Due chiacchiere con Carlo Freccero sul digitale terrestre. Sul “Diario” che appare su Repubblica di oggi.
Cosa cambia e cosa cambierà davvero a livello culturale con l’avvento del digitale terrestre? “Quasi tutto”, risponde Carlo Freccero, direttore di Rai 4. “Il digitale mette insieme tutti i media, dalla tv al telefonino a Internet, li fa dialogare fra loro, li integra in un unicum. La prima conseguenza è che a livello di contenuti è possibile finalmente sfuggire all’imperativo dell’audience indifferenziata, tipica della televisione generalista, e rivolgerci a un’audience mirata. Si riproporrà in televisione il fenomeno della “coda lunga” che fin qui era caratteristico della rete, per cui i prodotti ritenuti di nicchia finiscono con l’occupare una posizione molto più consistente di quelli ritenuti predominanti. Insomma, cambierà il modo di fare televisione”.
E cambierà anche il modo di guardarla? Sarà necessaria una maggiore consapevolezza da parte dello spettatore?
Certo: essere informati sui media e avere dimestichezza con essi sarà fondamentale. Chi si avvicinerà immediatamente alla nuova televisione è il pubblico dei nativi digitali, già immersi nel multimediale, non più contemplativi, sempre in grado di interagire. E’ il pubblico dei reality, che gioca e vota. E’ il pubblico che ha reso possibile un fenomeno come YouTube. Il pubblico dei fan che discute su Internet dei programmi preferiti. Un pubblico, insomma, che si sposta da una piattaforma all’altra senza problemi.
Un pubblico che è già presente e in che misura in Italia?
Di fatto, il dominio della televisione generalista è ancora predominante per motivi generazionali. Però c’è un elemento significativo. Nella crisi che stiamo attraversando, i consumi materiali hanno subito una forte contrazione. Ma le famiglie continuano a investire nella televisione a pagamento, nella telefonia, nell’acquisto di nuove tecnologie. Significa che comunicare, mantenere contatti e connessioni, è oggi più importante che esibire ricchezza e status. Fa ben sperare.
Come cambieranno, dunque, i prodotti televisivi?
C’è bisogno di prodotti definiti, non rivolti a un pubblico indifferenziato. Le reti tematiche ci hanno già abituati alla possibilità di accedere a contenuti specifici. Il consumo di prodotti internazionali ha già liberato la televisione dalla dimensione locale e storica: quando la pay tv propone i telefilm americani, si rivolge non a un’audience locale, ma un pubblico universale culturalmente differenziato. Questo significa che diventa possibile portare alla luce prodotti minoritari che la televisione generalista aveva eliminato. Non solo: possiamo rivolgerci ai fan che seguono serie americane o giapponesi su Internet e ricorrere al culto per fidelizzarli. Senza la memoria storica della televisione generalista, siamo liberi.
E chi è abituato ai canali generalisti?
Coloro che sono nati dopo il 1975 conservano nella memoria solo la televisione commerciale. Chi è nato dopo il 1990 guarda la televisione solo sul computer. Sono, appunto, i nativi digitali. I veri cittadini del mondo: noi siamo i migranti che devono adattarsi alla loro cultura.
In prospettiva o immediatamente?
Questo è l’orizzonte in cui ci muoviamo, che in Italia è molto rallentato. Il digital divide, nel nostro paese, è fortissimo. Il potere della televisione generalista (e dunque del modello berlusconiano classico) è ancora evidente. Ma non rappresenta il nuovo. E, soprattutto, occorre ricordare che la televisione generalista è stata ed è matrice di consumi materiali, da quelli sofisticati come la moda a quelli di largo consumo come i pomodori pelati. Mentre i nuovi media esaltano i consumi immateriali. E, dunque, culturali.
rifletto a voce alta. percepisco, nelle risposte di Freccero, una sorta di ottimismo. vien da dire che con la legge Gasparri il Padrone di tutte le reti, monopolista del verbo sciatto e unificato della televisione, abbia solo rimandato l’incubo della sua caduta – per un populista, comincia dalla perdita della popolarità, prima ancora che dalla macchia sulla fedina penale. ma non è così. nella moltiplicazione dei canali (e delle opzioni multimediali) c’è sicuramente la possibilità di un’apertura alla pluralità delle voci e delle culture, ma le posizioni dominanti restano inalterate. il che mi porta a pensare che con il digitale cambierà solo il modo di guardare i contenuti – che non è poco, ma neanche abbastanza per quella rivoluzione culturale di cui, secondo me, questo Paese avrebbe un gran bisogno.
Condivido quanto scritto da Zesitian.
Questa intervista è fuorivante, le affermazioni di Freccero possono avere una loro validità se riferite a un futuro ancora di là da venire, in cui la televisione viaggerà su Internet. Ma nel digitale terrestre che abbiamo oggi non c’è nulla di tutto questo, la pluralità dell’offerta è sostanzialmente in mano agli stessi monopoli di prima, e l’interattività con gli spettatori è minima e rimarrà sostanzialmente inapplicata. Presentare il digitale terrestre come una rivoluzione è fuori dalla realtà.
mi associo al coro, anche perche’, come tutti gli strumenti complessi, si puo’ usare a vari livelli. Internet lo puoi usare solo per facebook, se vuoi. Il computer, solo come macchina da scrivere, se vuoi. La TV in digitale la puoi usare esattamente come quella di prima, se il telecomando pigia sui soliti canali, con la programmazione esattamente identica a prima. E sono certa che cosi’ sara’ usata in massa, cosi’ come, comunque, con Internet in casa, l’80% continua a usare la TV come unico mezzo informativo.
Che poi, sui nativi digitali, vedi il trafiletto di Repubblica di ieri: il giornalista proprio non riesce a trattenersi dal commentare che “Viene da chiedersi allora se queste abilità non siano premature al punto da presentare dei rischi per i bimbi, o se tutto rientri nell’inevitabile e preciso ritmo dell’evoluzione. Queste capacità …dei nativi digitali, indubbiamente utili, possono rappresentare un pericolo? E questa attrazione per il mondo tecnologico è naturale, indotta e può essere in qualche modo pericolosa?” (http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/tecnologia/bambini-web/bambini-web/bambini-web.html). Sempre li’ a incutere diffidenza. E questo e’ Repubblica, figurati gli altri! Stiamo freschi.
Freccero, va detto, parla di un orizzonte, non di una realtà già in atto. Che poi le potenzialità del mezzo possano non essere colte, specie in Italia, è molto probabile. Ma non certo.
oh, mamma, quanto pessimismo, a me invece Freccero mette sempre di buon umore.
E’ vero che come diceva Mao (citato da Stephen king!) “Augurati il sole, ma costruisci dighe” però, a furia di costruire dighe, mi sa che uno il sole non lo vede mai 😉
Il dato più interessante sulla TV generalista e sulla TV in generale è: la caduta libera degli ascolti.
no, scusa loredana, ma e’ fuorviante, come diceva Vanamonde. Nell’istante del passaggio al digitale, quando l’analogico viene oscurato, tutto cio’ che succede di fatto e’ che cambi un cavetto, risintonizzi i canali, e poi risprofondi sul divano col pollicione sul telecomando. E continui a vedere tutto come prima, certo meglio, certo con piu’ programmi, ma figurati. Punto. Deve essere una scelta consapevole e voluta quella di provare nuove potenzialita’. Che poi possono solo realizzarsi se l’offerta cambia. Questo e’ semmai il cruccio, capire quanto e quando cambiera’ l’offerta. L’idea della nuova tecnologia che cambia il mondo e’ gattopardesca, se non cambia l’attitudine tutto resta come prima.
Però che ci siano dei presupposti tecnologici che ‘potenzialmente’ ‘potrebbero’ ‘eventualmente’ promuovere un cambiamento mi pare già importante. O no?
Io credo che cambierà come di fatto la coda lunga ha cambiato l’editoria libraria – la consapevolezza che ogni tanto arriva ciccio piccio che vuole quel famoso classico sulla chirurgia ostrogota, (va beh mo esagero:) fa si che l’editore ne tenga sempre una copia- sai mai:) questa verticalità del guadagno rende per forza di cose la prospettiva orizzontale più ricca. E questo sarà anche per la tivvù. Io non credo per altro che occorra essere nativi digitali pe usa ir telecomando. La passività rimarrà garantita eh – ma se passivamente per isbaglio uno mi si appassiona a una cosa ben fatta… beh, è già na cosa!
Scusi, è lei la Squallida Censora di cui qui:
http://www.nazioneindiana.com/2009/11/17/mediterraneo-e-oriente/#comments
“Non solo: possiamo rivolgerci ai fan che seguono serie americane o giapponesi su Internet e ricorrere al culto per fidelizzarli.” Mi sfugge il significato preciso di questa frase, e il prestito lessicale dal contesto confessionale mi inquieta un tantino…
Non sono d’accordo, non del tutto, con l’ottimismo di Freccero, ma per altre motivazioni; che chiarirò in seguito.
Rimane però il dato di fatto, incontestabile, che il passaggio al digitale, oltre alla qualità, ampia notevolmente la banda disponibile e, come diretta conseguenza, il numero dei canali disponibili creando l’opportunità, anche per altre “imprese”, di fare televisione. Il rapporto va da 6 a 12 canali digitali, in funzione della qualità dei ripetitori analogici (che mica scompaiono, ma trasportano altro), per ogni canale analogico attuale. Questo vuol dire che, ad esempio, sui 3 canali analogici RAI o Mediaset, possono essere trasmessi da 18 a 36 canali a fronte dei 6 attuali.
Si tratterà di capire come e in che modo saranno utilizzati questi canali. Tra l’altro la Gasparri prevede l’obbligo, vado a memoria, per i possessori dei canali analogici del trasporto sui canali digitali, anche di programmi di terze parti, per una percentuale che è o del 40% o del 60% dei canali digitali complessivi (non ricordo con precisione, scusate). Non male direi per chi volesse investire in una tv diversa.
Ciò che non mi trova d’accordo ed entusiasta è la considerazione, mia ma non solo per chi conosce il settore, che la tv digitale nasce già vecchia e, purtroppo, siamo tremendamente in arretrato sulla banda larga necessaria per diffondere la IPTV (la tv via internet) che, a differenza dell’entusiasmo di Freccero, è l’unica in grado di garantire una reale interattività.
Probabilmente abbiamo un’idea diversa di “interattività”.
E’ comunque un passaggio che apre molte opportunità: da cogliere. Ecco, magari, col digitale, riuscirò, fra 20 anni, a verdermi il prossimo match fra Italia e All Black; che da me La7 non si prende e di dare soldi a Murdoch, non mi passa nemmeno per l’anticamera del cervello 🙂
Blackjack.
Se non intendo male il pensiero di Freccero sul culto, credo si riferisca al fenomeno dei “fan”, che sono attivi in rete intervenendo sui propri programmi preferiti. Più complessa la fidelizzazione, secondo me: anche perchè la maggior parte dei fan medesimi guarda in rete i programmi che desidera, anche sottotitolandoli se sono in lingue straniere.
Riflessione a margine.
Miliardi di nuovi canali.
Miliardi di nuovi programmi.
Miliardi di nuove offerte lavorative.
Posti liberi?
Zero.
Non sarà che si avvererà l’antico adagio del Gattopardo?
Ora capisco meglio, grazie LL. Quindi si tratterebbe di provare a creare un’osmosi tra i fedeli del web e quelli della televisione spostando i contenuti da una parte all’altra. La riflessione a margine di Ekerot rimanda comunque al problema di rinnovare anche le persone, oltre ai mezzi. Staremo a vedere chi sarà a dettare il ritmo, se l’innovazione tecnologica o la progettualità sui contenuti.
Per una che non accetta l’interattività nemmeno in un blog (se non con i propri omologhi)… sono discorsi abbastanza fasulli.
perdoni (o perdona, se posso usare il “tu”), LL, mi è chiaro che si parla d’orizzonti. ma se la domanda è cosa cambia, e la domanda è a Freccero, io mi aspetto che sia preoccupato quanto noi, noi tutti, sulla qualità dell’informazione e dell’intrattenimento. siamo in Italia, dopo tutto. e non mi pare sia questione accantonabile. non concordo con l’equazione più canali, mercato più libero. c’è una questione che non si può ignorare: la tv commerciale campa di pubblicità e non solo le concessionarie di pubblicità sono in mano a pochi noti, ma anche gli investitori in grado di pagare i passaggi sono pochi noti. riguardo alla qualità delle persone, non v’è dubbio che la moltiplicazione dell’offerta possa far emergere televisione migliore o anche solo diversa. il problema però rimane lo stesso: chi investe su fiorello 2.0 o baudo III deve possedere struttura, investitori e mercato. senza, non parte. la vera rivoluzione sarà sull’interscambio tra internet e digitale, perché banalmente si amplierà a tal punto l’offerta e l’on demand sarà così sviluppato che non avremo neppure più bisogno della diretta. interessante la discussione, in ogni caso.