USCITA D'EMERGENZA

Sono una gran seccatrice. Mi ostino a rimanere legata ad
alcune tematiche. Invece dovrei fare cose molto più serie.

Tipo, lanciare una bella invettiva contro
Harper&Collins per il cosiddetto taglio di Guerra e Pace e in difesa
dell’intoccabilità dei classici.

Invece, riservo la mia indignazione per l’uscita di questi
due libri.
Dettagli.

O anche: mi preoccupo, nell’ambito della letteratura che
si autodefinisce di rango, per il continuo chiudersi a riccio di molte
esordienti, che avrebbero le doti per tentare altre vie, e invece si
compiacciono di storie minime e claustrofobiche, dove le protagoniste si
leccano le ferite nel chiuso di un appartamento. Come se ci fossero ormai, per
la scrittura femminile, pochi e molto malintesi modelli (Duras, soprattutto).

Una mia cara amica mi diceva qualche giorno fa che,
sì, certo, aveva ragione Virginia Woolf . Giustissimo: A room of one’s own.

Ma adesso, da quella stanza, occorre uscire: via, sciò,
aria.

Buon lunedì.

19 pensieri su “USCITA D'EMERGENZA

  1. Quei due grumi cartacei (“libri” non direi) sembrano saltati fuori da un buco temporale dei peggiori anni ’50. Vederli in giro nel 2007 è orrendo.

  2. sarebbe ben ora che l’espressione “scrittura femminile” non fosse la declinazione di un ghetto. Se ne parli.
    A proposito del tagliare (e incollare) Tolstoj, cosa significa questo?
    (ma io la Mazzucco non l’ho letta, magari è solo un giuoco da blog)

  3. @ Effe, a proposito di Mazzucco-Tolstoi. La cosa è vera e nota da tempo, ed è stata tirata fuori un anno e mezzo fa circa da una ricercatrice dell’Università di Palermo. Verissimo che c’è un brano in “Vita” che ricalca pari pari quel passo di Tolstoj. Che i giurati dello Strega non se ne siano accorti è veramente … divertente. Per quanto riguarda il merito della cosa, beh, io ritengo la Mazzucco un’ottima scrittrice e non sarà certo questo episodio che mi farà dimenticare la bellezza di “Lei così amata” (la biografia romanzata di Anne Marie Schwarzenbach) o “Vita” o “Un giorno perfetto”.

  4. “l’ouija board(tavola dell’ouija)è un sistema di comunicazione medianica con i trapassati.Chi lo pratica ne attende i consigli e risposte attraverso la formazione delle parole lettera per lettera”.Forse dovremmo provarlo anche noi
    “poi cominciava a non essere più comprensibile,come dopo la metempsicosi,il pensiero di una vita anteriore:il tema del libro si staccava da me”(cfr Proust in Combray)

  5. Da quei due libri la Szymborska avrebbe tratto due capitoletti per le sue Letture facoltative… e sarebbe bastato per renderli improvvisamente necessari, se non altro come scusa.

  6. 1) Riguardo al taglio: oggi certe operazioni vengono tranquillamente fatte all’origine, ovvero nelle redazioni editoriali.
    2) Scrittura al femminile? Che roba è? Sveva Casati Modignani? Ovvero i coniugi Bice Cairati e Nullo Cantaroni?

  7. Mi permetto di obiettare. A prescindere dal giudizio che viene qui espresso su certa letteratura definita “claustrofobica”, mi preme segnalare che l’associarla (in questa accezione negativa) a un modello durassiano è già un malinteso. È proprio quello il malinteso.
    Nel Viceconsole e nell’Amante e nell’Amante della Cina del Nord, per esempio, Duras parla di Indocina, di colonialismo, di lebbra, di mendicanti, di ambasciate, di differenze di classe, di povertà, di truffe istituzionalizzate a scapito di chi non si può ribellare, del rapporto tra francesi e autoctoni, della lingua vietnamita, della disperazione che viene dal perdere tutto, tutti i soldi che si avevano, della pazzia che ne può derivare, della malattia, e parla di clima, di fiume, di caldo, di un senso di disperazione che non è mai “minimo” e “claustrofobico”, che mentre lo è in realtà è universale. Il Viceconsole è un romanzo politico, assolutamente. Eppure è un romanzo che parla di una storia d’amore, prima di tutto. Di una donna che si concede per “cristiana prostituzione”. Parla di saloni da ballo e campi da tennis. Di un uomo “folle” che di notte sparava sui lebbrosi e che adesso ama quella donna, e il suo amore può solo gridarlo.
    Non diciamo poi di come Duras è stata capace di rappresentare il periodo della Seconda Guerra Mondiale e della Resistenza, raccontando nonostante tutto nient’altro che il “proprio ombelico”, ossia la propria privata attesa di donna, l’attesa del marito deportato, Robert Antelme, e di come la disfatta dell’essere umano, della sua dignità, a opera dell’orrore nazista, sia rappresentata metaforicamente e concretamente dalla disfatta del corpo di quest’uomo, di questo marito finalmente ritornato, dall’odore e dal colore dei suoi escrementi, dalla scarnificazione del suo volto, dalla sua incapacità di deglutire, di ricollegarsi al mondo. È di suo marito che parlava Duras, di quella casa in cui lo ha aspettato e infine lo ha accolto, quasi cadavere. È del Nazismo e dei suoi orrori che ha parlato.
    Certa letteratura “minima”, nel momento in cui riesce a mettere in gioco problematiche e dimensioni che appartengono a una collettività, a rappresentare atmosfere, a raffigurare un certo tipo di emotività che può appartenere a un tempo storico anche preciso, diventa un tentativo (che può o meno riuscire) di universalizzazione. Da lì a essere Duras, ovviamente, ne passa. Ma di certo non è lei il modello che va indicato a supporto di quanto è stato qui detto, questo sì: è davvero un malinteso.

  8. Zohaira.
    Analisi impeccabile. Ma io ho parlato di “modello malinteso” e tendo a sottolinearlo: mi sembra che la letteratura claustrofobica a cui mi riferisco fraintenda clamorosamente Duras, soprattutto la prima Duras aggiungo, e si limiti ad emularne gli aspetti più estetizzanti, senza universalizzare un bel nulla.

  9. La prima Duras è la Duras di Les Impudents o di La vie tranquille o di Un barrage contre le Pacifique, che non hanno di nuovo niente a che vedere con questo fantomatico modello (Le Barrage, per esempio, è stato considerato un romanzo coloniale, Calvino stesso lo amò molto, anche per questo). La prima Duras è una Duras molto più “maschile”, secondo questa distinzione che io detesto ma che comunque utilizzo per capirci. (Duras afferma che era felice, allora, al tempo di quei romanzi, quando le dicevano: “Scrivi come un uomo”. In gioventù, diceva, si può essere felici per questo. Se si è una donna. E si scrive. Si commette questo crimine, diceva lei. In seguito, rinnegherà quei romanzi. Tutto ciò che veniva prima di Moderato cantabile, lo rinnegherà. Chiederà alla gente: non leggeteli i miei libri. Scriverà sui giornali, in vista della prima di un suo film: per cortesia, non venite a vederlo, se già sapete che non vi piacerà, non abbiamo bisogno di voi qui).
    Quello che non capisco (e non accetto) è: se lei crede che Duras non sia “quello” (mi sottolinea: malinteso), perché ne affibbia l’emulazione a chi invece fa proprio “quello”? Perché non potrebbero essere altri i modelli? Perché chiamare in causa Duras? Non lo capisco. E’ come dire di questi scrittori, anzi scrittrici, che credono di ispirarsi a qualcosa e invece si sbagliano. Non solo si dice loro che scrivono cose in qualche modo limitate, si aggiunge pure che non sono in grado di distinguere bene in quello che leggono. Mi pare un po’ troppo…

  10. siebel, ma a quali titoli si riferisce? les impudents, forse?
    non vorrei peccare di presunzione, ma ho l’impressione che molti parlino di duras senza conoscerla. ma forse è un pregiudizio e me ne scuso.

  11. a me sembra semplicemente che la studiosa di Duras abbia frainteso Lippa, quando scriveva che molte scrittrici italiane tutte tormenti dell’ego fraintendessero Duras. non mi pare che il post parlasse male di Duras, tutt’altro anzi.

  12. La Troisi una professionista della scrittura? Per cortesia, i suoi romanzi fanno pena, purtroppo il popolo è bue, sopratutto i ragazzini… Se non fosse per la Mondadori non avrebbe nemmeno vinto un concorso letterario per quello che scrive.

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