Ieri pomeriggio, scrivendo in corsa un articolo
sull’imminente Romics (la Fiera del fumetto e dell’animazione che
comincia dopodomani a Roma), mi sono giocoforza imbattuta in Candy Candy:
dal momento che uno degli appuntamenti centrali di Romics medesima è il Candy
Candy Day (peraltro, con modalità mutuate dal fandom, come la scelta
di un finale alternativo a quello della serie ufficiale), e dal momento che-
nel bene o nel male- l’orfanella bionda è stata uno dei simboli degli anni
Ottanta (arriva in Italia il 1 marzo di quell’anno, ed è il primo programma
televisivo a venir trasmesso contemporaneamente da una serie di emittenti
locali…giudicate voi), e dal momento ancora che mi sembra crescente l’urgenza
di fare i conti con i medesimi, sono andata a ricercarmi una cosa. Ovvero, la
prefazione di Girolamo De Michele, postata domenica su Carmilla, al
romanzo di Saverio Fattori: Chi ha ucciso i Talk Talk? Falsa biografia autorizzata di Marco
Orea Malià.
Vi posto l’inizio, prosegue qui.
Non si esce dagli anni Ottanta, cantano gli Afterhours:
quante volte abbiamo (abbiamo chi? noi chi? – non importa) ripetuto questa
frase? Quante volte abbiamo citato qualcuno – molti qualcuno, forse – che ha
detto: quando penso agli anni Ottanta non mi viene in mente niente? Bene: è ora
di finirla. Se non riusciamo ad uscire dagli 80s, allora bisogna cambiare
strategia: entrarci, negli 80s. Dentro, e sopra: entrarci a gamba tesa, a piedi
uniti. Tanto la moviola-in-campo, il potere sulla velocità di scorrimento dei
fotogrammi della nostra storia, il potere di selezione e alterazione è sempre
in mano a quelli che gli 80s li hanno inventati.
Sono loro a taroccarci la visione, a decidere quale
lato dell’“oggettività”, quale frammento di “verità” gabellarci: che per una
volta vada in onda l’immagine “vera” e “oggettiva” del loro ginocchio che ruota
innaturalmente, il loro tibia-perone frantumato, i loro fottuti menischi che
schizzano via come le lame rotanti dei loro robottini giapponesi. Per noi i
cartellini sono sempre stati rossi, uno in più… Ci avete voluti cinici? Bene,
ecco quel che siamo.
Come entrare negli 80s? Qual è la tana del Bianconiglio? La sala d’attesa della
Stazione di Bologna? La bisca del Libano e del Freddo? Il pozzo di Vermicino?
Una radio sperduta in qualche buco, o un buco perduto in una radio? Queste
strade hanno utilità e danni per la nostra vita. Utilità: ciascuna di loro
parte da un altrove esterno agli 80s, e da quell’altrove si dipana come un filo
nel labirinto della coscienza di questo Paese, come dall’amorevole mano di
Arianna. Questo altrove permette la distanza, cioè lo spazio della critica
degli 80s. Ma anche, danno: da quell’altrove non si diventa abisso perché, con
un piede fuori dagli 80s, non si riesce a scrutare l’abisso fino in fondo.
Persino la più etica delle affermazioni – e mi rimane ancora la certezza che si
possa sbagliare dalla parte giusta(*) – troverà qualche ammiccante ultimo uomo
disposta a rovesciare la certezza in consolazione, e la consolazione in
rassegnazione da cambiare al banco dei pegni.
non è per cagare la minchia, ma Manuel Agnelli cantava ‘lo sai che non si esce VIVI dagli anni Ottanta…’, per cui entrarci ci si entra da MORTI!