A TRUE STORY: DALL'EDILIZIA ACROBATICA AI LIBRI MALEDETTI, PASSANDO PER SANREMO

Ogni mattina, quando cammino per via Oslavia diretta in radio, passo davanti a due negozi che hanno preso il posto, da qualche mese, di due piccole boutique di abbigliamento, di quelle vecchio stile che piacevano a mia madre, che le chiamava, genericamente, “il negozio delle signorine”, anche se le donne che le gestivano erano quasi della sua età, e dove si trovavano tailleur fuori moda, ma di buona fattura, maglioncini con gli strass, sciarpe calde sui toni del beige. Qualcosa che conservava il presunto tocco di classe della piccola borghesia riconosciutasi come tale a metà del secolo scorso. Qualcosa di poco vistoso e che chiamava a sé l’aggettivo “dignitoso”.
Ora ci sono due esercizi commerciali poco comprensibili, in via Oslavia. Il primo si chiama “Edilizia acrobatica”, e ha in vetrina un manichino in tuta da lavoro e caschetto appeso a fili, e alle spalle una serie di scritte che sembrano venire da una riunione di consiglio di amministrazione: innovazione, cambiamento, cose così. Tutte le mattine, mi chiedo chi mai entrerà nel negozio a chiedere informazioni sull’edilizia acrobatica, ma tant’è. L’altro negozio si chiama “Consulenti d’immagine” e per un bel po’ non ho capito cosa fosse, visto che in vetrina c’erano foto gigantesche di una signorina col naso da clown e la giubba da domatrice, oltre a un ferro da stiro a carbone. Quando è apparso un phon, ho capito che era un negozio di parrucchiere.
Simulacri, simulazioni, inganni. Normale, ovvio, comune: non sappiamo cosa si vende in quei negozi, ma accettiamo la piccola finzione di un’insegna fuorviante. La domanda è: perché la accettiamo sempre meno dalla letteratura?
Per la terza volta, torno sul punto, prescindendo dal caso che ha dato inizio a queste riflessioni. Vogliamo storie vere. Ci crogioliamo nell’idea che chi ce le racconta non stia mentendo. Io stessa ho iniziato questo post raccontando una piccola storia vera (forse). Avrei potuto iniziarlo così:
“Don Giuseppe pianamente gli spiegava che il lavoro dello storico è tutto un imbroglio, un’impostura: e che c’era più merito ad inventarla, la storia, che a trascriverla da vecchie carte, da antiche lapidi, da antichi sepolcri; e in ogni caso ci voleva più lavoro, ad inventarla: e dunque, onestamente, la loro fatica meritava più ingente compenso che quella di uno storico vero e proprio, di uno storiografo che godeva di qualifica, di stipendio, di prebende. «Tutta un’impostura. La storia non esiste. Forse che esistono le generazioni di foglie che sono andate via da quell’albero, un autunno appresso all’altro? Esiste l’albero, esistono le sue foglie nuove: poi anche queste foglie se ne andranno; e a un certo punto se ne andrà anche l’albero: in fumo, in cenere. La storia delle foglie, la storia dell’albero. Fesserie!»”
E’ l’impostura dell’abate Vella raccontata da Leonardo Sciascia nel più bello dei suoi romanzi, Il consiglio d’Egitto. A dispetto di Vella, e anche di Sciascia, alla letteratura noi chiediamo proprio questo, di raccontare il vero. Ma la letteratura non racconta mai la verità: la ricrea semmai a seconda del punto di vista di chi scrive, e anche quando chi scrive pretende di raccontare la propria vita, e giura al lettore che quella è un’autofiction, mente, perché racconterà solo quel che vuole raccontare.
Mente come mentono gli illusionisti.
Gli illusionisti attirano la vostra attenzione sulla mano sinistra e compiono il trucco con la destra. E voi lo sapete. Ma volete essere ingannati, e dunque non vorrete vedere l’inganno. Chi sono, poi, gli illusionisti? In un bellissimo film, F come falso, Orson Welles appare in apertura, avvolto in un mantello nero, calzando un cappello nero. Compie un trucco: il vecchio trucco della chiave che si trasforma in una moneta. E cita un grande mago, Robert Houdin, il quale soleva dire: “Un mago è solo un attore che recita la parte del mago”. Dunque, lo scrittore che sostiene disperatamente di dire la verità, è solo un attore che recita la parte dello scrittore.
Eppure, noi continuiamo a pretendere ogni giorno di più la verità non solo dalla letteratura, ma persino dallo spettacolo. Nel suo (bellissimo) intervento a Sanremo, Rula Jebreal ha parlato della sua storia (così come fece Franca Rame, ai tempi): e noi siamo stati coinvolti al massimo perché quella terribile storia è vera. La condizione per destare la nostra attenzione è, ancora una volta, l’autenticità. Ma quanto, ancora, ci facciamo ingannare? Non da Rula Jebreal, ovviamente. Ma dall’indotto mediatico di quel discorso, che ci porta persino a credere al femminismo di Vasco Rossi.
Ha senso? E dove ci porta l’ossessione per il simulacro dell’autenticità? C’è uno pseudobiblium, che è un libro immaginato in un altro libro, e non esistente, che si chiama De Vermis Mysteriis. Lo ha inventato Robert Bloch (quello che scriverà Psycho) in un racconto del 1935, Il divoratore giunto dalle stelle, dedicato a H.P. Lovecraft: laddove il solito scrittore imprudente, cercando libri sull’occulto, scova il De Vermis Mysteriis, scritto da un misterioso Ludvig Prinn, eretico, mago e stregone che prima di finire sul rogo riesce a racchiudere in un libro osceno e morboso i suoi “allusivi orrori”. Pericolosissimi. Lovecraft lo riutilizza in L’abitatore del buio. Poi arriva Stephen King, che lo cita in Jerusalem’s Lot e, soprattutto, in Revival.
Il libro maledetto schiude porte che andrebbero tenute chiuse. In Revival, si tratta dell’Elettricità Segreta, la stessa che dannò Victor Frankenstein, e probabilmente quella che si temeva avesse scoperto il realmente esistito Nikola Tesla, che non a caso appare in un film, The Prestige, nel ruolo dello scienziato pazzo.
Ora, il De Vermis Mysteriis è in vendita su Amazon a 500 euro. In altre parole, noi sappiamo che non esiste, eppure esiste, o meglio, qualcuno ci crede e probabilmente è disposto, chissà, a spendere 500 euro. Dove, e quando, abbiamo confuso, e stiamo confondendo, spettacolo e realtà?

3 pensieri su “A TRUE STORY: DALL'EDILIZIA ACROBATICA AI LIBRI MALEDETTI, PASSANDO PER SANREMO

  1. L’edilizia acrobatica è un tipo di intervento per mantenimento di opere muraria senza l’utilizzo di ponteggi. Si usa per quegli inteventi che, magari per vincoli architettonici, non possono essere effettuati con le metodologie classiche. Gli operatori scalano le facciate usando tecniche da arrampicata.

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