Avviene che il più volte citato programmino, quello che va in onda il sabato mattina alle 8.30 su Rai Tre, quello che era stato apprezzato dai norvegesi, quello che con ogni probabilità terminerà irreversibilmente tra sette settimane (non chiedetemi perché), ebbene: sia stato appena selezionato, unico programma italiano, per il Japan Prize! Ne facciamo un manga?
(per i curiosi di conoscere il lato oscuro della vostra eccetera, qui e qui)
Fanno bene a toglierlo dal palinsesto nazionale. Non ce lo meritiamo!
Che dici, Gianni, se mi metto a studiare il giapponese e trasformo Vandana in una sacerdotessa-guerriera ho la possibilità di trasferirmi a Tokyo? 🙂
Il nome da sacerdotessa ce l’ha già. Dovrebbe dimagrire un po’ per quanto riguarda la guerriera! 😉
Beh, magari potremmo lanciare la prima guerriera non taglia 40 della storia del fumetto 🙂
Comunque, si vota il 30 ottobre: incrociamo le dita e fidiamo nella saggezza orientale…
Magic Schiribillia! Questo post mi farà fantasticare per tutto il pomeriggio, vedo davanti a me, nuvolette di pensieri, che lampeggiano cercando la mia attenzione, non sarà facile ignorale… il music manga mi sta perforando la mente… il punto critico è vicino! posso solo sperare che ora squilli la sveglia.
😉
P.S.- Dopo quest’incantevole scoperta, “l’albero azzurro” potrebbe perdere il primato in testa alla charts.
Cara Loredana,
scrivo qui perché mi costringi a farlo, e magari è la volta buona che ti convinci che non è il caso di evitare la discussione (a meno che tu non voglia chiudere il blog).
Detto senza alcuna polemica e senza “sputare veleno a casaccio”, onestamente trovo davvero illeggibile e impubblicabile Wu Ming, se non per stretto legame familiare o per intima amicizia, o per cameratesca condivisone di ideologie politiche staliniste-leniniste. So che tu li ami, e forse sei dentro ad una di queste categorie. Peccato solo che nessuna di queste categorie è letteratura. Eppure Wu Ming è in libreria, vende sicuramente zero, ma è in libreria: come una mozzarella sul banco di un merciaio.
Luca Bersi
Ma sì, ha ragione Luca Bersi. E’ tutto un magna magna, una camarilla, una cosca, una mafietta. E poi lo sanno tutti che le centinaia di migliaia di copie vendute dai WM se le sono tutte comprate loro!!!
Non andiamo OT, però.
“Wu Ming ad esempio ci ripropone per l’ennesima volta l’Icona Cinematografica, qui Errol Flynn, in una fumeria d’oppio… (sembra una citazione da C’era una volta in America di Leone). A un certo punto leggiamo: “era atterrato su un terreno già zuppo di whisky, sherry spagnolo, vini francesi, birra…”.
Mentre Flynn presentando un tedesco dice: “Ki fiene foi adesso?”
Ma che scrittura è? Hard-boiled? Tex Willer? Una citazione da Paolo Villaggio e Sturmtruppen?”
Filippo La Porta
FILIPPO LA PORTA
Filippo La Porta è nato a Roma, nel 1952. Saggista e critico letterario, scrive su L’Unità, Musica! e D di la Repubblica, il Manifesto e numerose altre testate. È, inoltre, autore di La nuova narrativa italiana, Travestimenti e stili di fine secolo (1995 e nuova edizione 1999), Non c’è problema. Divagazioni morali su modi di dire e frasi fatte (1997); Manuale di scrittura creativa (1999), Narratori di un sud disperso. Cantastorie in un mondo senza storie (2000). Ha altresì curato Racconti italiani d’oggi (1997) e, insieme ad Alessandro Carrera, Il dovere della felicità (2000).
Che bella cosa il Japan Prize! Auguri e in bocca al lupo!
Non che mi entusiasmino i Wu Ming, però qualcosa fanno, un tentativo di fare qualcosa di nuovo c’è (poi non estraetemi un giudizio personale perché ne direi di tutti i colori… ma il loro lavoro è diverso dalle esternazioni in rete).
Inoltre argomentare sull’autorità di La Porta è decisamente, diciamo, eccentrico…
Ma perchè tutta questa pubblicità ai Wu Ming? Possibile che in post dove si parla di tutt’altro spuntino fuori sempre i Wu Ming?
Non avete altri mezzi per far vendere i loro libri?
Io pubblicità non ne faccio di certo, leggo altri autori (non sto a dire quali che l’ho detto migliaia di volte) e ultimamente prendo quasi solo cataloghi d’arte (prossima volta che vado a Bo cercherò qualcosa di due autori diversissimi Winslow Homer e Anselm Kiefer purché ci siano i suoi primi quadri) e fumetti, figurati un po’…
perchè la rai chiude il programma?
Bisogna parlarne perché altrimenti si incensano di una gloria che non esiste.
Hanno una biblioteca, smilza, ferma da un anno con qualche libretto in copyleft. Anche in quel poco, è davvero difficile trovare qualcosa ai limiti della decenza di una pubblicazione.
E’ un gruppo chiuso, che si loda e s’imbroda all’interno, che vive esclusivamente di politica – perché di letteratura, credetemi, davvero lì non ce n’è traccia – e di un fanatismo politico a dir poco disarmante: ho letto discussioni in cui, fieramente, si proclama “Io stimo Stalin” o “Io sto con Hezbollah” e altre robe agghiaccianti. E quando qualcuno gli fa presente la dura realtà, censurano. O meglio, censuravano: per causa mia, infatti, ora hanno addirittura eliminato la possibilità di commentare. E’ stato un grande risultato, e per la felicità mi ubriaco tutte le sere. Iuc!
Luca Bersi
Ho dato una scorsa al link del Japan Prize. Elenco: cinque programmi dal Canada, quattro dalla Germania, due dall’Inghilterra, due dall’America ecc.ecc. Uno solo dall’Italia e quell’uno è “a termine”?
Che bravi…
@ Luca Bersi la frase “Io stimo Stalin” non è un libro di WM, non è il loro lavoro.
Nel loro lavoro sicuramente cercano di mettere qualcosa.
Poi puoi dire che è meglio seguire altre strade, e forse se mi spieghi quali ti potrei anche dare ragione.
Lo stesso discorso vale per Genna.
fine dell’off topic eh
per ???
perchè la rai chiude il programma?
Caspita: questa sì che è una bella domanda! 🙂
Titonco, ma il blog l’hai poi fatto o no? Ti va di dirmelo in un orecchio?
No non l’ho fatto, è al di sopra delle mie possibilità dato che impiegherei almeno una settimana per post.
Però dei giovani fumettisti a altri amici loro mi hanno chiesto di entrare nel loro blog minacciandomi di morte. Naturalmente ho accettato.
Ma è una cosa che non c’entra coi lit blog, lì parlano di artisti e illustratori oppure di musica, i libri sono solo una parte. Sono dei bravi ragazzi.
biondillo da te non mi aspettavo che volessi far dimagrire Vandana solo per farla assomigliare ad Uma Thurman ;-PP
poi qualcuno mi spiegherà perchè in un post dove si parla di hit science si debba finire a parlare di Wu Ming…
E se proprio non li sopportate , ma non li leggete e smettetela di accorarci così con questa polemica ottuagenaria.
State diventando vecchi.
Lippa spero proprio che in Giappone farai faville! Tu, il programma, il sushi e superolli 😉
Vegliarda sarai tu Isabella, io domenica ero a 5-6 metri da Springsteen dopo 12 ore di fila, a ballare cantare e sibilare brus brus.
Andare ai concerti di Springsteen è roba da vecchi…
Springsteen è un grande musicista e un poeta. Dal vivo è tra i migliori di sempre. E’ molto intelligente e vede lontano.
Qui si è straparlato molto di “popolare”. Andare a vedere un suo concerto aiuterebbe a capire cosa significa “popolare”. Vedere poi le Seeger sessions aiuterebbe a capire come con un po’ di lungimiranza e coraggio non è detto che popolare coincida con mass market. Sotto i miei occhi rivivevano – e emozionavano migliaia di persone – vecchie canzoni date per spacciate.
In Springsteen “popolare” coincide eccome con “mass market”.
E comunque sempre roba da vecchi è.
basta con gli Ot, grazie 🙂
Andrea, non fare anche tu il solito mischione confusionista (tipicamente umanista-italiota) tra “popular”, “popolare”, “folk” e “di massa”. Da te mi aspetterei più consapevolezza e rigore concettuale.
I rapporti tra queste dimensioni della cultura oggi sono in via di ridefinizione, ma li possiamo capire solo se non li confondiamo tra loro.
Un tempo si chiamava
“cultura di massa” quella (prodotta e riprodotta industrialmente) che aveva soppiantato la vecchia cultura popolare (nel senso di “folk”).
L’inghippo nasce dal fatto che in inglese questa cultura di massa è sempre stata definita “popular” (per sottolineare il fatto che non si rivolge a ristrette élites ma è rivolta alla fruizione da parte di grandi numeri di persone).
C’è però uno spostamento d’accento: se l’attributo “di massa” descrive questa cultura dal punto di vista di chi la produce, distribuisce, promuove, l’aggettivo “popular” la descrive dal punto di vista di chi la fruisce, la integra nella propria vita, se ne riappropria, ne discute.
Insomma, “popular culture” è la cultura di massa intesa principalmente come fenomeno sociale, antropologico.
Il recupero del folk di Woody Guthrie, Pete Seeger etc. da parte di interpreti come Dylan o Joan Baez e poi mille altri, fino a Devendra Banhardt, al neo-folk e oggi alle Seeger Sessions del Boss (che sta facendo un lavoro prezioso), è fin dagli anni Sessanta un fenomeno di cultura di massa e “popular”. Quello non è più il folk originario, perché il contesto è diverso. Quindi attenzione quando si dice che Springsteen fa musica “popolare”, attenzione a non confondere “folk” e “popular”.
Le trasformazioni in corso oggi stanno sfumando la distinzione tra chi produce e chi fruisce. Era un confine già “poroso” e pieno di varchi, ma oggi la rete sta smantellando tutte le garitte di guardia.
Da un lato il mainstream è meno importante di un tempo (fine della “hit culture”: i dischi di successo vendono incredibilmente meno di un tempo, i film di successo incassano molto meno al botteghino), dall’altro c’è un vorticoso , gorgogliante proliferare di nicchie di consumo/riscrittura/riappropriazione.
L’aspetto di cultura “di massa” sta perdendo importanza, mentre quello di cultura “popular” acquista un rilievo sempre maggiore.
Qui c’è il nuovo inghippo: secondo chi si occupa di questa nuova cultura “partecipativa” (fan fiction, mash-up, machinima, brick films etc.), la “popular culture” di oggi ha in sé molte caratteristiche tipiche della vecchia cultura folk pre-industriale, ma in un contesto nuovo, di ultramodernità.
Vogliamo cercare di capirle , queste cose, vogliamo discuterne insieme, o preferiamo accusare chi se ne occupa di “straparlare” e di non occuparsi davvero di cultura ma di pattume? Davvero si pensa di poter continuare a dire che oggi “le masse” sono in balia del “consumo passivo”, riproponendo inalterate analisi di cinquant’anni fa? Davvero c’è chi pensa di “occuparsi di cultura” snobbando tutto questo, che è un vero e proprio terremoto cognitivo (e che sta rendendo i bambini più intelligenti, come dimostra Steven Johnson ricerche alla mano)?
E’ saltato un frammento: serie classica di Star Trek, of course.