9. MUOVERE L'ESERCITO

Eh no, non lo muovete, quell’esercito. Siete sempre ferme a fare le vittime mentre, si sa, la vittimizzazione mal si accorda con il vero pensiero, la vera consapevolezza, la vera dottrina. Siete sempre ferme perché avete bisogno di mettere in scena la catastrofe per sentirvi reali.
Davvero?
Per chi avesse bisogno di un ripasso sul concetto di realtà, consiglio questa lettura.

11 pensieri su “9. MUOVERE L'ESERCITO

  1. Mi fermo a pensare, prendendo spunto da tre passi del racconto. ” Al Cip siamo una quindicina tutte donne con meno di trent’anni “; l’interlocutrice ci dice che ” dobbiamo investire sul nostro fascino “per fare breccia nel cuore degli inumerevoli responsabili delle risorse umane che ci troveremio davanti”; ma quella ragazza, con la voce fioca e nel contempo ferma, il mondo del lavoro l’ha gettata fuori perchè ” ha bisogno di un fascino diverso che consoli padroni e clienti e che sia il calco smagliante di rapporti di forza sempre ben delineati”. Quante altre Adriana avranno la forza di andar via dal Cip?

  2. Come ho cercato di spiegare nel post segnalato da Loredana, l’esperienza al Centro per l’Impiego mi è stata molto utile perché ha reso esplicito il pensiero che c’è alla base del funzionamento del mercato del lavoro. L’impronta del laboratorio era molto pratica, molto del tipo “noi vi diamo delle dritte per cavarvela. Ehi, è un mondo duro là fuori, è così che funziona”.
    Tutti i laboratori vedevano sempre una maggioranza (a volte veramente schiacciante) di ragazze, tutte molto giovani, laureate, in molti casi con lauree scientifiche che corrispondevano a un preciso profilo professionale o con dei master specifici alle spalle. Gli insegnanti ci dicevano che tutto questo non conta quasi nulla al momento dell’ingresso nel mondo del lavoro. Quello che conta è farsi largo, scavalcando gli altri con ogni mezzo e riuscendo a colpire i selezionatori o i datori di lavoro, ad intrigarli. Dovevamo essere affascinanti, mettere in piedi uno show per loro, dimostrare di essere sicure di noi stesse, piene di angoli ombrosi tutti da scoprire (ci consigliavano di mettere molto in evidenza i nostri interessi e di puntare molto su quelli. Hai visto mai che anche il selezionatore abbia una passione per il cinema sudcoreano), ma allo stesso tempo completamente riverenti nei confronti dell’autorità. Questo significa che dovevamo accettare senza fiatare stage o paghe da fame, e approfittare dell’occasione dataci per sgobbare come delle pazze e così fare buona impressione. I datori di lavoro che prendono stagisti, ci dicevano, vogliono sempre assumere. Quando non assumono è perché si trovano male. Questo fatto è smentito da tutte le statistiche.
    Nelle ipotesi degli insegnanti, mai in nessun caso il nostro titolo di studio avrebbe rappresentato un serio discrimine. E ci dicevano pure di sbrigarci, perché dopo i 28 anni i datori di lavoro vedono le donne esclusivamente come “macchine da figli” (testuale). A conferma di questa affermazione, che gli insegnanti ci riferivano con la più brutale naturalezza, basti dire che le giovani donne (quelle che si trovano nella fascia d’età in cui di solito si fanno dei figli) che lavorano con contratti atipici sono il 28%, contro il 18% degli uomini.
    Un’altra raccomandazione riguardava in particolar modo le candidate e i canditati provenienti dal sud. Non c’è nessun motivo di far sapere ai datori di lavoro che siete del sud, ci dicevano. E’ meglio se omettete il vostro luogo di nascita o gli comunicate solo l’indirizzo di residenza, qualora ce l’abbiate al nord.
    Un altro consiglio riguardava le fotografie. Meglio non metterle. Le foto fatte per il curriculum di solito non sono certo ritratti d’autore, e un datore di lavoro potrebbe rimanere spiacevolmente impressionato da una faccia non proprio gradevole. Quando la foto non è esplicitamente richiesta, meglio lasciare tutto nel mistero.
    Molte delle ragazze presenti al corso ridevano in faccia agli insegnanti, ma molte altre (magari giovanissime, senza nessuna esperienza nella ricerca di un lavoro) prendevano appunti e si bevevano ogni consiglio. Quante di loro, dopo qualche anno di ricerche magari con risultati nulli o quasi, decideranno di uscire dal mercato del lavoro? Il Centro per l’Impiego a cui faccio riferimento è il punto di riferimento provinciale di una grande città universitaria. Non saprei quantificare il numero di ragazze a cui questi consigli sono stati rifilati, ma di certo sono moltissime.

  3. Leggendo il post e il commento di Adriana (a cui rifaccio qui i complimenti per il blog) ho istintivamente pensato alla famosa o famigerata frase di Sara Tommasi “Sono laureata in Economia e io sono il prodotto da vendere”.
    Ecco mi pare che per certi versi la strada intrapresa da questo tipo di corsi o da certi responsabili del personale sia questa.
    Nascondere la propria Laurea, le proprie origini, la propria età (bisogna sempre sembrare più giovani) per confezionare un involucro più simile possibile ad un modello di dipendente perfetta che si basa su criteri quantomeno discutibili.
    Per rispondere invece all’accusa di vittimismo invece direi che personalmente non mi sento affatto ferma, se c’è qualcosa che mi appare fermo è una certa mentalità fatta di frasi come quelle raccontate nell’esperienza di Adriana, pericolosamente fermo è il mondo dove una 30enne non viene assunta in quanto “macchina per figli”.

  4. Posso fare un po’ l’avvocato del diavolo (senza per questo sostenere che si faccia del vittimismo)?
    Io lavoro da più di dieci anni nell’orrifico mondo del business in quanto “prodotto da vendere” (nel vero senso della parola eh, c’ho proprio una tariffa giornaliera e anche a ore in casi estremi). Ho cambiato diverse aziende e fatto diversi colloqui, oltre a sessioni di assessement e formazioni sull’intortamento del cliente. In tutto ciò ho capito alcune cose:
    – i colloqui sono praticamente standard, stesse domande a cui ci si aspettano le stesse risposte. La differenza la fa soprattutto il modo in cui ci si pone (sicurezza, spigliatezza ecc)
    – per quanto un selezionatore sia obiettivo, la percezione della piacevolezza di una persona, in senso fisico e non, è istintiva e è molto difficile non tenerne conto
    – le qualità umane, a qualsiasi livello e ovunque, contano quanto le competenze. Ci sarà sempre uno bravo quanto te ma magari è un cagacazzo e nessuno ha voglia di lavorarci insieme. Questo fattore è incredibilmente sottovalutato
    – alla luce di ciò insegnare a puntare sul “fascino” (o simpatia, o comunque sul piacere al selezionatore), soprattutto al primo impiego, non è né strano né sbagliato. E lavorando in un ambiente prettamente maschile, posso affermare che queste stesse cose valgono allo stesso modo per i maschi
    Ovviamente non discuto sulla discriminazione in base all’età o alla provenienza geografica che purtroppo sappiamo tutti che esistono

  5. @punto_fra: tu dici “insegnare a puntare sul “fascino” (o simpatia, o comunque sul piacere al selezionatore), soprattutto al primo impiego, non è né strano né sbagliato”. Il fatto è che quel fascino, quella simpatia, non è un concetto neutrale. Sei tanto più “affascinante” quanto risulti disponibile, acquiescente, spigliata ma non autonoma e via dicendo. E’ un fascino che serve all’azienda, e che non ha nulla a che fare con qualità umane e morali che personalmente condivido e che contraddistinguono persone capaci di pensare con la propria testa e di ribellarsi alle ingiustizie. Per dire, in questi laboratori la parola “sindacato” era usata in modo dispregiativo. E’ un fascino utile al capitale, non alla società.
    Per me un mercato del lavoro che sia appunto un mercato, in cui il lavoratore si deve vendere, è inaccettabile. E uno dei motivi per cui è inaccettabile è che si tratta di un sistema intrinsecamente discriminatorio. Non esiste un mercato del lavoro che non sia discriminatorio. Può esserlo di più o di meno, ma ad ogni momento di crisi i discorsi del genere (se sei donna devi essere giovane, carina, del nord e via dicendo) tornano fuori con tutta la loro violenza.

  6. @Adrianaaaa certo, ma infatti io ho portato la mia esperienza (che per l’amor di dio, è ovviamente limitata), in questo contesto sociale ed economico, in un sistema capitalista. Non ho affatto detto che mi piace; ma dato che qui si parlava di donne, mi sento di dire che su questo particolare punto non c’è differenza tra uomini e donne; se un maschio arriva al colloquio in jeans e scarpe da basket, se parla di sindacato e diritti dei lavoratori, se risponde solo a monosillabi, se ha lo sguardo vitreo può essere pure un genio ma non lo prendono.
    E spero che sia chiaro che non sto dicendo che è giusto così!!
    (Poi anche sul fatto che le aziende vogliano assumere solo belle statuine e soldatini non pensanti avrei da dire. Dipende se vogliono DAVVERO assumere o se cercano lo stagista che lava anche il cesso gratis per poi mollarlo a casa)

  7. Adrianaa scrive in maniera così superba, che alla realtà sembra di librarcisi sopra. volevo chiederle se ( a parte focault) riesce a immaginare una realtà, un lavoro , in cui le sue capacità le sue competenze possono essere d’aiuto.
    ciao,k.

  8. K non so se ho capito bene il senso della tua domanda. Io credo che in un mondo dove i rapporti di forza non sono più quelli di oggi, anche il lavoro e le competenze dovrebbero essere visti in modo diverso. Ciascuno dovrebbe avere la libertà e anzi il diritto di imparare e di essere un individuo che, nel dare il proprio contributo al benessere della società (perché è questo che dovrebbe essere lo scopo del lavoro), continua a crescere.
    Grazie per l’esageratissimo complimento

  9. non era un complimento esagerato, che anzi probabilmente ci volevo infiltrare una critica, o perlomeno evidenziare un rischio: che cioè quantomeglio uno scrive, quantopiù si distacca ( si libra) dal reale e questo distacco diventa con facilità disprezzo. così fanno spesso gli scrittori, ma per fortuna l’editoria è in crisi.
    “dare il proprio contributo e continuare a crescere”. certamente con questo non intendi il fare carriera. ma altrettanto difficile e forse anche bello, sarebbe trovare qualcuno o qualcosa per cui valga la pena, abbia un senso consumarsi
    ciao,k

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