CHE GENERE DI CONCORSO?

A proposito di cultura. A proposito di scuola. Ricevo e pubblico questa lettera aperta al ministro dell’Istruzione Profumo e, per conoscenza, a Elsa Fornero.
Egregio signor Ministro,
a scrivere è un gruppo di studiose specializzate negli studi umanistici, la maggior parte delle quali docente nella scuola e nell’università. Alcune di noi vivono e insegnano all’estero, molte altre vi hanno trascorso importanti periodi di formazione professionale. Siamo perciò abituate a confrontarci con i continui cambiamenti che interessano le nostre discipline, sia per la scelta delle metodologie di analisi sia per l’individuazione degli oggetti di indagine.
Siamo, in altre parole, cittadine europee pienamente immerse nel nostro tempo, interessate a partecipare attivamente alla definizione del modo di essere nel mondo delle generazioni presenti e future. Molte di noi sono precarie, e si apprestano a far parte dell’esercito di candidati che si sta preparando a sostenere la procedura di selezione prevista dal concorso a posti e cattedre, decreto del direttore generale per il personale scolastico n. 82 del 24 settembre 2012.
La nostra decisione di scriverle questa lettera è derivata non solamente dall’esigenza di manifestare un profondo disaccordo sul piano intellettuale e scientifico, ma anche dal disagio e dal disappunto da noi avvertiti in qualità di cittadine, in seguito alla lettura delle indicazioni sulle prove d’esame e i relativi programmi contenute nell’allegato 3 del bando di indizione del concorso.
Intendiamo cogliere questa occasione per riaprire pubblicamente il dibattito intorno a una questione, quella del genere e della sessuazione del sapere, che in molti paesi europei è ormai data come punto di partenza per la pianificazione pedagogica e didattica, ma che per varie ragioni storiche e culturali non riesce ad essere assunta come elemento centrale nell’agenda politica (e utilizziamo questa parola nel senso più ampio e nobile del termine) all’interno delle istituzioni italiane. In questo senso, il bando riflette le profonde contraddizioni di una società che continua a mettere in atto meccanismi sessisti senza riconoscere le trasformazioni del presente, né le questioni di genere.
Il bando di un concorso pubblico non si limita solo a indicare procedure e scadenze. Nel momento in cui fissa i criteri di valutazione, include o esclude, delinea anche un modello e un’immagine di quello che sta cercando. Allo Stato servono insegnanti che guidino il percorso di formazione dei giovani cittadini e delle giovani cittadine. Ma che caratteristiche devono avere? Il nuovo insegnante e la nuova insegnante devono innanzitutto avere un sicuro dominio delle materie di insegnamento, conoscere i presupposti epistemologici delle singole discipline e conoscere le lingue straniere; devono saper usare internet e dominare gli strumenti informatici. Appare chiaro che chi ha stilato il bando avesse in mente un’immagine di insegnante moderno/a, al passo con i tempi e pronto/a a costruire un percorso che porti la scuola italiana in Europa. Questo lodevole intento, però, si scontra miseramente con l’arretratezza dei programmi ministeriali e delle indicazioni che solo due anni fa sono state fornite dal ministero per le singole discipline. E il centro di tale arretratezza sta nella sistematica e persistente ignoranza di tutto ciò che nell’ambito dell’insegnamento riguarda il genere. Basta scorrere gli elenchi di autori che il candidato dovrebbe innanzitutto conoscere: tra i filosofi, nemmeno una donna; tra gli scrittori, una sola, Elsa Morante; nel programma di storia non c’è alcun accenno alla storia delle donne a alle questioni di genere; tra i fatti notevoli del Novecento non è menzionato il femminismo. Quando si parla di educazione linguistica non c’è nessun riferimento al linguaggio sessuato. Quando si parla di geografia, non c’è nessun accenno al genere come categoria di indagine. Quando nel programma di letteratura italiana si richiede di conoscere i principali orientamenti critici, l’elenco esemplificativo comprende i nomi di E. Auerbach (1892-1957), L. (sic!!) Contini (1912-1990), C. Segre (1928-), B. Croce (1866-1952). E basta. Ancora, niente donne, ancora nessun riferimento ai gender studies come prospettiva critica di rilievo.
Le istituzioni hanno di nuovo preso la parola su un modello di scuola, di apprendimento e di insegnamento. Riteniamo che sia giunto il momento di denunciare con forza come lo Stato continui a comunicare un’idea di sapere nel quale le donne e la differenza sessuale non trovano posto e la questione della relazione tra uomini e donne non è nemmeno minimamente sfiorata, anzi è del tutto rimossa. Che genere di formazione per i cittadini e le cittadine, quando i programmi sui quali questa si fonda pretendono ancora di presentare la finzione di un sapere neutro, asessuato? In che modo formare giovani cittadine forti e consapevoli, quando tutto il mondo a scuola non parla di loro, non parla a loro?
Si potrebbe obbiettare che le ultime Indicazioni nazionali ribadivano il principio, peraltro sancito dalla Costituzione, dell’autonomia dell’insegnamento, e della conseguente facoltà di ogni insegnante di adottare e promuovere quegli approcci e indirizzi epistemologici che ritenesse più validi all’interno della propria disciplina. Sarebbe un’obiezione assai debole, perché è evidente che questioni di tale rilevanza sociale e culturale non possono essere relegate solamente nell’ambito della tutela dei diritti e della libertà individuale o del principio dell’autonomia scolastica. Sulla base dei parametri indicati dal bando, il sapere di un/una insegnante attento/a ai meccanismi di genere, che determinano la formazione della tradizione e la storica scomparsa o marginalizzazione delle donne, costituirebbe un elemento accessorio, non essenziale rispetto al bagaglio di competenze che renderebbero costui/costei idoneo/a all’esercizio della professione. Allo Stato dunque non interessa che chi insegna sia in grado e voglia spiegare in maniera rigorosa e scientificamente aggiornata i meccanismi che hanno portato, per esempio, ad avere un canone letterario in cui tra trentacinque scrittori elencati solo una donna è stata ritenuta degna di menzione?
Una scuola per l’Europa non può lasciare le questioni di genere ufficialmente fuori dalla porta. La domanda che le poniano è dunque: non le sembra giunto il momento di smettere di farle entrare dalla porta di servizio?
Laboratorio di studi femministi «Anna Rita Simeone»
Sguardi sulle differenze
Università di Roma «La Sapienza»
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Vita da streghe
Giovanna Cosenza

7 pensieri su “CHE GENERE DI CONCORSO?

  1. “facoltà di ogni insegnante di adottare e promuovere quegli approcci e indirizzi epistemologici che ritenesse più validi all’interno della propria disciplina.”
    O dobbiamo farci prescrivere anche intelligenza e cultura dal ministero? Libertà d’insegnamento significa soprattutto libertà di valorizzazione, e questa si esercita a partire dall’uomo o dalla donna che si è come insegnanti, con un proprio patrimonio di consapevolezza e di cultura. Il quale, se manca o è unidirezionale, non sarà certo corretto da una prescrizione burocratica.

  2. Le “libertà” nominate dalle indicazioni nazionali sono in calce a elenchi di fatto prescrittivi (anche se ipocritamente ciò viene negato) di autori e argomenti dichiarati tutti più o meno “fondamentali” o “imprescindibili”, ai quali elenchi fa da contraltare la contrazione del monte ore: ciò rende di fatto impossibile impostare dei seri approfondimenti fondati sulle personali conoscenze e competenze del docente (quando li faccio? in quali ore? quando ho tempo di programmare nuovi moduli?). Basti pensare che l’ultimo anno il docente di italiano che voglia rispettare i programmi (e con le prove d’esame che vengono da Roma, e la probabile verifica delle valutazioni con quiz a crocette, come si fa? chi ha voglia di prendersi un richiamo scritto da un ispettore o da un dirigente, sobillati da genitori inferociti perché il figlio ha preso un voto basso all’esame, e chi se ne frega se in compenso ha imparato qualcosa di utile per la vita?) ha una media di 2-settimane-2 (= da 6 a 8 ore) per introdurre, spiegare e far leggere e valutare ogni autore di letteratura italiana.
    Ma questa non è una novità: le indicazioni nazionali sono state elaborate assieme alla riforma dei cicli. E i programmi per i concorsi sono coerenti con quelle indicazioni. Non le sole donne, ma l’intera cultura umanistica e scientifica viene fatta entrare dalla porta di servizio: o meglio, si chiede ai docenti di farla entrare, a spese proprie e senza retribuzione corrispondente, come volontariato (leggi: straordinario non pagato), in nome del “valore della funzione docente” che è peraltro negato dal contratto di lavoro cui siamo, noi docenti, assoggettati. Che, essendo un contratto di diritto privato, si basa sul mero scambio “questo ti do, questo ti chiedo”: il resto è mancia.
    Mi chiedo quindi, al di là del valore della giusta denuncia: che senso ha scrivere lettere aperte ai ministri di un governo che ha più volte dichiarato di voler completare, e non rivedere, la riforma Gelmini? Come direbbe Pasolini, andate ad occupare le primarie dei partiti, le loro sezioni pieni di dirigenti amanti della litote, ma incapaci persino di giocare a bocce: imponete, pena il non-voto, l’azzeramento della riforma dei cicli a chi dice che “ormai la frittata è fatta, tanto vale prenderne atto”. O prendete in mano i giochini elettorali, in prima persona.

  3. Vorrei umilmente fare un’obiezione sul modo in cui è presentato un punto di questo giusto appello. Quando nella lettera si dice: “Basta scorrere gli elenchi di autori che il candidato dovrebbe innanzitutto conoscere: tra i filosofi, nemmeno una donna; tra gli scrittori, una sola, Elsa Morante.”
    Credo che avrebbe maggior efficacia esplicitare almeno alcune autrici e filosofe inopinatamente tralasciate dalle indicazioni ministeriali. In modo che chi legge non cada nell’equivoco che si chiedono delle quote rosa a prescindere dal valore letterario, obiezione che viene spesso rivolta a questo tipo di istanza e di solito finisce per mandare il dibattito su altri binari (mi ricordo anche nel tuo blog Loredana quando sollevasti il tema delle autrici italiane contemporanee, e dell’antologia curata da Cortellessa); insomma fare come quando si dice che nei rispettivi ambiti non sono menzionati il femminismo e i gender studies.

  4. Quello che mi preoccupa non è solo l’ignoranza del problema, la sua emarginazione, ma la sua ghettizazione e riduzione: il ‘side effect’ del lasciare le questioni di genere fuori dalla porta è la voluta esclusione di tante buone pratiche e linee guida (sul linguaggio sessista ad esempio) anche nella formazione successiva nonchè nel lavoro vero e proprio, qualsiasi lavoro. Collaborando ad una relazione sulla sostenibilità ambientale, l’argomento donne e sostenibilità (ben conosciuto e ricco di riferimenti trovabili ovunque) è stato cassato perchè ‘qui si parla di educazione ambientale, non di femminismo’; un documento ammnistrativo elaborato seguendo le linee guida sul linguaggio non sessista ha fatto la stessa fine, perchè la dirigente ha trovato ‘ridicola’ questa preoccupazione.
    Voglio dire: se manca una base, e se mancano delle linee guida, non si ha solo ignoranza del problema, ma si facilita la sua riduzione a questione (vetero) femminista.

  5. Io sono una fortunata perchè quest’anno ho avuto la mia meritata immissione in ruolo.Sono palermitana, insegno lettere alla scuola media secondaria di I grado, amo il mio lavoro malgrado sia terribilmente faticoso e psicologicamente “usurante”. Ma lo svolgo con impegno, entusiasmo ,Umiltà e Creatività.
    Questo concorso è INDECENTE! Mobilitiamoci Tutti, Tutte affinchè le prove siano boicottate ed il concorso ANNULLATO.

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