VECCHIE STORIE

Date un’occhiata al commento di Susanna al post di ieri: l’attenzione sulle cinquantenni, libresca e mediatica, è qualcosa che fa riflettere anche me. E non sono affatto sicura che sia un bene, non completamente, almeno.
Ci riflettevo stamattina, guardando una pubblicità di Nintendo per Brain Training.  C’erano Giorgio Albertazzie  Catherine Spaak fotografati insieme, in una platea deserta, intenti lui a giocare e lei a sorridere all’obiettivo. Slogan: “Chi ha detto che da adulti non ci si mette in gioco?”. Adulti. La parola è vecchi. Quando smetteremo di avere paura delle parole?
E quando smetteremo di aver paura di Internet? Nell’articolo di Alessio Balbi su libri e rete, trovo questa dichiarazione: “Ci sono artisti che accettano di diffondere gratuitamente online le proprie canzoni perché questo è un formidabile traino pubblicitario per i loro concerti”, spiega Fernando Folini, responsabile della Commissione Editoria Digitale dell’Associazione Editori (Aie). “Ma per i libri il paragone non funziona, i modelli sono diversi”.
E quali sono i modelli, di grazia? E quali i dati in possesso della Commissione Editoria Digitale? Perchè tocca ripetere per la centounesima volta che coloro che mettono a disposizione i loro testi in rete non vedono subire alcun calo di vendite?
Ps. A patto che il libro sia buono. E questo è un punto interessante.

25 pensieri su “VECCHIE STORIE

  1. Ciao Loredana, riflettere sul significato delle parole è quasi un’ossessione. Ma vecchio, come grasso, è una parola che ogni tanto faccio fatica anch’io a pronunciare. Vecchio mi evoca immagini fiabesche. Di uomini rinsecchiti con i nasi adunchi. Di mani scarnificate e pelle aggrappata alla ossa. Di streghe vestite di nero con alambicchi e corvi che svolazzano. Vecchio è molto, molto adulto. E’ più di anziano. Oppure quando? Grasso è più semplice.
    buona giornata
    Elisabetta

  2. Quando smetteremo di avere paura delle parole? Forse quando smetteremo di avere paura delle cose che denotano o, meglio, che connotano.
    Non è facile, Loredana, come per Elisabetta, anche per me non lo è.

  3. buongiorno loredana.
    credo che follini si riferisca al fatto che, a differenza dei musicisti, gli scrittori non hanno eventi di massa come i concerti da cui avere un grosso rientro economico.
    al momento, certo, non c’è ancora un impatto forte del copyleft online sulla vendita del testo fisico: ma questo, credo, per un mero problema di supporto. un mp3 è buono quanto una traccia di cd – un pdf o un e-book no. storia vecchia, appunto: ma quando verranno sviluppati sistemi di supporto assai migliori dei lettori odierni di e-book, credo che il mercato del libro subirà una flessione.
    e questo proprio perché il suo “modello” non ha altre chance di rientro economico robusto come i concerti.
    questo non significa che il copyleft porterà alla morte necessaria degli autori, ma che bisognerà ripensare la questione per intero. e che forse, a breve, non sarà più vero che “coloro che mettono a disposizione i loro testi in rete non vedono subire alcun calo di vendite”.
    ciao
    giorgio

  4. Strano. A quanto mi risulta né io né i Kai Zen né i Wu Ming né altri autori che mettono da anni on line i loro libri siamo stati interpellati a proposito di questi ipotetici modelli. Altrimenti avrei potuto per esempio dire che ormai l’unico modo in cui La strategia dell’ariete può essere diffuso è proprio la rete, visto che è andato esaurito ma troppo lentamente e dunque Mondadori non lo ristampa più. Avrei dunque potuto dire che, almeno nel mio caso, la rete ha fornito all’autore un servigio che l’editoria tradizionale non ha garantito. Avrei potuto dirlo, ma non me l’hanno chiesto. Che strano.

  5. Giorgio, puoi anche avere ragione e sicuramente è vero che bisognerebbe ripensare la questione per intero (ma non accadrà mai, come al solito gli eventi precederanno le intenzioni e tutti quanti correranno dietro agli eventi). Il fatto è però pure che le cose andrebbero messe in prospettiva. La letteratura (lasciamo perdere la saggistica) non garantisce agli autori grandi introiti, salvo che in pochi casi. Quasi nessuno campa di diritti d’autore ed è invece vero che l’accesso libero on line a un’opera ne salvaguarda quantomeno la reperibilità. Il che, in attesa che arrivi quella riflessione globale quanto fantomatica sulla questione, non è poco.

  6. A me dispiace che Valeria ed Elisabetta abbiano questa percezione della parola “vecchio”.
    Il che, ovviamente, non è colpa loro. Questione di gusti e forse di qualcosa in più.
    Io personalmente trovo che “anziano” sia molto peggio.
    Nei miei romanzi preferiti, non appare la parola anziano, ma appunto vecchio.
    Come Gandalf, Cogline, il Vecchio e il Mare. Immagini splendide, di saggezza, di forza anche, una forza che viene dall’esperienza, da chi oramai non ha paura.
    Vegliardo, anche, è bellissimo.
    Un’immagine quella dell’uomo più gracile, con gli occhi di chi ha vissuto, e i capelli bianchi.
    Pensate a quanto sarebbe stato ridicolo Gandalf con i capelli ripiantati, colorati di nero, con interventi di “ringiovanimento” ovunque. A togliere le borse, le rughe.
    Ma perché la Hepburn a 60 anni non era meravigliosa?
    Mio nonno era meraviglioso.
    Il problema allora è che quest’immagine, oggi, viene considerata offensiva, terrorizzante, spaventosa. E noi la rifuggiamo. E rifuggiamo anche quella parola che la definisce. Il bianco non è la luce, è un presagio di morte. E oddio la morte.
    Ma chiudendo gli occhi e respirando profondamente, forse questa percezione cambia.

  7. “Adulti. La parola è vecchi.”
    Non ho visto la pubblicità ma importa poco.
    Chi ha più paura? L’agenzia pubblicitaria che non vuole usare “vecchio” o Giorgio Albertazzi e Catherine Spaak (che difficilmente avrebbero dato il loro volto per una pubblicità che li definisce vecchi)?
    “Perchè tocca ripetere per la centounesima volta che coloro che mettono a disposizione i loro testi in rete non vedono subire alcun calo di vendite?”
    C’è chi la rete la usa. E chi la critica. Ecco tutto.

  8. No, no, ma io ho un grande rispetto e per la parola vecchio e per i vecchi. Oltretutto, detestando il politicamente corretto, preferisco parole poco imbellettate.
    E’ che ho parlato di connotazione, e la parola ‘vecchio’ nell’accezione comune non ha la connotazione di nobiltà, saggezza, non rimanda a Gandalf, né ai nostri nonni, né a Katharine Hepburn (bella pure a novant’anni veramente), l’hai detto anche tu Ekeroth: oggi la parola vecchio rimanda a qualcosa che viene considerata offensivo, terrorizzante, spaventoso. E indipendentemente, credo, dal presagio di morte.
    Oggi il vecchio è colui che viene considerato fuori gioco : il gioco della vita, sì, che poi oggi è il gioco dei consumi. Fuori gioco = fuori target. Ecco perché lo slogan della Nintendo è parecchio ambiguo. In realtà dice: finché consumi non sei vecchio.
    E insomma non è facile scardinare questi giochi linguistici, non è facile per niente.

  9. Sì, è così. Albertazzi è vecchio in che senso? La Spaak è vecchia, siamo sicuri? Cosa significa vecchio? Che ha raggiunto un’età? Che ha un sapere? Che non è più tonico? E’ solo il passare, molto passare, del tempo che rende vecchi? Ha un valore aggiunto vecchio? Pensiamo a giovane, per contrasto. Vecchio e giovane sono davvero agli antipodi? Il Vecchio e il mare parla di un vecchio speciale. Siccome è speciale puoi dargli del vecchio senza problemi. Vecchio non è più una parola generica. Come non lo è più giovane.
    Ma suona bene. Esteticamente a me piace. Dobbiamo solo ridefinirne il significato… moderno.

  10. @ guglielmo
    infatti non ho detto che mettere i testi online sia sbagliato.
    dicevo soltanto che probabilmente, per come sembra evolversi il mercato, anche i “quasi nessuno” che campano di diritto d’autore potrebbero non camparci più. è una prospettiva. (così come chi magari non ci campa ma ci arrotonda, ecc. ecc.)

  11. Però Giovanna, non vale.
    Nel senso che negli occhi di tutti di noi c’è Spencer Tracy che lotta col pescione in barca. Mentre “La vecchia e il mare”, al massimo mi fa pensare a Teti preoccupata per il figlio, ma evidentemente il confronto è impari.
    Ma se intendevi dire che, come al solito, tra “vecchio” e “vecchia” c’è una differenza – anche allegorico\simbolico\letteraria – ovviamente ti do ragione.
    Con un po’ di impegno, comunque, si può benissimo scoprire anche qui che diventare vecchie non è affatto una condanna insopportabile.
    E se per le donne è ancora più difficile, allora bisogna dire la parola più forte. Non aver paura ad inserirla in un titolo di un libro, di un film o che altro…

  12. Ciao a tutti, io sto facendo una tesi di laurea specialistica su copyleft e creative commons, la dichiarazione di Folini è tipica, ne ho trovate tante di analoghe, ma vorrei fornire un contributo allo scambio tra Giorgio Fontana e Guglielmo Pispisa, probabilmente entrambi conoscete già questo testo ma non si sa mai…
    Kindle Wu Ming su google, terzo risultato:
    http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap16_VIIIa.htm#2a
    “…E se non sarà Kindle, sarà magari il prossimo. Prima o poi – con modi, tempi e risultati diversi dalla musica – succederà di sicuro che una tecnologia digitale si prenda una fetta del mercato librario analogico.
    Molti sostengono che quello sarà un giorno nero per chi, come noi, distribuisce gratuitamente i propri testi in formato elettronico. Una regola d’oro dell’economia dice che nessuno è disposto a pagare per qualcosa che s’è abituato ad avere gratis (specie se può ancora averlo gratis). In altre parole: se tu cedi una merce gratuitamente fissi il valore di mercato di quella merce a 0 e sarà molto difficile, in futuro, che tu possa convincere qualcuno a pagare per acquistarla. E’ più facile raddoppiare il prezzo del pane che far pagare la gente per l’acqua di una fontana.
    Questo significa che il valore di mercato di un testo digitale di Wu Ming è nullo. Pertanto, Wu Ming non vedrà un euro dalla nuova fetta di mercato e nello stesso tempo vedrà contrarsi sempre più i ricavi delle vendite tradizionali.
    Non sono convinto che tutto questo sia vero.
    In primo luogo, una forma di contributo libero esiste già sul nostro sito. In maniera sporadica, diverse persone ogni mese ci ricompensano via PayPal [vedi finestra a sinistra], con contributi tra i 10 e i 30 euro, “per la vostra bella faccia”. Dunque non si può dire che il valore percepito dei nostri testi sia pari a zero.
    In secondo luogo, la parola “digitale” è ambigua, copre una miriade di diversi formati e prodotti. Se restiamo sul nostro esempio, noi abbiamo sempre sottolineato che “le storie sono di tutti”, gratuite per natura, ma i libri si pagano, perché sono “storie-in-un-formato-particolare” (con costi marginali piuttosto elevati). Non ci sarebbe niente di strano, allora, se ci mettessimo a vendere “storie-in-formato-libro-elettronico” (che non sarà mai un puro testo), e se lo facessimo con l’opzione “prezzo libero”, dal momento che i costi marginali (carta, stampa, distribuzione…) tenderebbero allo zero.
    Penso che in quel caso “valore di mercato (quasi) nullo” e “responsabilità dei consumatori” finirebbero per bilanciarsi, producendo un giusto compenso.”

  13. Concordo con Maurizio Dotti.
    Fatto salvo che del doman non v’è certezza, e quindi non sappiamo cosa succederà con lo sviluppo delle tecnologie digitali, vorrei dire che l’AIE non ha tutti i torti quando sostiene la non identificabilità tra musica e libri. Il motivo è presto detto: i supporti sono diversi. La tecnologia digitale attualmente disponibile consente di fruire la musica scaricata dalla rete esattamente come si fruirebbe quella da un cd regolarmente comprato. L’e-book, il palmare, il faldone di fotocopie, non garantiscono invece una fruizione del testo equivalente a quella fornita dal supporto libro. Il libro, che ci piaccia o no, è ancora il miglior supporto per leggere un romanzo. E’ maneggevole, non necessità di batterie, non stanca gli occhi, si porta comodamente in una borsa da viaggio, non pesa troppo né troppo poco. Esistono tecnologie che ne soppiantano altre e tecnologie che invece si limitano ad affiancare le precedenti e a implementarle (il telefono ha estinto il telegrafo, ma la tv non ha estinto la radio). Questo non significa, ovviamente, che l’editoria libraria non stia subendo trasformazioni in seguito all’avvento delle nuove tecnologie, ma possono esistere molte possibili “ibridazioni”, come il print on demand, la vendita on line, etc. Vedremo ciò che accadrà.
    Quello che rimarrà sempre indimostrabile – ed è ciò che la AIE non dice – è il rapporto copia scaricata = copia invenduta in libreria. Nessuno potrà mai dire se un tizio che scarica un nostro romanzo dalla rete, in assenza di questa possibilità lo avrebbe comprato in libreria spendendo quasi venti euro. Chissà. Quello che possiamo facilmente ipotizzare invece è che se il libro gli piace lo consiglierà (e magari perfino lo regalerà comprandolo in libreria.) E certo non si può dubitare che il passaparola positivo contribuisca a far vendere più libri, a prescindere dal suo punto d’origine.

  14. vecchia/vecchio. Se hai passato una vita da velina/o potresti sentirti davvero offeso da questa parola. Se avevi qualcosa da dire, ma anche da pensare, forse non la prendi così male, magari ti piace pure.
    Comunque sì, ‘la vecchia e il mare’ mette la canuta protagonista in dei panni molto diversi rispetto al suo collega maschio. Lei sembra una che ha perso molte speranze e occasioni, lui uno pieno di esperienza. A questo proposito, suggerisco “Il libro dell’estate” di Tove Jansson, Iperborea – dove è anche protagonista una vecchia fortunatamente più in gamba della media.

  15. onestamente per rispondere a Giovanna Cosenza, non avendo poi neanche letto il libro in questione anche se l’ho sentito nominare periodicamente, “il vecchio e il mare” mi suggestiona di più, mi affascina, e infatti prima o poi lo leggerò; la “vecchia e il mare” invece tutt’ al più simpatia. Se posso servire da cavia però, io sono cresciuto captando qua e là che è più educato dire anziano signore invece di vecchio signore, non vedende che cieco, e nota dolente forse, giocando a pallone, ma fra ragazzini in genere, ascolto tutt’ora i vari mungo spastico andicappato a chi sbaglia uno stop o un passaggio. Chi sbaglia poi spesso se lo dice da solo.
    Su libri e musica da internet: personalmente i libri o li compro o li prendo in biblioteca, che mi dà anche la possibilità di leggere ciò che non comprerei. Ho partecipato da volontario alle letture de iquindici e mi sono letto un romanzo di 200 e oltre pagine sullo schermo per non sprecare carta e inchiostro, e non c’è paragone. Non riesco a vederci neanche i film sullo schermo del computer, e al cinema ci vado raramente.
    se posso permettermi poi, quella del traino pubblicitario dato dai brani concessi gratuitamente in funzione dei concerti mi pare una stronzata.
    quasi tutti quelli che conosco scaricano musica, gli vedo un cd originale in mano solo se è fra i quelli che posso prestare, ma un libro non credo che lo scaricherebbero. se uno legge poco o quasimai, un libro lo compra come si pagano le tasse, perché si deve, e perché è un oggetto, lo puoi mettere da qualche parte e ti possono vedere mentre lo compri.
    Non so quanto posso fare testo, io compro i cd dei gruppi che mi piacciono, in tutto ne ho una 25ina circa, e li riascolto, in biblioteca, ancora grazie, prendo quelli di classica o altro, per i libri più o meno è lo stesso. Penso di essere vecchio. per chiudere, i Wuming sono primi nella speciale classifica delle presenze sullo scaffale, e i rhcp in quella dei dischi. Chissà se potranno deludermi, può essere che io sia ormai incosciente nei loro confronti, al contrario di Loredana, Romagnoli e altri su Palhaniuk e in genere nei confronti di coloro che si ritengono essere di valore. ciao

  16. a quanto pare non è neanche un paese per brutti, soprattutto brutte.
    ma dove staremo andando a finendo, direbbe quelo. 🙂

  17. sì, ma il punto è anche: chi dice che “vecchia” è diverso (peggiore) rispetto a “vecchio”, si limita a constatarlo o ci prova, perlomeno, a scardinare queste percezioni? dentro di sé voglio dire, ognuno cercando di riprogrammare (oserei dire rifondare) l’accumulo di segni, significati e coordinate assorbiti finora.

  18. Ma quanti anni ha Catherine Spaak? Perché a me non pare vecchia. Vedo che mio padre quando si autodefinisce vecchio si intristisce, si rabbuia, e non credo perché pensi alla perduta bellezza e gagliardia, ma perché sente avvicinarsi la morte. Io non dico vecchio o vecchia alle persone più che altro per scaramanzia.
    (tutta questa maggior nobiltà nell’aggettivo riferito all’uomo la vedo e non la vedo: quando Melissa Satta, mi sembra, dice che per lei George Clooney è troppo vecchio non penso che nessuno di noi ci legga rispetto o fascinazione).

  19. Piccolo consiglio cinefilo, visto che si parlava della Hepburn (anche se io coi 60 anni mi riferivo ad Audrey).
    *
    Guardatevi uno dei pochissimi film che Hollywood ha dedicato ai vecchi. Si tratta di “Amore tra le rovine”, di George Cukor. Cone Katharine Hepburn e Laurence Olivier. Un castettino de noantri, insomma.

  20. visto che l’hai citato, domani notte su raitre (fuoriorario) di George Cukor danno “Angoscia”, dopo un documentario di Wiseman sul sistema giudiziario americano, il film è girato in Florida, in materia di violenza domestica.

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