentire dei Greci o di Dante ( e qui la rosa cade a pennello) o più semplicemente al modo di sentire dei nostri padri.
    In questo senso certo la scelta della rosa la trovo debole e antiquata, mentre giusta l’idea del contrasto ma avrebbe richiesto altro scenario simbolico, molto più forte e crudo per risvegliare fantasie edipiche al livello del simbolico. Dubito cmq fortemente – sulla base dei dati della letteratura scientifica – che un qualsiasi scenario simbolico sia capace di agire positivamente, cioè in senso risolutivo o evolutivo a livello di un contesto di pubblicità.
    Certamente l’effetto contrasto – che mette insieme a livello simbolico aspetti opposti può a livello di pubblicità attivare processi immaginativi vissuti ormai incosnciamente e mai divenuti mnestici. E questo può essere utile. Solo come inizio. Non si può certo escludere in qualche caso effetti deleteri, ma in genere e molto frequentemente chi agisce in maniera sessualmente violenta, attinge a un immaginario molto più complesso ed eccitante di questa banale pubblicità – che in sé mi sembra proprio inutile ma non certamente pericolosa. Sul nostro inconscio il contrasto simbolico di questa pubblicità ha l’effetto di una piuma, di un lieve solletico. L’inefficacia è anche data dal fatto che l’immaginario – a livello incosncio e preconscio – vive una storia a livello simbolico. In questo senso sono non pericolosi ma pericolosissimi
    quei film che riproducono con gusto sadico e gratuico e spettacolare violenza sulle donne.
    Naturalmente sono pericolosi solo per quei soggetti che non hanno risolto il conflitto preedipico, ma questo neanche può bastare, occorre anche che tale conflitto sia stato mal risolto in senso psicotico e fortemente narcisistico o alimentato da angoscia di castrazione.
    Sulla genesi del contrasto o discontinuità, ovvero sulla Genesi della dissociazione madonna/prostituta
    La capacità di essere discontinui, ha le sue radici più profonde nella discontinuità della relazione tra madre e bambino. Il bambino si rende conto di quando la madre diventa irraggiungibile per lui perché torna dal marito come partner sessuale. A livello ideale, una donna può alternare i suoi due ruoli e muoversi facilmente dal ruolo di madre tenera, sottilmente erotica e affettuosa per il suo bambino a quello di partner sessuale ed erotica per il marito: il bambino si identifica inconsciamente con lei in entrambi i ruoli e la discontinuità della madre innesca le prime fonti di frustrazione e di nostalgia. Inoltre, attraverso l’identificazione con la madre, si innesca anche la capacità del bambino di essere discontinuo nelle proprie relazioni intime. L’autoerotismo infantile deriva da sequenze ripetute di gratificazione alternata a frustrazione dei desideri di fusione con la madre.
    La masturbazione può rappresentare una relazione d’oggetto prima di diventare una difesa contro la relazione. E’ da notare l’aspetto ossessivo, coatto e ripetitivo della masturbazione negli uomini sessualmente violenti.
    Questa discontinuità è una caratteristica fondamentale del funzionamento umano, sia nella normalità che nella patologia. La discontinuità protegge la relazione dalla pericolosa fusione all’interno della quale l’aggressività potrebbe avere il sopravvento.
    Questa capacità di discontinuità viene giocata dagli uomini nella relazione con le donne: staccarsi da una donna dopo aver ottenuto la gratificazione sessuale rappresenta un’affermazione di autonomia e una normale reazione narcistica al ritorno della madre, anche se di solito viene male interpretata nel cliché culturale, prevalentemente femminile, che gli uomini abbiano una minor capacità delle donne di stabilire una relazione di dipendenza.
    Nelle donne, tale discontinuità è normalmente attivata nella relazione con i figli piccoli, anche nella sua dimensione erotica. Ciò porta, da parte dell’uomo, alla sensazione di essere abbandonato. siamo di nuovo nel cliché culturale – questa volta maschile – dell’incompatibilità tra funzioni materne ed erotismo eterossesuale nelle donne.
    La discontinuità degli uomini tra atteggiamenti erotici e atteggiamenti di tenerezza nei confronti delle donne si riflette nella dissociazione madonna/prostituta, la loro più tipica difesa contro la relazione sessuale edipica con la madre incosciamente mai abbandonata, proibita e desiderata. Ma al di là di tale dissociazione, nelle relazioni degli uomini con le donne, tendono a riemergere profondi conflitti preedipici con la madre, con modalità non attenuate che interferiscono con la capacità di impegnarsi profondamente con una donna.
    Per le donne, che già nella prima infanzia hanno spostato il loro coinvolgimento affettivo dalla madre al padre, il problema non sta nell’incapacità di impegnarsi in una relazione di dipendenza con un uomo, ma piuttosto nell’incapacità di tollerare e accettare la propria libertà sessuale nell’ambito della relazione.
    Mentre gli uomini affermano la loro genitalità fallica fin dalla prima infanzia, nel contesto dell’erotizzazione inconscia della relazione madre-bambino, le donne debbono riscoprire la propria sessualità vaginale origianaria incosciamente inibita nella relazione madre-figlia.
    Si potrebbe dire che l’uomo e la donna devono imparare con il tempo ciò che l’altro è già preparato a fare quando stabilisce una relazione d’amore: l’uomo deve arrivare a impegnarsi profondamente e la donna deve conquistare la libertà sessuale. Naturalmente quando non ci si riesce, la situazione puà avere varie eccezioni a questo modello evolutivo sano, come la patologia narcisistica nelle donne e la grave angoscia di castrazione, di qualsivoglia origine, negli uomini. E, sopratutto quest’ultima è capace di degenerare nelle forme più violente verso le donne. E su quest’ultimo punto che doveva essere costruita una pubblicità che dir si voglia almeno un pochini proficua.

  21. Ehm, la vedo dura a trovare o anche solo a organizzare la ricerca di dati sperimentali che trasformino la teoria di Freud in qualcosa di oggettivo, da poter avanzare non come ipotesi ma quasi come dogma come tu hai fatto. L’oggetto è infatti la mente umana, qualcosa di non fisico, qualcosa che non può nemmeno capire sè stessa, figuriamoci farsi capire senza che entri in gioco la soggettività dell’esaminatore, per quanto preparato. In ogni caso oggi è pesantemente in crisi il confine tra finzione e realtà, dato che un’apparizione fittizia (nel senso di “interpretando un personaggio fittizio”, dichiaratamente o no) in televisione si trasforma in fama spendibile sul mondo reale e le notizie reali vengono riadattate, “romanzate” secondo il linguaggio televisivo, raccontate nei telegiornali come altrettante trame di telefilm. E’ in questa osmosi sempre più accentuata il pericolo, non nella finzione della violenza in sè ma nella capacità di discernimento sicuro (conscio, inconsciamente o a livello fantastico sai tu cosa non succede) dello spettatore

  22. @marco b.
    Sebbene il retroterra del mio discorso è legato a freud, le cose che ho scritto sono state acquisite già da tempo in vari e diversi ambiti psicoanalitici e con Freud e le sue teorie c’entrano relativamente poco, e le osservazioni nell’ambito delle clinica psicoanalitica sono ben consolidate dai risultati che si hanno. Non è una teoria. Ci sono molte evidenze in tal proposito. i dogmi non c’entrano niente, c’entra la pratica psicoanalitica e non il mondo delle ipotesi. La letteratura psicoanalitica è molto istruttiva in questo senso. E’ sufficiente sollecitare l’immaginario con le dovute tecniche per accorgersi di ciò. I pregiudizi nei confronti della psicoanalisi – quando usata con intelligenza – sono infondati.
    Occorre lasciarsi alle spalle il cogito cartesiano quando si vogliono costruire relazioni felici tra uomo e donna. Invece, mentre da molti ambiti disciplinari che spesso si ignorano tra loro, si va acquisendo la consapevolezza dell’infondatezza del cogito cartesiano, dove va a parare il discorso pubblico sui rapporti conflittuali tra uomo e donna? Va a parare proprio su quello che andrebbe abbandonato. C’è un evidente masochismo a non voler guarire. E la psicoanalisi funziona lì dove si apre al discorso filosofico. Non penso proprio di cercare di organizzare dati sperimentali per oggettivare alcunché di psichico e relazionale. Non è lì che si trovano le risposte. Ma poi, neanche esiste una scienza oggettiva.
    In quanto al rapporto tra finzione e realtà che tu definisci in crisi, dal mio modo di vedere è una cosa positiva. Certo in una prima fase il rapporto tra reale e virtuale può essere investito da aspetti deleteri, ma esiste anche la possibilità di costruire una pedagogia del virtuale. Mi rifaccio alle tesi che condivido in toto di Elemire Zolla.
    Ma tornando al mio discorso. Se c’è una speranza che i rapporti tra uomini e donne cambino, questo non avverrà come risultato di razionalizzazioni cognitive esterne, non avverrà attraverso un discorso o narrazione di tipo politico-culturale dentro la società (che però è proficuo e necessario), ma solo quando con la psicoanalisi – ma anche con altri mezzi (filosofia compresa – che è il luogo dove l’ascolto rivolto a se stessi raggiunge l’apix mentis) che impegnano dall’interno e in prima persona – si metterà mano alle forze psichiche profonde, pre-cognitive che dominano l’individuo. La nostra base emotiva è ancora primitiva, arcaica e infantile e ci domina.
    Gardner in Educare al comprendere spiega molto bene che è impossibile istruire se prima non si è provveduto alla costruzione dell’identità, non ci si è inseriti nei meandri del desiderio, non si sono fatti i conti con i problemi connessi alla frustrazione e alla rimozione che sono dinamiche abituali. Per ultimo vorrei ricordare quanto ha detto Silvia Vegetti Finzi: il patrimonio di sapere messo a disposizione dalla psicoanalisi dovrebbe essere quello più idoneo da chi attende un discorso sull’educazione sessuale ( e quella pubblicità vorrebbe impropriamente sporgere in quella direzione se è vero che per non essere violenti tra sessi opposti ci vuole tanta educazione sessuale) e per tre ragioni: innanzittuto perchè la psicoanalisi è l’unico ambito disciplinare che ha colto nella sessualità il crocevia della nostra vita, essendo la dimensione sessuale pervasiva di tutti i nostri rapporti. In secondo luogo perchè prevede che l’educatore educhi preliminarmente se stesso, evitando da un lato di adottare uno stile comunicativo razionale e astratto, dall’altro di proiettare sul suo allievo quelle parti di sé che ritiene sconvenienti, con il risultato di giudicare morbosa la curiosità e colpevole l’investigazione. Infine, perchè la psicoanalisi non parla dell’interlocutore ma con l’interlocutore assunto nell’interezza della sua esistenza, cosa che, traslata in termini educativi , significa parlare non della sessualità dei giovani, ma con i giovani che si interrogano sulla sessualità.

  23. @luminamenti Pur restando dell’ idea che la psicanalisi non possa essere qualcosa di diverso da una filosofia con relative pratiche derivate non essendo una scienza nel senso classico (d’accordissimo sull’arbitrarietà degli assiomi fondativi di ogni scienza, ma almeno, questa psicanalisi, lo segue, il metodo sperimentale? Come ottenere,poi, un riscontro in assenza di misurazioni anche lontanamente obiettive delle emozioni?) , ammetto candidamente di non riuscirti più a seguire 😀 . Devi essere molto appassionato oppure lavorare nel ramo per fare discorsi così…

  24. C’è un modo di avere riscontro quando l’acquisizione del senso modifica le proprie azioni. Qui sta l’interpretazione che è cosa diversa dall’ermeneutica.
    Non è possibile misurare un oggetto della dimensione simbolica, né solo per questo dovremmo precluderci altri modi di dare a conoscere le cose.
    Tuttavia per alcune aree dello psichico è possibile procedure anche a misurare seguendo il metodo sperimentale. Basti pensare a Benussi, ma non solo a lui. Prendi anche Mauro Mancia e la neuropsicoanalisi

  25. Segnalo lo slogan che adesso accompagna l’immagine della rosa. “La violenza sulle donne è ignoranza, è follia”. Ettepareva! Mai che un delinquente sia solo o almeno soprattutto un delinquente. E’ pur vero che chi compie certi gesti può esser nato in un contesto culturale che mortifica la donna o può essere arrivato al gesto dopo anni di un rapporto difficile o logorante, ma mi sembra che i due termini abbiano un qualcosa in comune: il marchio di subumano che gettano su chi è indicato con tali aggettivi e la consegente deresponsabilizzazione integrale. Chi infatti sosterrebbe la colpevolezza morale di un ignorante (completo)? Chi la punibilità legale di un folle (completo)? No, non ci siamo.

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