CORMAC, KING E LA MISOGINIA

Dietro le quinte di Fahrenheit. Alla fine della puntata di ieri, Tommaso Pincio, che ha presentato – magnificamente – Suttree di Cormac McCarthy, mi dice: “Mi aspettavo che tu mi facessi una domanda sulla misoginia di McCarthy“.  In realtà, non ci avevo nemmeno pensato: perchè il mondo senza donne, il mondo primitivo di McCarthy, dal mio punto di vista non si associa alla misoginia. Neanche ne La strada, che prefigura un’apocalisse dove il femminile è espulso o ridotto alla funzione materna (peraltro, limitata al parto).  Perchè il punto di vista del narratore, per me, è un altro, e conduce anche me nella stessa direzione.
E’ un discorso non identico, ma simile, a quello che fa Valeria nel commentarium, quando scrive:
“Sto leggendo The dome di Stephen King. In uno dei primi capitoli è descritto il delitto, anzi il massacro di una ragazza da parte di un suo compagno di scuola. King non ci risparmia niente, né gli spasmi della donna, i liquami (sangue e feci) che versa durante l’agonia, né i pensieri del suo assassino. La misoginia espressa in quelle pagine è di una ferocia intollerabile, ma non è la misoginia di King, è la misoginia del suo personaggio, e questo il lettore lo avverte, non ci sono possibilità di equivoci”.
E’ una questione di voci:  quando è la voce del narratore a prevalere su quella del personaggio, come mi è sembrato in altri casi, allora parlare di misoginia ha un senso.

10 pensieri su “CORMAC, KING E LA MISOGINIA

  1. Sono d’accordissimo… sono anch’io una lettrice di King ed è sempre molto chiaro il confine tra pensiero del personaggio e del narratore. Anzi, la grande abilità di King sta proprio nel saper restituire così efficacemente quel certo tipo di mentalità (iperconservatrice, maschilista, razzista; vedi in “The dome” Big Jim e altri) con accenti di grande verità. Mi piacerebbe che più autori italiani sapessero prendere esempio da lui.

  2. forse in questi casi più che la parola misoginia a me viene in mente l’aggettivo “maschile”; di Cormac McCarthy direi che fa una narrativa molto maschile, che proprio per questo però diventa ancora più interessante; leggi i suoi romanzi e decidi di farti raccontare un universo che può anche non riguardarti direttamente, oppure sì, o comunque escluderti, ma non ti offende;
    invece, ci sono narratori che riempiono di donne i loro libri, pretendendo di saperle raccontare e limitandosi invece a proiettare su quei personaggi la loro visione personalissima che, a volte sì, è misoginia;
    io spessissimo riemergo da letture contemporanee con un vago senso di fastidio e con la difficoltà a identificarmi con i personaggi femminili proposti; volevo insomma confusamente dire che non è una questione di quote rosa nei romanzi

  3. Ricordo una volta che Loredana postò alcuni frammenti di King per mostrare come – nonostante la scena di violenza sulla donna – egli riuscisse a mantenere fermo il suo sguardo e ad impedire che il lettore potesse eccitarsi o essere “deviato” nella lettura.
    Però, vorrei si sottolineasse che la misoginia di un autore, o di un’opera dipendono soltanto in minima parte dalla capacità stilistica dello scrittore. Certo è bene avere gli strumenti per sapere come si fa ad evitare di essere volgare o misogino, nonostante le intenzioni.
    Resta il fatto che appunto contano le intenzioni e la consapevolezza. Se uno scrittore, magari non talentuoso come King, ha comunque ben in mente il problema del femminile, e di cosa comporta inserire una scena di stupro in una storia, sono convinto che abbia le chance di arrivare al traguardo evitando figuracce.
    Non vorrei passasse il messaggio che: ah, metto sto stupro, ma lo scrivo in terza persona, in semisoggettiva come ha fatto King, e supero il problema…
    Nein.

  4. Vorrei aggiungere che ci sarebbe da fare uno studio sui personaggi femminili di King. Non si tratta solo di come si racconta uno stupro. Ci sono donne vere, forti, non idealizzate e incredibilmente “belle” nei suoi romanzi. Ci si può identificare. Per es. in “The dome”, per chi lo ha letto, Julia è davvero un bel personaggio: forte, anche anticonvenzionale, credibile.

  5. In effetti non capisco perché mai dovrebbe essere misoginia quella di Mccarthy, se si limita a raccontare un universo maschile – che poi è un universo del limite, dove il genere scompare. Tanto più che vi sono – poche, sì, ma splendide figure femminili – come la protagonista de Il buio fuori.

  6. Quella di McCarthy è forse l’ammissione, onesta, di un’incapacità di raccontare le figure femminili. preferisco di gran lunga leggere un libro o vedere un film privo di donne che beccarmi tra capo e collo una vagonata di stereotipi (nel migliore dei casi).

  7. Sono d’accordo, anch’io preferisco storie ‘maschili’, con donne assenti o quasi, a certe descrizioni leziose e spesso irritanti di donne improbabili, santini comprensivi o iene feroci poco importa, ma banalizzate e cristallizzate in atteggiamenti da fiction televisiva di basso livello. Faccio un esempio che mi ha colpito: ho letto il romanzo di Gianni Biondillo Nel nome del Padre, e l’ho trovato francamente brutto. Sembra una sceneggiatura pronta per Canale 5. Un protagonista scialbo all’inizio e violento alla fine, una donna (quella ‘cattiva’) che è lo stereotipo di quelle che strillano dalla De Filippi, un’altra (quella ‘buona’) che è tutta saggezza e comprensione da mulino bianco e una figlia che è una specie di figurina panini dell’infanzia. E’ chiaramente un romanzo a tema, ma un tema appena sufficiente…

  8. quello delle figure femminili nei romanzi contemporanei è un tema che mi sta molto a cuore, ma non sono mai riuscita a parlarne serenamente dove mi è capitato di postare qualche considerazione; a volte ci si scontra con schiere di donne che adorano i loro scrittori di riferimento e accettano di farsi raccontare come in realtà non siamo; è una specie di paradosso, il famoso “come tu mi vuoi” che dalla vita reale si sposta anche alla narrativa

  9. E’ la vocazione all’ancillaggio (si dice così?). Il desiderio di essere musa ispiratrice, o di vedersi altra da sé – magari per il profondo fastidio di essere ancella.

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