8. LE NOVE VARIABILI

Oh, ne basta una. Basta, basterebbe un capovolgimento che provo a spiegare partendo da un episodio avvenuto poco fa. Questa mattina, in metropolitana, c’era una giovane mamma con un neonato che immagino intorno ai due mesi, e che aveva dunque appena scoperto l’arte del sorriso (e sarà retorico quanto vi pare, ma i primi sorrisi dei neonati, quelli che mettono luminosamente a nudo le gengive, sono uno spettacolo che mette in pace con il mondo anche un passeggero della metropolitana di Roma). La mamma aveva con sè una carrozzina, che ovviamente poco era compatibile con l’affollamento delle otto e mezzo: dunque, per evitare al figlio scossoni, urti e colpi di borsetta, lo teneva in braccio. Essendo l’aria condizionata del vagone regolata come se fuori fosse pieno luglio, gli teneva alzato il cappuccio della felpa. E’ scesa alla mia stessa fermata. Altrettanto ovviamente l’ascensore era rotto. Dunque, ha messo il neonato nella carrozzina, l’ha sollevata e ha salito le scale. Il varco più ampio  che ne avrebbe permesso il passaggio era fuori uso.  Dunque, ha afferrato la sbarra divisoria che teoricamente non si potrebbe toccare, l’ha spinta ed è riuscita infine a far uscire la carrozzina con il bambino: ancora una volta ovviamente, ha dovuto affrontare la rampa di scale che porta all’esterno, perchè a nessuno è mai venuto in mente che esiste anche la possibilità di doverla affrontare su ruote anziché su gambe.
Cosa c’entra? C’entra eccome. Perché la variabile che sogno è quella secondo la quale un politico si dimette non solo perchè “ha rubato” o si è vestito da tribuno della plebe: ma per quello che NON ha fatto. In altre parole, quando l’opinione pubblica chiederà convintamente le dimissioni di Renata Polverini in virtù di mostri come la legge Tarzia sui consultori, o quelle del sindaco di Roma per il disinteresse assoluto nei confronti della mamma (o del papà) con carrozzina e delle piccole, e grandissime, cose che ogni giorno occorre strappare via con i denti, allora potrebbe cominciare a esserci speranza.

12 pensieri su “8. LE NOVE VARIABILI

  1. e non è un caso, secondo me, che certe pubblicità per mamme alludano a mamme guerriere (vedi famosa pubblicità di macchine dove le mamme e solo loro, danzavano come guerrieri australiani)

  2. Cara Loredana, quanto hai ragione sul sorriso dei neonati, niente di retorico. E te lo dice una passeggera della metro B costretta a prenderla ogni giorno feriale nelle ore di punta (che devo dire ormai a Roma sono buona parte della giornata…). Ne vedo tantissime di queste mamme (i papà sono rari, lo ammetto, ne vidi molti di più in tre giorni a Stoccolma di quanti ne ho incrociati in sei mesi a Roma): passeggini, a volte bambino/a più grandicello/a al seguito, la borsa, a volte qualche busta. Affrontano spesso e volentieri le scale sorreggendo passeggini con il piccolo sopra; la fermata metro del Colosseo, ad esempio, non ha ascensore né scale mobili. Ha un dispositivo per le carrozzine dei disabili che per attivarlo devi mobilitare mezza stazione… E quando gli ascensori ci sono, a volte sono guasti. E allora le vedi arrancare, e leggi fatica e rassegnazione negli occhi. Ogni tanto provo ad aiutarle a trasportare il carico, ma anche io non è che abbia molta forza e davvero rimango sbalordita e mi chiedo loro dove la traggano.

  3. Basterebbe andare sul sito della regione e guardare chi fa cosa per farsi due risate. Sono stata per i corridoi della regione e della provincia (marrazzo e Zingaretti) per anni -troppi- nella speranza che mi aiutassero a salvare la mia scuola e che da anni era “la scuola di musica” di centinaia di ragazzi romani e non. Avevo anche un finanziatore e la possibilità di far studiare gratis un mare di musicisti. Ma non avevo nessun amico speciale. ho perso tutto per la loro incuria, per l’abitudine che hanno a cestinare le e mail e di fare concorsi ad hoc e resi invisibili a occhi esterni.
    Per fortuna ci sono i sorrisi dei bambini e chi riesce a vederli.

  4. I bambini stanno smettendo di sorridere. Cmq meglio il marsupio. La carrozzina è un aggeggio infernale. Non a caso è un topos di molti film horror. Per il resto inutile lamentarsi di ciò che non fanno: la politica sta richiamando a sé solo disonesti (per lo più), da parecchio tempo ormai, e non è lamentandosi delle loro mancanze che si otterrà il cambiamento.

  5. Più banalmente, immagino che molte/i tra coloro che frequentano questo blog avranno stramaledetto i bagni di qualsivoglia luogo pubblico italiano, dove non si trova non dico un fasciatoio, ma nemmeno un piano d’appoggio per poter cambiare un pannolino (sull’igiene sorvoliamo, che è meglio). Giorni fa, su Repubblica, un ozioso gioco estivo inventariava i comportamenti cafoni degli italiani, tra cui il sottoscritto primeggiava in quanto colpevole di aver reiteratamente cambiato –intenzionalmente, ci tengo a dirlo – i pannolini ai figli sul tavolo del ristorante, davanti a tutti. Mi sembrano molto più cafoni i gestori che non mettono in grado le persone di farlo in bagno, e non ho mancato di farlo osservare a tutti i maitre che si sono azzardati a obiettare.
    Il colmo è che fino all’anno scorso era del tutto sprovvista di fasciatoio anche la sala d’attesa del pronto soccorso del Bambin Gesù di Roma, ospedale pediatrico(!) peraltro assolutamente eccellente dal punto di vista medico e della cortesia del personale (sempre quello medico e paramedico, che sugli altri c’è invece molto da ridire). In mezza giornata di stazionamento con il pargolo, per cambiarlo sono dovuto entrare in un reparto e la pappa gliel’ho dovuta dare fredda, perché lo scalda pappa non c’era e tanto la mensa quanto il bar si sono rifiutati di aiutarmi. Poi mia moglie ha scritto una pepatissima mail alle loro relazioni esterne facendo osservare che perfino l’Ikea è attrezzatissima per l’infanzia (io direi SOLO l’Ikea), e la loro mission è vendere mobili, non curare bambini. Ora il fasciatoio (uno solo) è comparso, ma solo quello. In Italia di famiglia e bambini ci si riempie soltanto la bocca, preferibilmente nei talk show politici. Ma raramente, girando parecchio per il mondo, ho visto una società più visceralmente ostile all’infanzia e ai soggetti deboli in generale. Fin dalle piccolissime cose, tipo lo sguardo preoccupatissimo dei camerieri quando ti siedi al ristorante con due pargoli al seguito. Non c’è niente da fare: se hai figli, la prescrizione è che te ne devi stare a casa. E’ quello il posto delle famiglie, e delle donne in particolare.

  6. Maurizio, mi vien da ridere ripensando a quando ho dovuto tradurre il termine ‘family bathroom’ per delle strutture turistiche straniere, non capendo bene cosa fossero… finchè entrando da Ikea ho visto questi bagni con sanitari doppi, normali+in miniatura, completi di specchio e accessori, per permettere ai bimbi di lavarsi le mani, ecc. insieme ai genitori – senza fare acrobazie. In realtà non è solo comodo ma educativo ovviamente.
    Immagino che l’italiano che non protesta ma si adegua e si arrangia, pensi che non ci siano le risorse per provvedere a queste ‘comodità’ (in primis quelle cui accenna Loredana). Temo che non le reputi nemmeno necessarie, di fronte a necessità più incombenti.
    Un tempo c’era una fascia di cittadinanza abituata a considerare un accidente della fortuna, una regalìa, qualsiasi vantaggio sociale ottenuto, e non un diritto. In genere erano i contadini della mezzadria a pensarla così, ma era un tratto comune a mezzo mondo negli anni ’50, ad esempio. In realtà ora anche in città il ritardo con cui si sono realizzati alcuni miglioramenti si salda con la ‘crisi’, e l’eroismo delle mamme o di altre categorie è pronto a rimediare. Mentre altrove, dove si è provveduto in forme semplici e pratiche, spesso a costo zero, ho la sensazione che tutti questi ‘aiuti’ concreti abbiano fatto in tempo a diventare diritti acquisiti. Da difendere anche in tempi magri.

  7. Mi scuso mille e una volta per l’OT, ma questa è troppo tristemente bella per farla pasare inosservata:
    http://www.corriere.it/politica/12_settembre_20/senato-seduta-sospesa-presidenza-_99e179f6-030f-11e2-a615-3f0c0f40ef8a.shtml
    Che delle donne non freghi niente a un intero parlamento si sapeva; che non gliene freghi niente neppure alla donna che avrebbe dovuto presiedere la seduta e invece s’è data è già una notizia; se quella donna si chiama Rosy Mauro siamo allo scoop: non solo questa sta ancora lì nonostante le malefatte innumerevoli, ma tira pure, implicitamente, uno schiaffo in faccia a quante, nel movimento, a suo tempo la difesero in quanto “non sarebbe stata attaccata così pesantemente, se non fosse stata una donna”. Ragionamento che può avere un fondo di verità, ma chiedo: davvero è necessario e opportuno spendersi in difesa di gente così? Non c’è proprio nient’altro di più urgente, di più necessario, di più bello, di più etico a cui destinare energe che, come ben sappiamo, sono limitate?
    E ancora scusate l’OT.

  8. Rileggendo la chiusa del post di Loredana, non è mica tanto OT come credevo il mio commento sulla Rosy Mauro… e se le chiedessimo, appunto, di dimettersi non per essersi appropriata dei nostri soldi spendendoli per sé e sottraendoli ai servizi pubblici, ma per NON aver presieduto la seduta al Senato di oggi?

  9. Io mi domando come si arriva alle dimissioni come atto dovuto, perché qui si ritiene ancora che, anche se vengono chieste, si possa decidere, non si capisce in base a quale diritto, di non darle. Come si arriva a questa variabile? Paola Di Giulio, al cui intervento mi riallaccio, fa riferimento a realtà in cui esistono diritti acquisiti, e inalienabili, e in tanti/e conosciamo la tristezza del rientro da alcune di queste realtà, e del confronto. In quale altro modo possiamo porci per rendere sufficientemente chiaro e inequivocabile che non è che uno/a decida in base al proprio giudizio o a quello dei compagni/e di partito, e alla fine non succede niente, bensì diventi imprescindibile che ci si regoli in base a un codice di comportamento civile e democratico collettivamente condiviso? Sottoscrivo il post e i commenti, chiaramente, il mio è solo un grido di disperazione per questo continuo ritorno dell’identico, nonostante l’evidenza dell’insulto che quotidianamente riceviamo. Che sia perché il codice condiviso è che una vera gestione democratica costa troppa fatica individuale, troppo rigore e altruismo nelle scelte e nei comportamenti di ognuno/a? Me lo chiedo sempre, a ogni viaggio in treno in cui si muore dal caldo o dal freddo, o il bagno non funziona, o si deve cambiare un figlio su una valigia: e si leva qualche flebile voce isolata, mentre i più (e le più) sopportano stoicamente quando non sono seccati/e dalle lamentele di chi viene magari anche maltrattato dal personale ferroviario.
    Tralascio di aprire un capitolo sui bagni, il cui stato, paragonato a quello di quasi tutto il resto del mondo, sarebbe metafora fin troppo appropriata della gestione purtroppo da molti accettata come inevitabile, e a cui spesso si contribuisce, di tutto un paese.

  10. Lo stato (con la s minuscola perché maiuscola non se la merita) non vuole bene a noi cittadini. Non gliene frega nulla che il cittadino stia bene o male nella sua città, regione, ecc. L’importante è mettersene piene le tasche risparmiando su quello che potrebbe aiutare i cittadini nella vita di tutti i giorni. Prendiamo i bagni. Nelle città, anche le più turistiche, non ci sono quasi bagni pubblici, devi andare a prendere il caffè se hai un bisogno. E i bagni fanno pena, se ne trovi uno pulito vinci un premio. Immaginatevi le guide turistiche quando portano una trentina di persone in giro. Nelle stazioni per andare in bagno si paga quasi un euro (vedi Bologna e Firenze) come se urinare fosse diventato un lusso! Sono stata in vacanza a Lisbona e vi posso dire che sono rimasta piacevolmente sorpresa, tanti bagni pubblici gratuiti e belli puliti. Non voglio fare una dissertazione sul bagno, ma è l’unica cosa di cui tutti abbiamo bisogno, indistintamente. In Italia bisogna elemosinare anche quello. Figuriamoci allora quando si parla di accesso per passeggini, carrozzine, sedie a rotelle…! Fantascienza. E tutti lì a subire, nessuno si lamenta e magari si ritorna anche a votare per quelli che ci hanno rovinato. Comunque a me sembra che a noi italiani non ce ne freghi più di tanto di quello che succede fuori di casa nostra. Le nostre case sono pulite a volte all’eccesso, si chiamano sudici quei paesi che non hanno l’abitudine del bidet, ma fuori non esitiamo a buttare di tutto, come se quello spazio lì non ci riguardasse. Parcheggiamo sui marciapiedi, tanto chi se ne frega se a causa nostra non può passare una sedia a rotelle o un passeggino. Insomma, alla base siamo tanti ad essere veramente dei cafoni, basta guardarsi in giro per vedere quanta inciviltà c’è. Ci dobbiamo veramente meravigliare se lo stato, le regioni, i comuni non fanno un tubo per i loro cittadini?

  11. Purtroppo la classe dirigente e’ troppo spesso lo specchio fedele del popolo che l’ha eletta. Ma – a costo di sembrare ingenua- secondo me c’e’ speranza, ci sono piccoli atti di resistenza quotidiana che sommati possono avere un effetto: scrivere lettere, mail, protestare, denunciare atteggiamenti incivili. C’e’ uno che parcheggia male e blocca l’accesso al marciapiedi? Bisogna dirglielo. Insomma, detto in breve, bisogna rompere le balle e farlo in tanti. Se i cittadini per primi dimostrano di tenerci, magari piano piano le cose cambiano. Se tutti i genitori cambiassero i figli sui tavoli dei ristoranti di tutta Italia, magari qualcuno un fasciatoio lo metterebbe. Sarebbe una bella idea per un flash mob, no? 😉

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