ZITTE ZITTE, PIANO PIANO

Capita spesso, e mi è capitato molto di recente, che un interlocutore si rivolga alle donne lamentando la loro inattività in questo o quel campo. Dove sono le donne, perché le donne tacciono, si può sapere cosa state facendo: cose così.
Per sapere cosa dicono le donne, peraltro, ci sono un paio di recenti occasioni, passate e future: il Femblogcamp, per cominciare, su cui trovate ampi resoconti qui. Inoltre, l’incontro nazionale dei movimenti femministi a Paestum dal 5 ottobre: in questo caso c’è un intero blog a disposizione. Come se non bastasse, in quello stesso week end, a Roma, c’è il convegno sulla Toponomastica femminile.  La prossima settimana, poi, la due giorni contro la violenza a Torino, organizzata da Se Non Ora Quando. Infine, il tour di Lorella Zanardo per presentare il suo ultimo libro, Senza chiedere il permesso.
Le notizie qui sopra riguardano le infinite anime dei movimenti. E sono sicurissima di aver dimenticato qualcosa (in caso, segnalate).
Dunque, le donne parlano un bel po’. Eppure, resta in molti la sensazione di silenzio e inattività. In particolare, per quanto riguarda la letteratura. Come ognun sa, la discussione letteraria sembra essere assai vispa, per non dire tagliente, negli ultimi tempi, e gli scrittori sembrano avere a disposizione non pochi spazi per dire la propria, com’è giusto.  Un po’ meno, mi sembra, le scrittrici.
Scrivo questo non per rivendicare – fermi, buoni, calmi – le quote rosa in letteratura né per attentare all’orgogliosa femminilità di chicchessia (e riporto solo due delle obiezioni più frequenti che vengono opposte quando si tira fuori l’argomento). Ma perché esiste una questione che in altri e felici paesi viene affrontata serenamente, e che in Italia viene ostinatamente considerata faccenduola da femministe radicali.
Se ci si rivolge alle donne accusandole bonariamente di avvitarsi nella letteratura “rosa” (cui è stata dedicata una serie di incontri a Matera, proprio nei giorni scorsi) e di essere, insomma, un po’ troppo sentimentali e piagnucolose nella scrittura, forse il problema esiste. Quando, a Merano, un bravissimo sceneggiatore e autore ha sostenuto questa tesi,  nella convinzione che le donne non si dedichino, per esempio, alla narrativa di genere (gialli, fantascienza, scrittura “oggettiva” e non interiorizzata), molte donne presenti hanno detto di essere d’accordo. Eppure, semplicemente, non solo non è così, ma anche quella scrittura “non oggettiva” verrebbe valutata diversamente se l’autore fosse di sesso maschile. Qualunque cosa significhi “soggettiva”, di soggettività letteraria, in Italia, siamo stracolmi. Per non parlare degli Ego degli autori, fra cui bisognerebbe farsi largo a gomitate, e che pure vengono omaggiati come il salutare dispiegarsi del genio (quello femminile, perdonate ma è così, esiste eccome: ma è decisamente più timido).
Dunque? Dunque esiste un problema di visibilità, come detto in precedenza in tutti gli interventi che riguardano DICA (Donne Italiane in Cultura e Arte). Ricordate? In primavera era un progetto, era  l’idea di realizzare un luogo di monitoraggio e riflessione comune sul modello di Vida (Women in Literary Arts), dove ragionare sui numeri come punto di partenza (quante recensioni, quante donne nei luoghi apicali dell’editoria e della cultura). Oggi sta diventando qualcosa di più concreto, anche grazie alla collaborazione silenziosa di chi, in questi mesi, ha studiato sull’argomento. Notizie a breve, riflessione, ancora, apertissima.

10 pensieri su “ZITTE ZITTE, PIANO PIANO

  1. Snoq…. letto locandina convegno, constatata presenza di registe, scrittrici, ministri (sic1), avvocate, giuriste, medici, professori ordinari (sic2), giornaliste e quant’altro. Sbaglio (cerco di sperare) o manca la psicoanalisi? Non è che il silenzio e inattività sia un riflesso dell’inadeguatezza dell chiacchierare? Chiedo, eh, senza malizia. (bene la toponomastica, ma anche la linguistica “di genere” sarebbe d’uopo…).

  2. Devo ammettere, dopo aver letto con molta attenzione una buona parte del materiale che Loredana segnala, che tra le tante (tantissime) cose interessanti un posto alla toponomastica femminile proprio non riesco a trovarglielo. A me fa solo ridere, lo confesso. Certo, è un segnale anche questo, per carità, e pure di evidenza palmare… ma davvero merita tutta questa attenzione? Tra il non riuscire a parlare di tutto trascurando temi fondamentali come è accaduto in passato per la legge 40 e una pervasività di interventi che arriva fino ai cartelli stradali non c’è davvero, una via di mezzo? Spero almeno che, in tempi di vacche magre, la benemerita fondazione abbia avuto il buon senso di pagarsi le spese da sola, anche se la presenza di tanti soggetti pubblici tra gli enti patrocinanti un po’ mi fa temere… Ma il patrocinio non è una sponsorship, e quindi voglio pensare che questa accusa non possa essere mossa.

  3. Non so se vado in OT (è un commento legato al post di ieri), nel caso mi scuso. La visibilità delle donne, e l’effetto prodotto da una falsa percezione, dunque. Prendiamo lo stringato elenco dei “principali orientamenti critici“: Auerbach, Contini, Segre e Croce. Prima ancora della sonora pernaccchia che dovrebbe accompagnare il nome di don Benedetto, e prima ancora della (giusta) menzione dei Gender Studies, c’è almeno una lacuna a dir poco gigantesca: Maria Corti. Io ho fatto in tempo a studiare in un’università (e no ho seguito corsi di letteratura italiana) dove, al termine di certi argomenti, il prof. (che poteva essere uno del calibro di Anceschi, ma non solo lui) concludeva: aspettiamo il prossimo lavoro di Maria Corti. Com’è che adesso la “scuola di Pavia” (definizione che peraltro non esaurisce affatto l’importanza dei lavori di Corti) è rappresentata dal solo Segre? Io una risposta ce l’ho, e non è legata al valore scientifico, ma al peso delle baronie accademiche e alle amicizie nei luoghi che contano: ad esempio, sulla terza pagina del “Corriere”, dove il baron Segre (del quale, ripeto, non metto in discussione la scienza) è tutt’ora in buona compagnia (Galli della Loggia, Panebianco, Sartori, Abravanel) nel dare un’immagine caricaturale della scuola pubblica (della quale i membri di questa compagnia di giro non sanno un’acca). Ed ecco che di Segre ci si ricorda (o qualcuno telefona per ricordare), e di Maria Corti no. La morale di questa poco edificante storia è che la visibilità non dipende dal tuo reale valore, ma dal modo in cui lo vendi (e ti vendi), dai circoli che frequenti, dagli uffici stampa, dall’agenda telefonica. È lì, e non altrove, che nasce la percezione di un’assenza, rispetto alla quale qualunque discorso di “quote” è perdente proprio perché non mette in discussione il vizio d’origine. Senza colpire le baronie (che sono luoghi di potere non solo, ma anche maschile) c’è il rischio di trovarsi in quota la portaborse del barone X, e di continuare a non sapere chi è Maria Corti.

  4. @ Maurizio, il convegno sulla toponomastica – grazie Loredana – se guardi il programma, è un normale convegno di esperti ed esperte della materia che allargano lo sguardo al genere.
    Lo scrivo solo perché è un evento passato: ma un gruppo di colleghe storiche esperte di alto medioevo organizzò un convegno sul lavoro femminile nella tessitura. Insomma ciascuna e ciascuno si occupa anche di quello che conosce meglio. E, pur rilevando lo sbilanciamento toponomastico, non credo usciranno armate per rinominare le strade.

  5. campassi cent’anni non capirò mai cosa intendono quando parlano di scrittura “oggettiva” e sopratutto mai e poi mai capirò per quale caspita di motivo il fatto di scrivere romanzi incentrati su storie d’amore e vicende sentimentali viene visto come una “diminutio” rispetto a scrivere di altro (ho l’impressione che in questo vi sia una miscela di sessismo e snobismo). Sarà che io sulla narrativa ritengo di non avere alcuna preclusione, ogni storia mi può prendere se è buona, al di là dei temi e dei generi letterari.
    Inoltre emozioni, sentimento, amore sono ingredienti importantissimi nella vita come nella narrativa di ogni genere e non solo in quella “rosa”. Storia dell’assedio di Lisbona di Saramago e 22/11/’63 di King, nessuno li definirebbe romanzi “sentimentali” eppure narrano delle bellissime e romantiche storie d’amore

  6. L’invisibilità è negli occhi di chi guarda, sia esso uomo o donna. Mi spiego meglio, da molto tempo rifletto su questo fenomeno interessantissimo e allo stesso tempo inquietante,per il momento sono arrivata solamente ad alcune ipotesi su variabili facilmente osservabili,è vero la maggioranza dei critici snobba le opere letterarie o artistiche delle donne, questo atteggiamento continua nei lettori che in alcuni casi si informano su riviste o fonti varie venendone preventivamente influenzato, ma ciò non basta per spiegare il fenomeno, c’è di peggio. Ho effettuato una piccola statistica casalinga sul web cercando elenchi di critici di professione,ho così potuto constatare che esiste un numero veramente grande di donne critiche d’arte (per arte intendo comprendere anche la letteratura),così come è grande il numero di professoresse universitarie influenti,(sicuramente anch’esse in alcuni casi saranno “baronesse”),tantissimi blog gestiti da donne e tante donne giornaliste. Non penso che questo grande insieme di donne sia meno influente in alcuni ambiti, un po’ meno in altri.Il problema a questo punto diventa sempre più difficile da risolvere , il problema è che questi illustri uomini e donne usano lo stesso sguardo,hanno gli stessi pregiudizi e riescono a continuare l’opera di “invisibilizzazione” a livello profondo quasi senza accorgersene.Vie d’uscita? Non ho risposte precise ma sicuramente si tratta di scavare in noi stesse/i e rinvenire la persistenza di strutture di pensiero antichissime che condizionano la nostra “vista” indipendentemente dal sesso

  7. hola… / strana citazione: “zitte zitte…”, come in “rigoletto” e il secuestro continuato da stupro consenziente?

  8. Il convegno sulla toponomastica femminile, e la stessa questione sollevata da circa quattromila donne e qualche uomo su facebook, potrà anche apparire poco rilevante rispetto a questioni più macroscopiche e drammatiche, me è una cartina al tornasole di una situazione intollerabile, ovvero dell’invisibilità delle donne, che non trovano posto nei libri di storia, di scienza eccetera. La sproporzione è pazzesca: circa il 4%. Dunque solo il 4% delle donne merita una strada? Non mi si dica che non hanno compiuto gesta sufficientemente eroiche. A Fiumicino (rm) c’è una via delle Vongole. Le vongole sono meritevoli? Al di là della mera computisteria e dell’utilità effettiva della cosa (negli Usa un sacco di strade è contraddistinto da un numero, e va benissimo), c’e l’aspetto simbolico e della comunicazione: quale messaggio si dà alle donne, alle ragazze, alle bambine? Che esistono e meritano attenzione solo se sono oggetto di marketing? È ora che noi uomini la piantiamo col voler insegnare alle donne cosa è rilevante e cosa no.

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