Un grandissimo Adriano Sofri su Repubblica di oggi.
C’è una vera ragione di allarme sulle donne uccise, o c’è un allarmismo colposo o doloso? Si è andata ampliando la reazione negatrice, fino a diventare una campagna. Lo scandalo sul femminicidio è montato lentamente e tardissimo. Ha da subito eccitato dissensi troppo aspri e ottusi per non essere rivelatori. C’è stato anche chi ammoniva che gli uomini uccisi sono più numerosi delle donne uccise: vero, salvo che il confronto va fatto fra le donne uccise da uomini e gli uomini uccisi da donne, e allora diventa irrisorio. Strada facendo, le obiezioni si sono irrobustite, valendosi anche di una (effettiva) carenza di statistiche esatte. All’ingrosso, si è negato che le uccisioni di donne siano cresciute in numeri assoluti, e si è sottolineato che la crescita – impressionante – nella loro quota relativa rispetto al totale degli omicidi è dovuta solo alla riduzione degli altri omicidi, soprattutto quelli di mafia. Prima di motivare i dubbi sulla prima affermazione — il numero di femminicidi che resta sostanzialmente stabile nel tempo e nei luoghi — sbrighiamo la seconda: se nel complesso degli omicidi c’è una rilevante riduzione, e quelli contro donne restano inalterati, vuol dire che la nostra convivenza migliora tranne che nei rapporti fra uomini e donne. A questa allarmante constatazione si aggiunge l’altra.
Abbiamo alle spalle (recenti) un mondo patriarcale e un codice penale che giudicavano con sfrenata indulgenza, o con malcelata simpatia, gli uomini che ammazzavano le “loro” donne; e ora ci illudiamo di vivere in un mondo più affrancato dai pregiudizi e più libero per tutti. Anzi, un altro dato, secondo cui le uccisioni di donne sono molto più frequenti al nord che al sud, segnala una relazione complicata se non inversa fra liberazione dei costumi e insofferenza maschile. Rinvio, per una replica generale, al blog di Loredana Lipperini (“Il fact-screwing dei negazionisti”, 27 maggio). Per parte mia, faccio alcune obiezioni peculiari. Nella discussione “specialista” al neologismo “femminicidio” si è aggiunto da tempo l’altro “femicidio” (sono latinismi passati attraverso aggiustamenti anglofoni): il primo alludendo alle vessazioni che le donne subiscono da parte di uomini, il secondo all’assassinio. Il binomio mi sembra privo di senso e comunque di utilità, e tengo fermo il solo termine di femminicidio come, alla lettera, uccisione di donne. Gli obiettori all’esistenza di una “emergenza di femminicidi” hanno capito che la categoria riguardi le donne uccise da loro mariti e amanti e fidanzati o exmariti, ex-amanti, ex-fidanzati (e padri e fratelli…), dunque “dal loro partner”. Questa delimitazione è frutto di un significativo fraintendimento. È vero, e raccapricciante, che la gran parte delle violenze e delle stesse uccisioni di donne è perpetrata dentro le mura domestiche, dove i panni andavano lavati, cioè sporcati, al riparo da sguardi estranei. Ma questa selezione statistica toglie altre circostanze in cui donne vengono uccise “perché donne”. Addito le prostitute assassinate. Piuttosto: non “le prostitute”, ma le donne che si prostituiscono; correzione essenziale, se appena riflettiate alla differenza, di spazio e di emozione, fra i titoli che dicono “donna uccisa” o “prostituta uccisa”. Gli assassinii di prostitute sono molti e orrendi. Gran parte dei detenuti per omicidio di un carcere non speciale hanno ammazzato la “loro” donna, o una, o più, prostitute. Non è femminicidio? Per bassezza di rango? O perché le prostitute non hanno padre, coniuge, fidanzato, e gli assassini non sono i loro “partner”? Ma lo sono senz’altro. Nel caso delle prostitute, l’assassino è “il loro partner”. Basta a renderlo tale la cifra che sborsa o promette per il prossimo quarto d’ora, o il loro stare su un marciapiede a disposizione di chi le voglia e prenda a nolo. La nudità esposta delle prostitute da strada – le più allo sbaraglio – è per loro un modo di aderire, per la durata della loro fatica, all’alienazione di sé, di sospendere la propria identità salvo rientrarvi a nottata passata; per gli uomini, è la manifestazione denudata dunque resa astratta e universale – come la moneta, corpo che sta per tutti i corpi – del piacere che può loro venire, della loro indigente questua di badanti sessuali. La gelosia maschile è così diversa da quella femminile (come attesta la sproporzione di botte e coltellate, salvo che la si riduca alla differente muscolatura) perché noi uomini intuiamo e temiamo una superiorità sessuale femminile, una disposizione al piacere che nessuna presunzione amorosa può del tutto addomesticare. Lo sapevano gli antichi, e ne avevano confidato al mito la memoria anche dopo aver ridotto le donne in cattività, prime fra gli animali domestici. Ne hanno ereditato la nozione, pur non sapendo più spiegarla né spiegarsela, e dandola falsamente come una prescrizione religiosa, le società che si dedicano scrupolosamente a mutilare le bambine degli organi sessuali, mutando in strumenti di dolore e anche di morte una fonte di piacere renitente al comando. (Ricordiamo il catalogo: “Non desiderare la casa del tuo prossimo; non desiderare la moglie di lui, né il suo schiavo e la sua schiava, né il suo bue né il suo asino…”). Alle donne che fanno le prostitute gli uomini prendono a basso costo e basso rischio un surrogato alla violenza casalinga e amorosa: come le bambole sulle quali i medici cinesi visitavano le loro pazienti vestite, le prostitute sono le fidanzate momentanee e traditrici su cui infierire. “Non era che una puttana”. Romena, russa, bielorussa, nigeriana: “Uccisa una nigeriana”.
Titoli in corpo piccolo (si chiama così la statura delle lettere a stampa, corpo), al di sotto del femminicidio consacrato. Vuoi mettere, si dirà, una nigeriana uccisa con la ragazza quindicenne che ci ha spezzato il cuore? Certo che no. Eppure sì.
È affare di noi uomini. Le donne che fanno le prostitute e partono ogni sera per la più asimmetrica delle guerre civili la sanno lunga, su noi, che esitiamo a seguire il filo dei pensieri fino al punto in cui fa il nodo. È seccante rileggere i più bei frutti della nostra creatività letteraria e artistica per scorgervi la rovina del Grande Delinquente che ha ucciso la puttana perché l’amava e la voleva solo per sé.
I volontari della campagna anti-scandalismo sul femminicidio protestano che una morte vale un’altra: la ragazza massacrata vale il pensionato rapinato (qualcuno si spinge a confrontare le uccisioni di donne con le vittime degli incidenti stradali!). Che si distingua chi perseguiti o uccida qualcuna o qualcuno perché è donna – o perché è gay, o perché è ebreo, o nero – sembra loro un’insensibilità costituzionale. Il paragone con le minoranze è improprio: le donne sono la sola maggioranza brutalizzata. Le leggi, dicono, valgono per tutti. È vero, e riconoscono aggravanti particolari. Come spiegano Lipperini e Murgia – e tante altre – occorre a un capo l’impegno culturale e all’altro capo il sostegno materiale ai centri antiviolenza. Aggravare le pene è il riflesso condizionato di legislatori di testa leggera e mano pesante. Di una sola misura c’è bisogno, più efficace a impedire di nuocere a chi ha minacciato, picchiato e molestato abbastanza da annunciare l’esito assassino. Qui è il punto penale: solo in apparenza preventivo, perché quelle minacce e molestie e violenze, quando siano accertate, sono già sufficienti alla repressione che il femminicidio attuato renderà postuma.
La minimizzazione del femminicidio si presenta come un’obiezione al sensazionalismo. Si potrà dire almeno che ha avuto una gran fretta. Si sono ammazzate donne per qualche migliaio di anni, per avidità amorosa e per futili motivi: da qualche anno si protesta ad alta voce, e già non se ne può più?
Credo che la significanza del problema del femminicidio sia una questione spinosa, che sicuramente quelli di noise from america e sicuramente lombardi non possono affrontare. C’è infatti un problema che riguarda tutti, ossia la difficoltà a valutare statisticamente l’entità delle violenze sommerse e non denunciate. Morti incluse. L’assenza di questo dato, inficia qualsiasi interpretazione perchè è un ventre nero in cui affondano le comparazioni – che per ora si basano solo su ciò che arriva alla luce del sole. Il progresso delle società civili, del rapporto tra cittadinanza e stato nonchè la maggiore sensibilità alle questioni di genere potrebbe far creare l’illusione ottica di un maggior numero di violenze reali perchè si scambiano per esse il numero delle violenze denunciate. Ma non sarei sorpresa di constatare nell’utopica e paradossale possibilità di censire il sommerso – che a quel punto un paese come l’Italia supererebbe a larghe falcate i paesi del nord europa. Ma da come scrive Lombardi si vede che non ha la più pallida idea di quante siano le situazioni terrificanti che non arrivano ai pubblici registri. Quindi anche per me l’indice delle morti per violenza di genere non è allo stato attuale un indice affidabile – ma questo non mi fa mettere in secondo piano un problema che sento come reale.
(Volevo ringraziare e salutare pure Maurizio)
Ma l’assimetria tra femminicidio e maschicidio si ritrova anche nella violenza che non ha come esito l’omicidio?
Se sì, perché l’attenzione è riservata all’omicidio, per esempio sfregiare con l’acido o massacrare di botte o far vivere nella paura non sono fatti rilevanti?
la mia personale visione è che il tutto nasce dalla consapevolezza da parte dell’uomo di essere inferiore alla donna. da qui un aumento delle violenze in quanto il ragionamento, o meglio, l’istinto becero, porta l’uomo a reagire con una violenza che è direttamente proporzionale all’emencipazione femminile. e non penso sia nemmeno una questione di cultura in senso lato, cioè non è solo una questione di ignoranza. penso che ci voglia il pugno duro con chiunque, a parole, a gesti, ad azioni, perda di rispetto per una donna, chiunque ella sia, madre, moglie, figlia, cugina, prostituta, vicina di casa, collega, capufficio, ministro per l’iimigrazione ecc ecc.
imho.
Finalmente un uomo (Sofri) che prende distanza dal suo genere. Negare una realtà come il femminicidio purtroppo succede spesso in italia e poi chiarmanete ci sono diverse categorie di donne, la violenza, lo stupro, l’uccisione di una prostituta vale poco per una socità patriarcale come la nostra e la maggior parte delel società. Quando una donna giovane subisce violenza si grida allo scandalo senza vedere la connessione culturale che si basa su questo fenomeno.
Indagherei sulle cause che portano quell’uomo, Oscar, a sentirsi inferiore.
Si è detto più volte che l’educazione maschile, così come è impostata nei suoi riferimenti – quando è impostata (quando ha dei riferimenti)-, produce aberrazioni nel comportamento dell’uomo. Aberrazioni che si sfogano nella violenza attraverso uno spropositato senso dell’orgoglio e dell’offesa.
Non è “l’educazione maschile”, è l’educazione AL (verso il) maschile. Così come c’è un’educazione al femminile. Dressage.
La giustificazione è nell’idea-cetriolo che altrimenti i bambini impazziscono. L’ombra del sessista Aristotele è incredibilmente lunga.
Per approfondimenti si può iniziare da qui:
http://27esimaora.corriere.it/articolo/sei-proprio-una-donnina-se-gli-stereotipi-di-genere-nascono-allasilo/
La parola della donna è legge, nessuna donna può dire bugie, è geneticamente impossibie perché la donna è razza superiore.
Gli uomini devono tutti vergognarsi ed andare TUTTI a chiedere scusa alle donne, gli uomini sono il marcio del mondo e le donne la salvezza.
Un uomo come te è di certo il marcio del mondo, Jerry. Oltre che un emerito coglione.
Segnalo: http://www.feriteamorte.it/un-altro-si-unanime-alla-camera-contro-la-violenza-sulle-donne/.
In particolare, le parole della ministra Idem: «Per far fronte a un fenomeno sociale e culturale di così vasta portata – ha detto ancora Josefa Idem – quale è quello della violenza contro le donne sono necessarie risorse finanziarie da parte dello Stato e degli enti territoriali, ed è su questo fronte che intendo impegnarmi per reperire forme di finanziamento durature, anche di derivazione europea, che possano consentire soprattutto ai Centri antiviolenza di poter assicurare, in via continuativa, l’adeguata assistenza alle donne vittime di violenza».
E ancora, a proposito di dati: . Il ministro ha inoltre annunciato l’istituzione di «un Osservatorio nazionale sulla violenza di genere e sullo stalking che raccolga, tra l’altro, dati uniformi in linea con quanto richiesto anche dall’Ue».
Personalmente, più che un osservatorio ad hoc preferirei che il compito fosse affidato a chi ha già dato prova di saperlo fare, questo mestiere: Ministero dell’Interno e ISTAT. Costerebbe di certo anche meno, consentendo di spendere i fondi sul campo e non in compiti importanti, ma pur sempre ancillari. Ma vediamo, per ora siamo alle dichiarazioni di intenti. Strada facendo le idee si chiariranno, speriamo.
Se qualcuno frequenta ancora questi lidi nonostante il fisiologico “invecchiamento del post”: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/05/23/violenza-sulle-donne-stati-generali-a-roma-idem-dal-27-ddl-su-trattato-istanbul/603005/.
A me pare che ci sia molto buon senso da parte di tutti: ministra Idem, Presidente Grasso. Si parla di fondi, sì, bisognerà pure farsene una ragione, che per risolvere un problema ci vogliono le risorse; e non si parla mai, ma proprio mai, del temuto inasprimento delle pene. Non lo fa neppure Grasso, che è stato magistrato fino all’altro ieri. Mi pare un buon risultato in termini di consapevolezza, no?
Ammazza.
Shane: è finita a flame e polemica nel momento esatto in cui la lipperini mi ha dato (ancora, poco velatamente) del paternalista e del sedicente titolato senza rispondere alla domanda, per la terza o quarta volta consecutiva. Un attacco alla persona (?) invece che all’idea. “Te hai torto perché…perché hai torto. Oh.” Segno che terreno per discutere non ce n’è. Che insisto a fare?
Nessuno richiama l’intervento sessista sugli uomini al volante perché aggressivi, ma saltano tutti come molle ‘ppena ppena qualcuno dice: wè, guarda che state appoggiando qualcosa che non è chiara. Iiih, apriti cielo. Sciò, pussa via, vecchio arnese del patriarcato, conservatorista in formalina. Torna in soffitta. Negazionista.
Non è qualunquista l’altro, no. Per carità.
Nooo.
Che insisto a fare?
Saluto e vado via.
Barbieri: se a te sta bene che qualsiasi delitto contro le donne sia più grave di per sé, non abbiamo nulla di cui parlare. Ci siamo chiariti.
Maurì: te lo dico il perché fa schifo, visto che attacchi polemica (…shane?). Perché c’è la fase davanti al questore che è un giudizio senza le garanzie del giudizio, che mi trasforma per volere di un funzionario di polizia un delitto da procedibile a querela a procedibile d’ufficio. Come d’incanto. A te dirà poco, perché te sei al di sopra di certe cose, ma la differenza è gigantesca. Anzi no, questo non lo posso dire, che sennò faccio il paternalista (!). E ti dico pure che te lo fanno senza contraddittorio: beccati questo, caro stalker, e zitto. Deus vult. Ah no, questo nemmeno posso dire, perché altrimenti voglio fare quello che capisce, che sa e potrei darvi – dio non voglia! – degli ingenui. E questo non è giusto.
Insomma, dovevate darmelo prima il copione.
” E ancora quelli che hanno paura che si sancisca “che l’omicidio di una donna è più grave di quello di un uomo”, cosa da nessuno richiesta”
Dillo a barbieri.
Il resto del tuo intervento è un vomito d’insulti.
Visto shane?
Flame e polemica a vuoto. Cotte e mangiate.
Addirittura dello schizzato che nega l’evidenza palmare (!!!!).
Scusa, ma quale evidenza.
Zitto epistemologo. L’evidenza è evidenza.
Ma..ma…
Shhhh
E il diroccato sarei io. Boh.
Stavolta vado via sul serio, mamma mia.
@ Just
guarda, io sto impazzendo, però riproviamoci, con pazienza e serenità, d’accordo?
Mi spieghi perché dici che per Barbieri ogni delitto contro le donne è più grave di per sé? A me sembra che tutte le risposte che ti ha dato dicono proprio un’altra cosa, ovvero non tutti i delitti, ma solo quelli in cui riconosciamo un certo movente. Che poi non è tanto che sono più gravi, è che rappresentano una differenza che ci interessa cogliere, credo. E poi, la modifica al codice penale non parlerebbe esclusivamente di delitti contro le donne, ma di violenza di genere. Perché quando te l’ho fatto notare mi hai detto che non ho capito nulla di ciò che chiedevi?
Se la tua domanda principale è dov’è il confine, la risposta è che non c’è un confine netto, data la “natura” del fenomeno, ma già come ti è stato detto, ci sono situazioni più distinguibili e situazioni meno, poi vedrà il giudice. Almeno su questo ci siamo?
Poi capisco che quando c’è di mezzo la giustizia le cose si complicano dannatamente, rischiamo una deriva giustizialista? La legge sullo stalking è fatta male, rischiamo discriminazioni ulteriori? rischiamo che lo stato si sostituisca e violi l’autodeterminazione delle persone? è di questo che stai parlando?
Inoltre – quale ambito delle ricerche sociali non presenta confini labili che ne discutono la definizioni e le rendono precarie? Tutti. Allora Just capisci a me, ci sono due strade percorribili, una è quella dell’ambito teorico e accademico, che si occupa di circostanziare il fenomeno cercando di spiegare l’ambito delle sfumature che lo mettono in continuità piuttosto che in opposizione con gli altri, e questo credimi è cosa non solo del femminicidio ma di tutte le questioni sociali che implicano l’interazione umana, e le motivazioni dell’agire. L’altra è quella della prassi. La prassi si avvantaggerà della ricerca sempre più definita e che ha risultati sempre più apprezzabili, ma non può cominciare quando quella si esaurisce, solo quando quella raggiunge un medio livello – sufficiente a fornire i primi strumenti applicativi, i quali per altro daranno risultati che nutriranno la teoria una volta che saranno utilizzati.
Un po’ come succede in statistica, per cui prima di poter fornire gli esiti di una ricerca strutturata si struttura la ricerca, ma la ricerca la si struttura con un altra attuazione pratica, ossia la ricerca – o progetto pilota.
Scusami, ma se ti dici epistemologo, non puoi trascurare queste concretezze epistemologiche, che riguardano le prassi concrete con cui si arriva all’acquisizione di conoscenze e di protocolli operativi.
Zauberei scrive: “Credo che la significanza del problema del femminicidio sia una questione spinosa, che sicuramente quelli di noise from america e sicuramente lombardi non possono affrontare. C’è infatti un problema che riguarda tutti, ossia la difficoltà a valutare statisticamente l’entità delle violenze sommerse e non denunciate. Morti incluse.”
Mi spiace ma fai confusione. I femminicidi sono un dato statisticamente attendibile perché i cadaveri sono difficili da da nascondere. Infatti l’accusa di “negazionismo” è un’artificio retorico scorretto, perché, almeno nel mio caso, ho esaminato i numeri e i dati di fonte femminista e femminile (Casa delle Donne, Josefa Idem) e non ho mai “negato” il fenomeno: ho solo cercato di capire, mettendo a confronto i dati e facendo delle domande che sono risultate più scomode del previsto.
Il confronto fra fenomeni diversi ma analoghi è legittimo (Amira Hass ha fatto recentemente la stessa cosa, confrontando i morti per terrorismo negli USA con i morti sul lavoro, su Internazionale), e non è colpa mia se i femminicidi in Italia nel 2012 sono stati 128 mentre gli incidenti sul lavoro sono stati 10 volte di più e quelli stradali 25 volte di più (ma con *minore* attenzione da parte dei media, non da adesso, ma da decenni).
Che le violenze domestiche invece siano sottostimate è evidente dal semplice fatto che non tutti i reati vengono sempre denunciati, però l’eventuale rapporto dimensionale fra violenze domestiche in generale e femminicidio (che è la forma estrema di violenza domestica) è tutto da individuare. Occorrerebbe fare un confronto internazionale e nel tempo, per capire se c’è una correlazione o no, e per capire quale sia la specificità italiana. Per il momento, secondo l’Onu, in Italia i femminicidi sono di meno che in Germania, Austria, UK, Francia, Finlandia, Svezia. Se c’è correlazione diretta, si potrebbe ipotizzare che in Italia ci siano meno violenze domestiche rispetto ai paesi europei nominati. Se invece c’è una relazione inversa, bisognerebbe capire perché. Tu hai la risposta? Io no.
Sulla questione degli omicidi Gianni Lombardi posso darti ragione. Ma trovo un po’ ingenuo ritenere che l’interpretazione di un dato statistico possa essere fornita solo in base ad altri dati statistici. Cioè gli stessi statistici mi sa rimarrebbero perplessi. A me pare che tu ti difenda da un fenomeno. Ma ste cose le ho dette sopra, e sento che il dicibile in questa occasione è stato detto. Almeno il mio, mo’ sto un po’ in risacca ecco.