Il corpo è il punto zero del mondo; laddove le vie e gli spazi si incrociano, il corpo non è da nessuna parte: è al centro del mondo questo piccolo nucleo utopico a partire dal quale sogno, parlo, procedo, immagino, percepisco le cose al loro posto e anche le nego attraverso il potere infinito delle utopie che immagino. Il mio corpo è come la Città del Sole, non ha luogo, ma è da lui che nascono e si irradiano tutti i luoghi possibili, reali o utopici.
Quanto sopra viene da un libro che esce fra due giorni per Cronopio “Utopie Eterotopie” , ed è la traduzione italiana di due conferenze radiofoniche di Michel Foucault (1966).
Al di là della ghiottoneria libresca, la citazione ha un suo motivo: sto infatti leggendo senza sorpresa dell’altra annosa vicenda, quella che campeggia nelle pagine di apertura dei quotidiani in questi giorni e che non ha molto a che fare con la letteratura (semmai, la letteratura ha descritto più volte il meccanismo, che è alquanto antico) e molto con un uso e abuso del corpo (femminile) lontanissimo dal nucleo utopico di cui parla Foucault.
Per dirla semplicemente: attribuire la responsabilità primigenia della disponibilità a farsi merce di scambio (da parte delle cosiddette aspiranti-qualcosa) alla cultura velinesca della televisione e, in assoluto, alla televisione tutta, è semplice quanto, probabilmente, superficiale.
Come sempre, non ho risposte ma domande.
La prima riguarda il come e il quando il corpo abbia smesso di essere, anche, utopia. La seconda, il come e il quando si sia bruscamente smesso (o almeno: apparentemente smesso) di discutere su questo: e di discutere non nelle nicchie delle pensatrici, pentite o meno, ma in spazi accessibili anche alle aspiranti-qualcosa, alle fanciulle con mutanda a vista che tanto turbarono Marco Lodoli, alle giovani lettrici che, come detto diversi post fa, si turbano a loro volta se un romanzo contiene scene sessuali.
Sempre per dirla semplicemente e necessariamente generalizzando: possibile che ci siano stati anni fittissimi di parole e, appunto, di utopie, che sono scivolati via lasciando le generazioni successive divise fra neomoralismo e acquiescenza carrieristica? Possibile che a fronte delle tonnellate di libri-confessione di ex-anoressiche-bulimiche etc. si indichi come unica e sola causa del problema il modello femminile televisivo da taglia 40? Non sarà che la questione del corpo femminile, prima oggetto e soggetto di discussioni interminabili e certamente non sbrigative, sia ora faccenda da liquidare in poche righe, magari da intercettazione telefonica?
E dal momento che le domande sono diventate troppe, taccio, rimugino, mi rileggo la parte finale di un vecchio articolo di Anna Bravo su sesso e Sessantotto, sperando che Anna abbia ragione:
“Ci vorrà tempo perché le donne comincino a desiderare una vera libertà sessuale e sentimentale, fino a diventare le protagoniste del passaggio dall’ unione contrattuale a quella d’ amore; i cambiamenti nelle culture hanno origini e ritmi propri. Ci vorrà tempo anche perché le ragazze degli anni Settanta riescano a dire sì e no a seconda del proprio desiderio, e non come reazione in positivo o in negativo alle aspettative maschili. Chissà se oggi – divisione dei ruoli sempre meno rigida, più donne che, pur con difficoltà, si affermano nel lavoro, politica languente, un’ inondazione di messaggi contrastanti – le giovani donne hanno maggiori opportunità per capirsi. E’ una speranza e un augurio.”
non riesco a farne a meno, devo dirlo: il momento di maggior buon senso rinvenuto nelle intercettazioni, che per il resto restituiscono un quadro desolante, si è raggiunto quando non ricordo chi, commentando il disappunto di una signorina che aveva dato senza ricevere dice: E che vogliono? imparassero a fare le attrici, se ne andassero a fare le commesse. ecco, penso abbia tolto le parole di bocca a un bel po’ di gente. tutto il resto, come dice il poeta, è noia. e tristezza. siamo passati dal gattopardo principe Fabrizio a cui la generosa meretrice si rivolgeva con impeto e confidenza chiamandolo “Principone mio!” Al signor Savoia che non sgancia più di 200 sacchi. molto molto triste. per non andare troppo fuori tema e individuare concretamente il periodo terminale della concezione utopistica del corpo direi: tempo: anni ottanta. luogo: quel programma di Umberto Smaila con gli spogliarelli, non ricordo il titolo. Dopo i vertici assoluti di simbolismo e utopia dei film di Lino Banfi dei ’70 (non sto scherzando né intendo fare lo snob, dico sul serio), con Smaila e le sue tette a comando si arrivò alla totale banalizzazione del desiderio e dell’oggetto del desiderio. nessuna aspettativa, nessuna intimità, nessun sottinteso. né verginità né malizia né religione né politica, solo il gioco a premi.
Le donne so’ tutte troie!
Ho finito di scrivere proprio in questo momento del medesimo argomento (provocatoriamente).
A me sembra che la figura della donna ne esca malissimo da questa vicenda. Non è tanto il *darla via*, ma il darla via *per cosa?*.
Se la pedina di scambio della Figa attecchisce in questo momento, la colpa DEVE essere anche dell’uomo a cui questo mondo (si dice) appartiene; però se la pedina di scambio della Figa è data via per entrare gratis al Bilionaire sottobraccio con Briatore; oppure se la pedina è data in cambio di un terzino, ecco, allora la riflessione si rende doverosa.
Il punto è che queste neanche la fanno, la carriera. Darla via è una moda, questo discuto.
[Ste]
io penso sia un buon argomento, quello del corpo.
Non solo quello femminile.
Proprio ora che il corpo è esposto, modificato, abusato, dal corpo siamo lontani.
E siamo allora lontani da noi
(“se l’anima non fosse il corpo,
il corpo cosa sarebbe?”,
cit)
A me ha fatto impressione anche la Salluzzi. E la telefonata di Vespa.
C’è un uomo che accetta una cosa squallida come il sesso fatto solo per ottenere qualcosa in cambio, c’è una donna che considera il sesso come merce di scambio e, facendolo non per piacere o per seguire un’emozione, un desiderio, ma come un pegno da pagare per ottenere qualcosa che le interessa,finisce col rassomigliare alle nostre antenate che si facevano ricamare sulle camicie da notte la frase “non lo fo per piacer mio..”.
In ogni caso il sesso viene declassato a banale cosa senza importanza, siamo nell’epoca della libertà sessuale, della libertà di scelta, della trasgressione, e l’Eros non è mai stato più lontano.
Ripartendo da Anna Bravo: “Ci vorrà tempo perché le donne comincino a desiderare una vera libertà sessuale e sentimentale, fino a diventare le protagoniste del passaggio dall’ unione contrattuale a quella d’ amore…”
Libertà e desiderio, ma chi ci insegna a capirle ad ascoltarle, a intrecciarle, a crescerle?
Non è solo questione di tempi, ma di stimoli e di indole: se gli stimoli sono basic, pochi di quelli che li ricevono cercheranno qualcosa di più… chi lavora gomito a gomito con i ragazzini lo sa bene: la mentalità da “velina” (o da “calciatore”) non è fine a se stessa, né sintomo di stupidità, ma è vista come il modo più furbo per accaparrarsi di più con sacrifici accettabili, in un paese dove la corsa all’accaparrramento furbo ha persino rappresentanza costituita paelsemente in partito politico…
I ragazzini che amano l’arte o la cultura e si preparano a masticare pane e sfiga per i famosi 1000 euro al mese, captano altri stimoli e hanno un’altra indole, che gli è arrivata in sorte. Ovviamente io mi auguro che saranno loro a reinventare i luoghi e l’utopia, a partire dal proprio corpo…
a mo’ di commento sulla questione, rimando al post sul mio blog:
http://stefanocastelli.blog.kataweb.it/stefano_castelli/2006/06/loppio_inquinat.html
stefano castelli
correggo link del commento precedente:
http://stefanocastelli.blog.kataweb.it/stefano_castelli/2006/06/loppio_inquinat.html