C’è un testo di Walter Benjamin sul telefono che mi è sempre rimasto impresso. Racconta, Benjamin, non solo del fascino inquieto che esercitavano su di lui i rumori delle prime conversazioni telefoniche (“Erano suoni notturni. Nessuna Musa vi presiede. La notte da cui provenivano era la stessa che precede ogni verace nascita del nuovo. E una voce neonata era quella che sonnecchiava negli apparecchi”), ma il modo in cui il nuovo mezzo lo incatena, senza possibilità di fuga:
“Quando poi io, quasi del tutto stordito, dopo lungo brancolare per il cupo cunicolo, arrivavo a bloccare quel tumulto, staccavo la cuffia pesante come un manubrio e ci forzavo dentro la testa, allora ero consegnato senza remissione alla voce che ne usciva. E niente c’era che mitigasse la inquietante violenza con cui essa mi soggiogava. Impotente, soffrivo che essa mi fugasse la coscienza del tempo, degli impegni, delle decisioni, che essa mi paralizzasse ogni capacità di riflessione; e come il medium obbedisce alla voce che lo domina dal di fuori, così io mi arrendevo a quella qualsiasi prima intimazione, che il telefono mi recapitava”.
Ho ripensato a Benjamin, ieri, mentre su Facebook e Twitter e poi in televisione e di nuovo su carta si discuteva di Cosimo Pagnani, l’uomo che uccide la ex compagna e posta uno status feroce e soddisfatto, e inizialmente ha qualche “mi piace” incerto, ma quando si diffonde la notizia che quella morte è vera i “mi piace” aumentano, da una cinquantina a oltre duecento, e quando in giro per i social si inizia a parlarne stigmatizzando l’accaduto aumentano ancora e ancora, fermandosi a quattrocentotrentaerotti prima che la pagina scompaia. Portando via con sè le condivisioni sgomente e quelle ammirate, quelle di ragazzi giovani con la faccia pulita che scrivono “Bravooo” tutto in maiuscolo, di parrucchiere bionde e carine che la prendono a ridere, anche se sanno che stanno ridendo di sangue e morte, e invocano l’ispettore Gadget, di adulti pensosi che riflettono sulla propria bassa autostima, e sul proprio desiderio di avere tante condivisioni, e sul fatto che in fondo ammazzare l’ex moglie rende famosi.
Ecco, mi manca un Benjamin. Perché sull’impatto dei media (di Radio Radicale e dell’effetto parolaccia parlammo in tanti, anche Giovanni Arduino e io in Morti di fama, e parlammo e parliamo anche di come i social spingono, amplificano, e negarlo non ha senso, e moltiplicano quell’effetto da un lato liberatorio (posso dire/scrivere quello che voglio senza freni, perché altri fanno come me e dunque troverò conforto nell’essere come gli altri) e dall’altro di ricerca disperatissima e solitaria di autoaffermazione.
Ma nessuno, fin qui, ha cercato di capire come un medium influisce sul nostro essere, e come il nuovo sia soggiogante e imperativo nel cambiarci. Qui, vorrei rassicurare i molti vecchi amici che sentono suonare l’allarme rosso dell’oddiocivoglionocensurareoddiocitolgonolalibertà, non si tratta di normare. Si tratta di capire come stiamo cambiando. E, no, non è del tutto vero che i social siano semplicemente un’esternazione di quel che si è nella realtà (quale realtà? cosa si può definire realtà, in questo momento?): perché ci spingono (soggiogandoci) a creare una realtà diversa, dove possiamo scrivere “Bravo” a un assassino ritenendoci finalmente senza freni e legami.
Nell’esatto momento in cui i lacci si stringono.
Alcuni ricercatori del Center for Neural Decision Making della Temple University hanno verificato che il cervello quando è sottoposto ad un peso significativo di informazioni accresceva la parte della corteccia preposta ai processi decisionali e alla gestione delle emozioni in un primo momento ma poi soffriva di una caduta improvvisa, andava in tilt, manifestava stanchezza mentale e varie incapacità. Del resto già McLuhan disse più di trenta anni fa che ogni medium condiziona i propri utenti ed influisce nei processi fino a plasmarne la mente. Al di là dei dati scientifici c’è l’osservazione diretta e direi sofferta di ciò che sta accadendo. l’anestetizzazione emotiva di coloro che attraverso un like e uno schermo sono portati a credere che non siamo più esseri impastati di carne e sangue.Ho molto timore di ciò che tutto questo porterà nell’immediato futuro per l’umanità.E come tu giustamente scrivi non ha nulla a che fare con la libertà, proprio nulla.
L’attenzione degli sconosciuti è la miglior medicina per allontanarsi da una quotidianità deprimente. E dato che la moneta di internet è il LOL vuoi mettere quanto fa figo commentare “ironicamente” una tragedia?
“Mentana ad Elm Street” rimane un saggio illuminante.
“Mentana a Elm Street” è qui: http://www.wumingfoundation.com/pagina_satira_luttazzi.pdf
E’ difficile cambiare e liberarsi dei modi di dire e di pensare e lei lo dimostra qui:
“… di parrucchiere bionde e carine che la prendono a ridere, anche se sanno che stanno ridendo di sangue e morte”
C’è cascata anche lei, vede? e parlo di una forma di maschilismo che vede nella parrucchiera bionda e carina una senza cervello che, inconsapevolmente, danneggia sè stessa e il suo genere.
Dovendo dire giustamente quel che ha detto, avrebbe potuto usare una persona qualsiasi… magari una studentessa bionda carina ma ancora inconsapevole, vittima di una sudditanza antica… e invece no, è corsa anche lei ad usare una categoria che si dice “leggera” senza esserlo più, se mai lo è stato, visto che non si può generalizzare.
Se per quel che ho scritto, è tentata di tacciarmi per lo scemo che quando il dito indica la luna lui guarda il dito, le dico anticipatamente che, in questo caso, il dito e la luna hanno stretta correlazione.
La stimo, sa? Per questo leggo e scrivo qui, a casa sua.
Sari, non vedo la discriminazione. La ragazza bionda e carina, che nelle informazioni indica “parrucchiera” colpiva per la mitezza e la pulizia dell’immagine profilo a fronte delle cose tremende che scriveva. E, come vede, ho fatto tre esempi, diversi per appartenenza di genere e per contenuto. Capisco la vigilanza contro gli stereotipi, ma sinceramente questo non lo è.
Se te la senti,vai a vedere la nuovissima foto del mio profilo Twitter.E magari leggi i miei tweet in risposta a Guglielmo Pepe.Allora forse,ma forse forse forse,riuscirai a capire che quelle trecento bestie rappresentano solo una microscopica parte del nuovo zoo chiamato internet.E non necessariamente la peggiore,in quanto la maggior parte di loro sono solamente dei semplici idioti.E ricorda sempre che la curiosità è spesso sinonimo di intelligenza.Quella che ci permette a volte di sentirci legati in qualche modo anche nei confronti di chi non abbiamo mai conosciuto o frequentato.E dato che non sei Lombarda o Milanese liberati una volta per tutte da quella nebbia perenne che ti circonda.E’ bello anche vederci chiaro in un mondo così ombroso.Cordiali saluti dalla Padania,pardon,da un Milanese.
Temo di non trovare il profilo, e temo anche che non sia pertinente a quanto dicevo. Se per nebbia intende non accettare provocazioni on line, credo che me la terrò 🙂
Ma la cosa più inquietante ce la comunica “Il Resto Del Carlino” riferendo del commento su FaceBook di una donna piccata che avrebbe scritto che “prima che si parli dell’ennesimo femminicidio, andrebbe capito l’uomo, le sue motivazioni”. Aggiungendo che se non si capiscono queste, nessuno può giudicarlo (sic!). Ammesso che questa donna lo sia davvero, capisci dove siamo finiti a parare? (E perché la Testata bolognese non certo progressista ha tenuto a riportarlo, sia pur aggiungendo che quel post ha suscitato una viva reazione?! A pensar male…)
Chiedendo scusa per questa osservazione che non si riferisce all’argomento trattato, trovo che non essere iscritti a facebook o a twitter limiti parecchio la discussione creando malintesi.