AH, LE MIE LISTE: CAPITOLO SECONDO

Torno sulle liste di editori che chiedono contributi per la pubblicazione, sempre o in alcuni casi. Con alcune novità, alcune precisazioni, alcune riflessioni da sottoporvi.
Prima le precisazioni.
Iacobelli, presente nelle liste di editori “doppio binario”, stilate da Writer’s Dream secondo un’accezione vasta, che includeva sia gli editori che saltuariamente chiedono denaro per la pubblicazione sia quelli che chiedono una forma di contributo più generica (iscrizione a un concorso per valutazione di manoscritti, per esempio), mi ha inviato questo testo, in cui specifica di aver chiesto fino a qualche tempo fa contributi, ma di non seguire più questa pratica. Accolgo la precisazione (ho inserito nella pagina la specifica) e pubblico, con il loro consenso, la mail:
A seguito di una segnalazione che inserisce la nostra casa editrice fra gli EAP e doppio binario, sentiamo l’urgenza di una rettificare le informazioni riguardo la nostra attività editoriale.
La casa editrice Iacobelli nasce sei anni fa come costola di una tipografia che vanta una tradizione di quattro generazioni di stampatori ed è rinomata nel panorama dell’editoria romana.
La fatica di sopravvivere nel mondo editoriale ci ha imposto inizialmente di  viaggiare su due binari: quello a pagamento, attraverso la valutazione di manoscritti inviatici di autori esordienti e la proposta, qualora i testi rispondessero ai nostri canoni, di acquistare un numero di copie che consentisse di ripagare i costi di stampa, e quello non a pagamento, che tuttavia ci ha permesso di pubblicare ben pochi volumi nei primissimi anni.
Da tempo però abbiamo deciso di abbandonare questo doppio binario per provare a camminare con le nostre gambe.
Ci teniamo a precisare che non è certo nostra intenzione condannare o biasimare le case  editrici che contemplano la possibilità di ricevere un contributo per la pubblicazione.
È chiaro che sarebbe il sogno di tutti gli editori pubblicare quello che più li appassiona, ma tutti facciamo i conti con le vendite e l’interesse del pubblico, per cui questa potrebbe risultare una soluzione di comodo che in un certo qual modo sostenga l’impresa, soluzione che peraltro anche noi abbiamo adottato, pur senza slittare nella sfera del print on demand.
Oggi la Iacobelli editore, a cinque anni dalla sua nascita, con passione e innumerevoli sforzi, continua a perseguire l’obbiettivo prefissato da tempo: pubblicare libri belli, perché curati in ogni fase, e necessari, perché cercano di capire di più il presente reale nascosto da quello virtuale.
Non siamo ancora diventati grandi, ma crediamo che siano scelte come questa a farci sentire un po’ più grandi di ieri.

Ho ricevuto una smentita anche da Besa. Ho fatto loro notare che esisteva in rete un lungo articolo dove si specificava che la casa editrice praticava, appunto, il doppio binaro. Pochi minuti dopo l’autore dell’articolo (risalente a qualche anno fa) mi ha comunicato che l’articolo stesso era impreciso. Ho allora fatto presente a Besa che nei materiali forniti da Writer’s Dream era documentata una richiesta agli autori di non inviare manoscritti se non finalizzati alla pubblicazione con contributo.
Mi è stato risposto che al momento, causa assenza della direzione, è troppo complesso fornire spiegazioni. Dunque, per ora reinserisco Besa nell’elenco del doppio binario.
Ho invece spostato Robin da “a pagamento” a “doppio binario” dopo le reiterate precisazioni di un’autrice che, contratti alla mano, afferma di non aver pagato nulla.
Qui, peraltro, ci starebbe una considerazione. Anzi, ci sta.
Pubblicare le liste non significa mettere all’indice nessuno. Significa informare e non condannare. E’ proprio il clima da “si fa ma non si dice” ad avvelenare i pozzi: che se ne parli, serenamente e senza sentirsi demonizzati.
Altre precisazioni: ho tolto quegli editori che, con toni diversi, hanno specificato che non chiedono contributi e che erano stati messi  in lista per l’organizzazione di concorsi rivolti agli esordienti. Si tratta di Giulio Perrone e, come si constata dai commenti all’altro post, di Delos Book.
A proposito di toni: ho tolto dunque dal doppio binario anche Socrates, che invitava gli esordienti a leggere i loro libri prima di inviare manoscritti. In questa fase, preciso, tolgo non appena mi arriva una segnalazione, consulto il materiale a disposizione e, eventualmente, reinserisco. E così faranno le altre persone che stanno pubblicando le liste. Questo è, ovviamente, un work in progress. Ma sarebbe bello che potesse svolgersi senza insulti e scene madri. Trovare le parole “stronza, cialtrona, infame” in una ventina di bacheche Facebook (questo ha fatto l’editrice di Socrates) non rende certo propositiva la discussione.
Propositivo, invece, e correttissimo, è Piero Manni: mi ha inviato una mail di cui lo ringrazio e che pubblico. Augurandomi che il confronto possa essere sereno, sia da parte degli autori che degli editori. Grazie.
Vorrei, brevemente e schematicamente, chiarire le ragioni di Manni.
1. L’accelerazione dei processi di concentrazione editoriale, non solo e non tanto della produzione quanto e soprattutto della promozione e della distribuzione, stanno mettendo in ginocchio la piccola editoria. Alcuni piccoli chiudono, altri (nella convinzione che la lettura sia lo strumento principale della crescita personale e sociale) insistono, magari ricorrendo a risorse racimolate al di fuori della casa editrice.
2. Ci sono libri, che possono risultare importanti ed utili, che sono in partenza “fuori mercato”, per i quali ossia si sa già che la vendita non coprirà i costi di produzione: tutta la poesia, ad esempio: ci saranno in Italia sette, otto poeti i cui libri vendono quelle seicento copie necessarie a raggiungere il fatidico break even point; l’editore è uno che ha una azienda, i cui conti a fine mese non possono essere in rosso, altrimenti dopo sei mesi chiude. Che facciamo? non pubblichiamo più poesia? E anche per tanta narrativa, specialmente quella innovativa, originale, vale lo stesso discorso; ed anzi vale per tutta la narrativa di autori nuovi pubblicati da piccoli editori la quale, salve pochissime eccezioni, in libreria non ci arriva. Che facciamo, gli esordienti non si pubblicano più?
3. Quando arriva in redazione uno di questi libri che ci convince, proponiamo all’autore di sobbarcarsi le spese, preventivamente chiarendo sino alla pignoleria che offriamo in cambio in termini di promozione e di distribuzione: in alcune occasioni è successo che un libro, per i propri meriti e col nostro supporto, ha conseguito risultati maggiori di quelli ai quali ci eravamo impegnati. I dattiloscritti che rifiutiamo, dando comunque una risposta nei tempi ragionevoli indicati nel nostro sito, sono di gran lunga maggiori di quelli che accettiamo.
4. Ovviamente, pubblichiamo poi i libri “a rischio imprenditoriale”: qualche volta va bene, qualche volta sbagliamo, qualche volta fingiamo (quale editore non capisce che pubblicare “Tutte le poesie” o “Itto itto” del grande e sconosciuto Edoardo Cacciatore, due volumi di 6-700 pagine ciascuno, non porterà grandi incassi?). Paghiamo con puntualità i diritti agli autori di ambedue i binari.
5. In casa editrice, lavoriamo in quattro di famiglia: solo uno percepisce un salario, gli altri tre hanno un diverso reddito. Che ci azzecca (una citazione colta ci sta sempre bene)? Nulla, così, per aggiungere elementi di chiarezza…
6. Non vedo nella lista del doppio binario alcuni nomi importanti: Mondadori, Rizzoli, Einaudi,  e le altre decine di grandi e stimati editori che pubblicano a spese delle Università, di enti pubblici, di fondazioni, comunque con risorse pubbliche che passano attraverso canali di rado trasparenti. E non dovrebbero stare nella lista anche una buona fetta di quotidiani i quali vengono finanziati coi nostri denari o “in chiaro”, per legge deprecabilmente a rischio (e questi sono i casi migliori), o mediante scambi occulti di pubblicità contro condiscendenza e silenzi?
In conclusione, io credo che la questione delle pubblicazioni a pagamento sia più complessa di come viene presentata; un elemento, ad esempio, del quale si tien poco conto è che ci sono delle differenze, anche all’interno delle liste (non di proscrizione, mi auguro), tra editore e editore. Ma, si sa, il pensiero unico e debole consiste nella semplificazione e banalizzazione: pazienza.

53 pensieri su “AH, LE MIE LISTE: CAPITOLO SECONDO

  1. Alcune note – da profana.
    Credo che l’obbiettivo della lista sia stato posto negli interessi dei lettori e degli autori, per quanto riguarda il travagliato parametro della valutazione di qualità. Una categoria sfuggente, teoricamente molto soggettiva, ma che io creda si configuri in una forbice di possibilità – tra prodotti sapientemente confezionati con perizia artigianale che hanno dalla loro vuoi il talento dell’estetica vuoi quello della competenza scientifica – e prodotti che invece sempre ben confezionati da un punto di vista formale hanno il talento dello spirito dei tempi, del popolare ben fatto: la traduzione cartacea di Pippo Baudo, o Fiorello pe capissse, che non sono esattamente Fassbinder ma che sostanzialmente permettono a Fassbinder di pubblicare. Allora io ho maneggiato molti libri da scrittori che hanno pagato per vedersi pubblicati, e questa qualità della fattura manca per un concorso di colpe tra autore stesso e editing assente. Ma forse manca anche lo sforzo di pensare in termini di mercato e di inventarsi un fabio volo capace di mantenere tutta la baracca, piuttosto che specuplare sui singoli.
    Secondo punto: per chi legge e per chi scrive l’importante non è tanto il fatto stesso che si debbano versare dei soldi, ma il fatto che i soldi sostituiscano completamente la selezione. In questo senso, citare le case editrici che prendono finanziamenti per pubblicare testi scientifici, non possono essere proprio equiparate per la qualità del prodotto che offrono agli editori a pagamento: perchè chi pubblicherà grazie a quei fondi è un ricercatore il quale spesso è volentieri si è meritato quel contributo e una cattedra o una commissione gli ha dato questa possibilità usano in modo accorto quei fondi per permettere che il suo testo sia divulgato. E’ un meccanismo virtuoso a cui tutte le persone che fanno ricerca per quanto in un paese paralizzato sperano di accedere. E mi sembra giusto che ci sia. Voglio dire che il problema non è il quattrino, è in un certo senso il quattrino come si usa in Italia: dove quando vai in una scuola privata giacchè paghi puoi non fare niente, in America paghi molto ma molto di più ma se non fai niente un calcio in culo non te lo leva nessuno.

  2. E’ giusto il discorso di Manni sull’editoria in Italia…Tuttavia mi sembra che sarebbe corretto anche considerare queste liste per come erano nate: semplicemente un supporto informativo per gli scrittori esordienti che, poco pratici del panorma editoriale, sovente incorrono in equivoci o perdite di tempo nel confrontarsi con editori che non sanno essere a pagamento. Se poi ci sono errori nelle liste giustamente si segnala, si corregge.

  3. Bellala mail di Piero Manni. La apprezzo molto.
    Le “liste” o queste indicazioni, chiamiamole cosi, nascono per questo, come scrive francesca violi, per dare supporti informativi. Molta gente non sa davvero cosa fare, come muoversi.
    Quando nascono stimolanti ( e realistiche) considerazioni, quando si chiarisce, il risultato è un quadro completo, interessante e persino stimolante
    che spinge a pensare, a rimanere vigili, a considerare i tanti punti di vista e i vari aspetti.

  4. Sento di dover intervenire sul caldo dibattito dell’editoria a pagamento, essendo Stampa Alternativa una delle prime case editrici che lo aprì 10 anni fa, con un libro dal titolo “Editori a perdere” di Miriam Bendìa. Il suddetto libro denunciava una situazione specifica che era davvero da truffa e va incondizionatamente perseguita: vale a dire alcune millantanti case editrici, promettevano ad autori esordienti e quasi sempre inesperti editing, distribuzione e promozione delle proprie opere in cambio di un contributo economico. La realtà invece era che i suddetti editori si beccavano i soldi ma non facevano alcun editing, alcuna distribuzione e tanto meno promozione al libro stampato. Stampa Alternativa, oltre che sollevare un ampio dibattito sulla stampa – per esempio il compianto Nico Orengo commissionò una bella inchiesta a Mirella Appiotti su “TuttoLibri” – si beccò all’epoca anche una denuncia ma ci un processo con tanto di testimoni truffati e i condannati non fummo noi.
    Ora le cose sono cambiate non poco da allora e in fatto di entroiti e sostentamenti all’editoria indipendente, in peggio, come sostiene l’onesto e costruttivo Manni. Col quale concordo pienamente, soprattutto per quanto riguarda la “grossa” editoria che pubblica libri finanziati ma non sono mai tacciati di essere editori a pagamento. E concordo pure che molte pubblicazioni di poesia non vedrebbero mai la luce se non con alcuni contributi; chi è del settore lo sa da sempre.
    Concludo che è un dibattito sempre interessante questo intrapreso da te Lorenana e per tutti quegli editori che ti insultano, be’, non ti curar di loro e passa oltre. E, viene naturale il sospetto che, come direbbero i latini: excusatio non petita, accusatio manifesta.

  5. Grazie per averci rimossi dalla lista. Apprezzo molto chi ammette e corregge, cosa non molto frequente.
    Forse è vero che non è un indice di proscrizione, è anche vero però che se una casa editrice si sente lesa e diffamata dall’essere inclusa in queste liste, probabilmente già questo dice qualcosa sulla correttezza della sua inclusione.
    Poi certo, ci sono anche quelli che “noi non pubblichiamo a pagamento, però per favore contribuisci pagando mille euro per il bollino SIAE” o cose del genere.
    S*

  6. io non capisco perché ci sia questa necessità di tutelare la categoria “scrittori esordienti”. è gente che soffre la fame? è obbligatorio fare gli scrittori, nella vita? di fianco alle giustificate precisazioni di manni ci sono poi altre realtà che spudoratamente si approfittano dei “poveri scrittori che voglione emergere”. embè? qualcuno gli punta una pistola? se mi chiedono di pagare un contributo (in qualsiasi forma) sarò anche in grado di capire che mi sto mettendo in mani un poco traballanti, e che la settimana dopo difficilmente mi inviteranno da fazio a presentare il mio libro. ok, la pratica di far pagare non è fantastica (con le dovute differenze) ma se una o uno pur di avere il proprio nome su un libro sgomita, spende e sbraita allora che glielo si faccia fare. tanto è esattamente come al grande fratello, spingi spingi e qualche pezzetto di fama magari ti arriva, solo che nel mondo delle lettere non vogliamo mai accettarlo.

  7. Lorena quando una serie di persone si sono scoperte oggetto di truffa, di un mezzo raggiro – non è che si difendono tutti loro come categoria, se ci fai caso in questo post gli scrittori esordienti sono parecchio cazziati, ma si difende il diritto a un sistema limpido onesto e funzionale per chiunque vi entri in relazione, e si difende la qualità dei prodotti perchè la cosa che rende questa lista interessante è che il pagamento sostituisce la qualità. E da lettore cara mia, non è bello. Se la qualità fosse sempre garantita a prescindere dal pagamento forse non ci interesserebbe così tanto, ancora di meno se le clausole di contribuzione e il servizio spesso esangue proposto in cambio fossero chiari fin dall’inizio.

  8. @ lorena: Gli scrittori esordienti vanno informati, più che tutelati. Come ho già detto in altri post e in altri blog, chi inzia non sa da che parte pigliare. Se arriva la casa editrice “Gatto&Volpe” e ti convince che investendo qualche zecchino diventerai ricco e famoso, il rischio di cascarci c’è, ma per inesperienza, non per coglioneria.
    Ci sono armi molto più subdole e pericolose di una pistola.
    Se invece l’esordiente è bene informato, sa cosa riceverà in cambio di quel che dà, benissimo, una transazione d’affari come un’altra.
    Che gli aspiranti scrittori soffrano la fame o meno non credo abbia molta importanza: se possono permettersi di pagare è giusto truffarli?
    Non è obbligatorio fare gli scrittori nella vita, ma se uno ci vuole provare, non vedo perché debba rischiare di essere spennato.

  9. @zauberei. da lettrice: chi alimenta quindi il fatto di avere sugli scaffali libri di scarsa qualità/non editati/messi lì perché hanno pagato? se nessuno paga, gli editori di cui stiamo parlando non sopravviverebbero, e avremmo solo quelli bravi e buoni (perdonatemi l’ironia). non riesco a solidarizzare con chi, specie se mediocre, spende e si fa fregare pur di pubblicare. e ritengo che alla distanza sia anche una politica che non premi lo stesso editore. per la serie: siamo tutti grandi e vaccinati (e abitiamo il mondo ricco, aggiungo), possiamo e dobbiamo salvaguardarci da soli. anche come lettori.

  10. (scusate mi é partito il tasto, finisco di correggere e riposto)
    Vorrei intervenire nella discussione, avendo avuto esperienze di pubblicazione per diverse case editrici di media dimensione. Quello che dice l’editore Manni, é corretto, ma parziale e, a mio parere, con coglie il nucleo del problema. Direi che la questione abbia tre capi, uno relativo alle imprese, uno relativo al rapporto con gli scrittori, uno connesso al mercato. Parto da quest’ultimo: quello che troviamo, in Italia, é una situazione che oscilla tra l’oligopolio di pochi soggetti e la difesa corporativa di ristrette nicchie di mercato per tutti gli altri. Questo ha come risultato un costo della merce – libro tra i più alti, se non il più alto, d’Europa. Però, non ho mai sentito di un’azione comune delle case editrici, soprattutto delle piccole, per chiedere l’istituzione di un ente come il Centre National du Livre francese, né per imporre il blocco delle tariffe sul prezzo del libro, come avviene appunto in Francia (il mercato del libro più grande d’Europa, non a caso). Come é tipico dello scenario italiano, le azioni sono state sempre individuali e particolaristiche, senza una visione generale. Il risultato é una gerarchizzazione rispetto ai grandi soggetti, dove i piccoli sgomitano selvaggiamente per un posto al sole, essendo sostanzialmente a loro subordinati. Stesso problema si crea per la distribuzione, in mano a poche entità aziendali, un cartello che non solo decide dei prezzi, ma gestisce la possibilità di stare sul mercato delle editrici, di fatto governandole in modo indiretto. Stessa cosa: nessuna voce ho sentito alzarsi da parte delle editrici.
    Secondo punto: fatta salva l’ipocrisia di false editrici “militanti” (tipo Manifestolibri, Ombre Corte, Mimesis, Derive Approdi), in realtà le più inadempienti e barbare per le condizioni che impongono a lavoratori e autori (per alcune di queste la parola “contratto” non é contemplata a priori), le condizioni precedenti producono una involuzione generale delle condizioni dell’impresa – editrice, che viene costretta ad accentuare le pratiche di riduzione dei costi e massimizzazione delle entrate. Questo comporta una vera e propria caccia a fondi e risorse da qualunque parte vengano. Chiaramente, il modo di affrontare questa esigenza di finanziamento é diverso caso per caso: ci sono episodi che non esito a dire verminosi (e io ho soprattutto esperienza di editrici di “sinistra”), ed altri di grandissima dignità e correttezza (tipo Biblioteca Franco Serantini, ma non solo). Il risultato, comunque, é che la maggior parte delle volte l’unico criterio di selezione é sulla redditività. Perciò, accadrà anche che vedette scollacciate come Toni Negri, per citarne uno particolarmente ipocrita, non pagherà un euro per pubblicare su Manifestolibri o Feltrinelli, mentre tutti gli altri dovranno sborsare: indipendentemente della qualità dei loro lavori. Bisognerebbe chiedersi, tra l’altro, lo dico da “autore”, perché oggi, il paese di Gadda e Vittorini, i nostri maggiori scrittori (o spacciati per tali) siano Baricco e Saviano. Per fortuna che De Luca e la Murgia salvano la baracca…Seppure non abbiano mai detto una parola sul mondo delle pubblicazioni e su quello che succede in Feltrinelli e in Einaudi, a cui sono arrivati solo per essere state figure adeguate a diventare dei “casi” culturali, al di là della loro indubbia ed eccezionale capacità di scrittura.
    Mi chiedo quanti talenti non riescano ad arrivare a pubblicare, quanti escano autoprodotti per piccolissime editrici in provincia. Tra l’altro, quasi nessuna casa editrice ha un comitato di redazione. I manoscritti generalmente non si leggono, si arriva all’edizione per conoscenze – gli amici degli amici, e mi riferisco alla lobbie veltroniana che domina Feltrinelli e non solo dai caminettti romani – o dichiarandosi da subito disponibili a pagare tacendo sulle condizioni. L’editing é la maggior parte delle volte a carico dell’autore. Il personale é sempre precario e supersfruttato, ivi comprese delle condizioni – a volte eroiche – di autosfruttamento (ma questo riguarda alcune realtà, poche, caratterizzate da una encomiabile coscienza del mestiere di editore e delle sue responsabilità ).
    Su tale esigenza vitale di risorse, s’innesta una dinamica propria al baronaggio accademico. Non sono d’accordo con la gentile promotrice del sito. Avendo lavorato nell’università italiana, e facendo ricerca, conosco la situazione e affermo con convizione che la maggior parte delle risorse per la ricerca (quindi le pubblicazioni) vanno ai potentati interni, o al loro codazzo, indipendentemente dal merito. Non a caso non c’é alcuna selezione e verifica, né a monte né a valle, dell’uso (come sono fatti questi libri) e dell’impatto (a chi si rivolgono e per fare che) di questi fondi. Certo alcune volte dei bravi ricercatori riescono a svicolare e a far uscire cose ottime. Ma é una goccia nel mare. Questo nelle scienze “umane”, non conosco la situazione nelle scienze matematiche e naturali, ma da quello che mi raccontano amici ricercatori, non credo che cambi molto. In ogni caso, il centro del problema rimane lo stesso: il criterio per pubblicare é la redditività, non il merito. Se il doppio binario esiste, e bisogna vedere in che quantità e forma, é comunque risucchiato da questa spirale.
    Si crea dunque un intreccio di interessi corporativi che impediscono un reale sviluppo del settore, e, soprattutto, una maggiore diffusione culturale in un paese che é fin troppo regredito.
    Certamente c’é bisogno di comportamenti “etici”, cioé all’altezza della funzione sociale dell’editoria”, da parte delle editrici. Ma di fronte all’involuzione neoliberista di tutti i settori, dovuta all’imperialismo dei dictat mercantili che occupano e indirizzano tutta l’economia, é evidente che la volontà soggettiva non basta. Si può cercare, fin dove possibile, di tenere una sorta di “doppio binario”. Mi sembra francamente difficile in ogni caso che anche l’editore più colto ed avveduto arrivi a pubblicare gratis, magari pagandogli anche i diritti (in Francia é prassi assolutamente scontata), un oscure autore seppure di genio. Sicuramente, credo che spesso – va detto – il “doppio binario” sia usato come una scusa per non affrontare i problemi, anche se so che molti piccoli editori buttano il sangue per stare sul mercato lasciando spazio a un prodotto culturalmente più qualificato. Ma finché le case editrici che condividono scopi e idee, cioé quelle disposte a schierasi per l’editoria come attività di promozione culturale di carattere più cooperativistico che a scopo di lucro, non faranno blocco per avviare una azione politica – lunga e difficile – che cerchi di mutare le logiche di mercato e il degrado della cultura, non penso che se ne uscirà. Se non in peggio.
    Grazie per l’attenzione e lo spazio concessomi.
    Aldo Pardi

  11. Nei mesi precedenti ho iniziato a inviare la mia raccolta di versi alle case editrici (già filtrate, insomma quelle importante nel panorama della poesia). Ho ricevuto tre proposte, e sono stato quasi sul punto di accettare: Raffaelli Editore (1.500 euro), Lietocolle (500 euro) e Manni (2.500 euro); naturalmente nel totale è inserita la cifra delle copie che l’editore vende all’autore, nel caso di Manni il contributo “a perdere” era di 800 euro e il resto copie che io acquistavo per contratto. Una cosa mi premeva ma era complicato avere delle assicurazioni: davvero credono ai miei scritti o hanno bisogno di fare un po’ di catalogo (alcuni proprio ci campano, come “Albatros”)? Chi mi assicura che faranno promozione? Insomma di chi mi posso fidare? Il mercato della poesia immagino che sia a perdere per i poeti poco conosciuti, figuriamoci per gli esordienti. Quindi va bene, pago! Ma se non ho i soldi? Manni, stavo per far vendere i gioielli a mia nonna per pubblicare; non ho un lavoro e mi devo indebitare per pubblicare? Ho rifiutato ma spero che i soldi vengano chiesti perché non si crede nello scritto, in alternativa dovrei pensare che se non hai denaro non puoi avere uno spazio sociale nell’arte. Forse sono problemi del capitalismo e non degli editori; comunque grazie per la lista e i commenti, i ragazzi avranno qualche strumento in più per scegliere.

  12. Maurizio, come ti capisco…anche io da poco ho mandato una raccolta a Manni…Comunque ti dico quello che mi é successo fin’ora, nelle mie escursioni editoriali, lasciando perdere la parte relativa alla poesia: 1) Manifesto libri 3000 euro, senza contratto. Copie regalate 2; 2) Ombre Corte, 2 volumi, due volte 1500 euro, contratto capestro dove rinuncio a tutto il rinunciabile, copie regalate una trentina; 3) Ombre Corte, tre traduzioni, tra cui una importantissima di Deleuze, senza contratto, senza retribuzione. La prima edizione di Deleuze era esaurita dopo 15 giorni, oggi credo che sia alla quarta, io ci ho lavorato un anno; 4) Mimesis: 2 traduzioni importanti (Althusser), niente contratto, niente retribuzione.
    Mi rivolgo alla gentile organizzatrice del sito. Stante il fatto che pubblica per Feltrinelli, non sarebbe il caso di rendere pubbliche le modalità impiegate da quella che é una delle agenzie di sfruttamento editoriali più efficienti in Italia? È importante che anche gli autori comincino ad alzare la voce (anche pagandone il prezzo, ma Pasolini, Gadda, Vittorini e Volponi qualcosa ce lo avranno insegnato o no?)…

  13. Tutt*. Ribadisco il concetto di work in progress delle liste, che è determinante. A questo punto le liste, partite dal Writer’s Dream e da quello che comunque è un gigantesco lavoro fatto, di cui questo gruppo di ragazze e ragazzi va ringraziato (insieme a coloro che, come è stato giustamente ricordato, hanno fatto libri e inchieste sull’argomento), devono circolare e devono essere oggetto non di anatema ma di analisi.
    Perché, appunto, servono a informare sulle prassi di pubblicazione. Che non vanno mai generalizzate.
    Una nota, sui concorsi. Nel momento in cui le liste sono state pubblicate fuori dal WD trovo sia corretto ragionare sui criteri di inserimento: personalmente credo sia da ritenere “doppio binario” chi chiede un contributo per la pubblicazione, sia nell’acquisto dei libri, sia con una una cifra a forfait. Sui concorsi sospendo il giudizio e vi lascio dibattere sull’argomento.
    Infine, insisto sulla parte minacciosa di questa vicenda: non quella che riguarda me (un insulto più o uno meno non fanno la differenza) ma quella che ha portato WD a togliere le liste dal forum. Mi chiedo, di nuovo, perchè. Rendere trasparente una pratica contrattuale fra adulti non è illegale e non danneggia l’immagine di un editore, nel momento in cui è detta esplicitamente e senza intenti truffaldini (come in alcuni totalmente a pagamento).
    Signor Pardi. Trovo offensivo il suo modo di rivolgersi a me “dal momento che pubblica con Feltrinelli”. Se lei ha prove su pratiche doppio binario, le esibisca. Se non le ha, eviti. Il mio rapporto con Feltrinelli è sempre stato improntato ad assoluta correttezza.

  14. Ci metterei un altro bel carico.
    Chi pubblica anche da tempo, ma non ha alle spalle successi di almeno diecimila copie, si vede proporre anticipi risibili (anche 500 o mille euro per un romanzo di trecento pagine costato un anno di lavoro), e attenzione: mediamente quelli sono gli unici denari che l’autore vedrà mai.
    Il tutto considerato normale, come se per l’autore essere pubblicato fosse già un onore bastante, mentre il lavoratore che è in lui e su cui si regge la baracca editoriale deve accontentarsi, mai come in questo caso, di aver prodotto un “feticcio” oltre che una merce.
    Ma la smania di pubblicare a tutti i costi da parte di esordienti docilissimi fa di questa schiera ciò che Marx avrebbe definito “l’esercito industriale di riserva”
    C’è uno sbaglio profondo in questa cosa del “non importa la remunerazione, purchè mi pubblichino”. Parte da un romanticismo dell’espressione (che è bello e comprensibile non ci sarebbe scrittura senza di questo), ma finisce per portare acqua al cinismo del mercato. C’è gente che fa impresa (editoriale) senza assumersi rischio d’impresa, o meglio facendo pagare i costi a chi invece dovrebbe averne maggior profitto perchè senza autori niente libri e niente editoria. Questo consente di preferire chi si offre a poco o niente con roba scritta in modo anche orrendamente seriale, la possibilità di successo sta nell’imbroccare titolo copertina e plot, il pubblico peggiora dal basso al bassissimo consumo, mentre l’editoria italiana resta dilettante e paracula, e gli editors giustificano la loro esistenza confezionando il libro del ragazzotto o comunque dell’esordiente docile.
    Quanto ai big puntano sulla quantità nel catalogo, pochi libri hanno l’investimento di una promozione autentica, per il resto anche uscire con una major non garantisce il paracadute di una decente promozione e relativa permanenza in libreria. Agli scrittori o aspiranti tali dico che se il vostro libro venderà la media di quel che si vende oggi in narrativa, l’anticipo sarà tutti i soldi che vedrete mai. Ma soprattutto che offrirsi gratis o quasi equivale ad alimentare un meccanismo a perdere. Personalmente l’ho fatto e lo rifarei per editori sul nascere, che meritano una spinta. Ma più passa il tempo è più mi convinco che in questa materia è meglio che chi fa mercato lo faccia sul serio, si tolga il cappello da mecenate e smetta di esigere contributi per militanza.

  15. Mi scusi, le assicuro che non volevo essere né provocatorio né offensivo. Non ho nessun motivo per dubitare della sua buona fede, e la lodevole iniziativa di cui si é fatta carico lo dimostra. Non capisco perché si sia offesa, ma sicuramente ho sbagliato i toni io. Le chiedevo solamente di far partecipe la discussione di quello che, probabilmente, ha visto accadere in Feltrinelli, al di là della sua situazione specifica. Volevo solamente d’invitarla ad alzare il velo su un contesto molto geloso delle sue pratiche e modalità.Tutto qui. Comunque mi stupisce che si offenda così: sicuramente gli attacchi che ha ricevuto l’hanno messa sulla difensiva. In ogni caso, e glielo dico con il massimo rispetto: quando si avvia una campagna – verità su questioni di civiltà ma anche di interesse economico, come penso voglia fare, in primo luogo bisogna partire da quello che si é visto e vissuto. Altrimenti, si corre un forte rischio di suscitare dubbi di parzialità. Certo non é il suo caso, ma la invito a rifletterci.

  16. Signor Pardi: io non ho mai visto accadere nulla di men che corretto in Feltrinelli. Io. Le ripeto, se ha contezza di episodi specifici lo dica, ma non insinui che io sia reticente.
    Ps. peraltro, “ha visto accadere in Feltrinelli” è una frase un po’ comica, che presuppone che un autore sappia tutto di quel che avviene nella casa editrice con cui pubblica. Non è così. Per quello che riguarda me, visto che mi fa la lezioncina su come si avvia una campagna di civiltà, ho pubblicato con Mursia, Sansoni, Editori Riuniti, Castelvecchi, Saggiatore, Einaudi e Feltrinelli. Sarò anche stata particolarmente fortunata, ma non mi è mai capitato di imbattermi in comportamenti poco corretti. Che dirle?

  17. Grazie Loredana per aver per la prima volta aperto un dibattito vero sull’argomento facendo uscire fuori una realtà: il probema del libro non è solo legato al rapporto editore (cattivo e a pagamento) e autore (gabbato). Ma si tratta di altro ben più complesso. Le pratiche dell’editoria sostenuta da enti o fondazioni e utilizzata grandi marchi (non è editoria a pagamento?). L’uso dell’editoria creativa da parte di marchi che organizzano master, corsi professionali chiedendo anche 700 euro a corsista (in gruppi di 12 ogni 4 mesi) e alla fine il premio è uno stage gratuito presso l’editore organizzatore che fa bei libri e non vive l’ansia della lista a pagamento.
    Ha ragione Manni ad affontare la questione ma il cono di luce si allarga e quindi finalmente illumina tutta l’editoria italiana.
    E allora parliamo dell’intera filiera:
    I librai in via d’estinzione e dei tanti troppi commessi sottopagati che non conoscono la differenza tra Carlo Levi e Primo Levi;
    i distributori sempre più lontani dalla realtà e fornitori di scatoloni e colli e non certo di libri e di titoli;
    i lettori lontani anni luce da loro ruolo di ricercatori, di indagatori (ma più di tanto non possiamo incolparli);
    i critici e i giornalisti che si recensiscono tra loro seduti nei loro salottini;
    gli scrittori che non hanno ancora capito che il rapporto dovrebbe essere di 100 a 1. Ovvvero ogni cento libri letti forse 1 scritto;
    e infine torniamo agli editori. Se un editore dimostra che costruisce il proprio futuro con distribuzione, eventi, fiere e altro, possiamo anche passare che possa vivere nel doppio binario (ma con il giusto mezzo). Se invece uno non fa nulla allora è tipografo e dovrebbe metterlo sul sito.

  18. Certamente le condizioni che lei ha trovato saranno state improntate alla massima serietà. Certo, sinceramente il fatto che un autore, e di un certo calibro, cioé un professionista, non abbia idea del modo di funzionare della propria editrice mi sembra strano…Io lavoro ad un livello infinitamente più basso del suo, e, per i contatti che ho avuto con gli editori, anche solo andando in sede e scambiando due parole con il personale, ho visto situazioni che mi hanno fatto quanto meno pensare. Comunque, fatta salva la buona fede di tutti, rimando ai documenti della “Rete dei redattori precari”, che per la maggior parte lavorano proprio per quelle editrici con cui lei ha pubblicato, per informazioni su condizioni di lavoro, strategie d’impresa et similia: http://www.rerepre.org/.
    Cordiali saluti

  19. Le sembra strano ma è così. Del resto, in questo thread si parla del rapporto fra autore ed editore. Disponibile, naturalmente ad allargarlo all’intera filiera (che è uno degli argomenti di cui mi occupo abitualmente: tanto che rerepre.org è stato oggetto di una delle mie rubriche). Cordiali saluti a lei.

  20. E dimenticavo l’elemento lanciato da Aldo Pardi (che però non riguarda l’edizione del libro di Loredana ma il lavoro di redazione di ogni casa editrice oggettivamente lontano da Loredana).
    Comunque chiarito questo fa bene Pardi a ricordare che sono proprior gli editori più importanti a gestire editor, traduttori e altre figure professionali in maniera libertina. Ebbene se mettiamo sul banco degli imputati gli eap perchè non mettere anche questi?

  21. E infine.
    Ormai abbiamo capito che quelli dell’eap pura non si salvano.
    Sta bene (anche se Il Filo o altri, tanti altri, se ne fa un baffo di queste nostre discussioni).
    Ma nella lista a doppio binario compaiono anche questi editori che mi sembra appartengano alla classe buona dell’editoria. Hanno progetti, collane e si muovono. Fanno editing e costruiscono distribuzioni o eventi. Si tratta di Armando Curcio, Campanotto, Delos, La Giuntina, Casagrande, Giraldi, Manni, Pendragon, Prospettiva e Rubbettino.
    Si faranno anche pagare per qualcosa ma almeno producono della bella roba (poi ci sarà anche qualche libro sbagliato).
    E soprattutto lo fanno con dignità.
    Ultimamente ho visto un libro di Campanotto su Peggy Guggenheim;
    “Caccia all’uomo” di Roversi di Pendragon;
    Agota Kristof di Casagrande; tutta la fantascienza di Delos con le riviste http://www.delosstore.it/riviste/scheda.php?id=52;
    Manni con la sua collana dedicata al Cinema http://www.mannieditori.it/categoria-libri/Cinema%20e%20teatro;
    oppure la collana BrainGnu di Prospettiva http://www.braingnu.it/;
    e infine La Giutina con l’ebraismo e la sua cultura a portata di mano.
    Mi sembrano tutti ottimi libri e progetti seguiti, con editing, distribuiti e soprattutto chiari.
    Forse per il doppio binario ci vorrebbe più attenzione perché non sono eap ma un’altra cosa da valutare e curare.
    Magari sostenendo proprio questa gli potremo permettere di emergere e far emergere un sommerso di qualità.
    Non credete?
    Se no buttiamo al macero tutto a prescindere, a priori, giudicando e sentenziando come negli stati fascisti e questo non ci fa onore. Intendo onore intellettivo, culturale.

  22. Perchè si confondono i discorsi, Andrea. Credo di aver scritto molto sulla filiera e sulla crisi della medesima, e tornerò a farlo. Però bisogna avere un focus: qui si parla di editoria con contributi. Da qui possono partire molte altre riflessioni, ma è importante anche non disperdere il ragionamento.

  23. Scusa Loredana ma gli esempi che ho riportato mi sembrano eccellenti progetti di editori della lista a doppio binario. La mia era una considerazione tecnica. Esistono editori che chiedono contributi e investono al contempo, facendo bene. Come li possiamo giudicare? Semplicemente. Del resto questi sono nel doppio binario ma sono anche ottimi editori: Armando Curcio, Campanotto, Delos, La Giuntina, Casagrande, Giraldi, Manni, Pendragon, Prospettiva e Rubbettino.

  24. Mi scusi, sospendo momentaneamente i saluti (che restano cordiali) e rilancio. Non per fare polemica per la polemica, ma per capire. Parlare dei rapporti autori – editore senza parlare della filiera mi sembra impossibile. Non si spiega un determinato “uso” degli autori senza tenere conto del sistema nel suo complesso.
    Non vorrei poi che passasse il messaggio che le piccole – medie editrici siano le responsabili della giungla attuale, e le grandi invece siano gioielli di probità imprenditoriale e di senso di responsabilità culturale. Quello che dice Manni é più che sacrosanto: non si può affrontare un tema come questo senza parlare di come le grandi siano complici (uso il termine a ragion veduta), e alla fine le principali e reali responsabili della situazione, che, con le loro strategie, contribuiscono a mantenere in questi termini. Ma di questo ho scritto prima, e diffusamente.
    S’immagini se voglio farle lezioncine, non mi sento così in alto da farle ai miei studenti, si figuri a lei. Faccio solo presente, senza che si senta punta nell’orgoglio, spero, che da persone impegnate nella cultura – ma vale per tutti, in realtà – abbiamo il dovere di essere “radicali”, come direbbe Sciascia, cioé di andare fino in fondo ai problemi che solleviamo, anche contro noi stessi.
    Adesso i cordiali saluti sono saluti sul serio.

  25. Torniamo al punto. Andrea, ribadisco per la centomillesima volta che non si tratta di giudizio bensì di informazione.
    Pardi: penso che la probità o la non probità siano distribuite trasversalmente, fra piccole, medie e grandi. Per un correttissimo Piero Manni ci sono decine di doppio binario non corrette con gli autori.
    Quanto alla radicalità, mi creda: più di così non saprei cosa altro fare. Metto la mia faccia in quello che scrivo da anni, in ogni settore, e non ho mai giocato su due tavoli. Altro non so aggiungere.

  26. Io continuo a non capire perché un editore non possa rendere pubblico il proprio modus operandi. Tutti sanno che Albatros il Filo pubblica con contributo ma il suddetto editore non mi pare conosca crisi. E ci sono (basta dare uno sguardo in rete) autori ben contenti della propria scelta. Perché nei siti internet delle case editrici – ricchi, dettagliati – non viene inserito uno spazio per chiarire la propria politica? Pubblico con contributo, richiedo l’acquisto copie, l’esordiente acquista titoli in catalogo e ottiene una valutazione, pretendo un elenco dettagliato di possibili compratori, l’autore si impegna a pubblicizzare la propria pubblicazione…
    È stato ribadito fino alla nausea che l’EAP è legale, sappiamo che la maggior parte degli autori sa esattamente cosa sta facendo quando sceglie un editore che chiede contributo. E allora perché tutta questa reticenza? Un esordiente che vuole affrontare la trafila classica, grazie a queste informazioni, eviterà di rivolgersi all’editore sbagliato e, viceversa, chi non vuole perdere tempo con valutazioni, agenti e compagnia cantante prenderà la propria strada.
    Chi ha un manoscritto nel cassetto perde tempo per cercare informazioni – nomi delle case editrici, collane, generi pubblicati – perché non riesce a trovare un dato importante come questo? Cosa impedisce agli editori di essere cristallini in tal senso. Non sarebbe male anche capire perché chi fa nomi e cerca di dare indicazioni viene insultato…

  27. Allora, la mia esperienza quotidiana di minuscola casa editrice non a pagamento, e sulla quale perciò sto investendo i miei soldi, e’ sconfortante ed entusiasmante allo stesso tempo: lo sconforto viene da alcuni fatti
    1) le librerie, anche grandi, pagano i libri con tempi biblici, perdono le fatture o fingono di farlo, anche se gli fornisci i libri in conto vendita fanno un sacco di storie per accettarli
    2) i distributori prendono una percentuale insostenibile per chi svolge il lavoro in maniera artigianale
    3) i giornalisti, nonostante quello che si potrebbe immaginare, sono i piu disponibili a recensirti anche se sei una piccola casa editrice, ma a che serve se poi il libro non si riesce a trovarlo in libreria? Io vendo ovviamente via internet dal sito, ma la gente il libro vuole ancora vederlo e toccarlo per comprarlo
    4) gli editori a pagamento inquinano il mercato editoriale facendo si che si faccia “di tutt ‘erba un fascio” e quindi il discorso sul dare voce attraverso le piccole case editrici ad esordienti ecc…finisce per essere vanificato
    Riguardo agli aspetti entusiasmanti, penso che siano comprensibili a chiunque ami la letteratura. Spero continuino a bastarmi…

  28. Piuttosto che doppio binario, “eap a singhiozzo”?
    So per certo, proposte ricevute da conoscenti alla mano, che (rimanendo agli editori citati nel post) lo fanno Iacobelli, Robin e Besa (questi ultimi due molto spesso, tanto da essere quasi eap “pura”).
    Il discorso su contributi per bizzarri premi o presentazioni di insigni (?) “giornalisti” in un paio di circoli/librerie o le copie a carico dell’autore (e a prezzo pieno o scontato di poco) per fantomatici invii stampa o i costosissimi (!) bollini siae o l’editing “a parte” quasi fosse un optional o le cifre grandi e piccole per la diffusione del testo come eBook (questa sì relativamente nuova frontiera dell’eap più truffaldina) o un qualsivoglia tipo di richiesta di denaro sotto le forme più fantasiose (sostegno spese per presentare fisicamente il libro in una fiera, e non è una battuta) aprirebbe voragini profondissime. Forse andrà fatto pure questo.
    E poi, sì, certo, talvolta anche le Grandi Case fanno eap. Nessuna vergogna, come si è detto sopra, a patto che venga chiarito. Il discorso di Piero Manni in questo senso, e non solo, è onestissimo ed esemplare.

  29. Paolo ha compreso perfettamente il significato del post di oggi. Approfitto per dire che il blog (o qualsivoglia futura piattaforma comune) è aperto a testimonianze. Purché nei limiti della civiltà (niente insulti) e della trasparenza (mail o altro materiale a supporto di quanto si sostiene).

  30. Piero Manni si dimostra (non è una sorpresa, per me) un galantuomo. M’è capitato di introdurgli (su proposta di un conoscente comune) un libro che a mio parere meritava di uscire, e non mi pento di averlo fatto senza compenso. Lui, però, di non potermi retribuire s’è scusato (prima, non dopo la scrittura del testo). Anche questo qualcosa significa. In compenso, anni fa lessi un romanzo pubblicato da un microeditore, e mi parve uno dei migliori romanzi storici italiani, di argomento meridional-risorgimentale ante litteram. Facendo ricerche nella speranza di convincere un editore a ristamparlo (col centocinquantennio che si avvicinava), ho scoperto che il meschino (persona di erudizione pari all’ingenuità) s’era poi fatto abbindolare da uno dei maggiori editori a pagamento: nessuna eco alla riedizione, nessuna speranza, a questo punto, di una degna collocazione editoriale (l’editing, essendo persona colta, l’autore se lo è saputo far da sé). Un bidone, insomma: e un danno, oltre che per l’autore, anche per i lettori.

  31. Lasciando da parte gli autori che pagano consapevolmente perché vogliono pubblicare a tutti i costi le loro opere (e nessuna lista li ferma), per i più sprovveduti che rischiano di rimanere fregati l’avvertenza “non pubblicare con editori a pagamento” potrebbe essere più che sufficiente. Senza contare che con il digitale certe pratiche truffaldine non hanno più senso e chiunque può autopubblicarsi senza spendere un centesimo e rivolgendosi a un pubblico molto più vasto.
    Per una lista nuda e cruda resta invece il rischio di mettere insieme contesti diversi, facendo un favore ai peggiori (o ai dimenticati).

  32. Forse quello che realmente gli autori che pubblicano a pagamento comperano dagli EAp sono gli apprezzamenti, e si sa che le carezze all’ego non hanno prezzo…

  33. Forse Riccardo quello che gli autori acquistano dagli EAP sono le carezze all’ego, che non hanno prezzo, altrimenti sarebbe certo piu semplice e economico autopubblicarsi…

  34. Salve Loredana, un’altra testimonianza su un EAP.
    Mi pare che dalla lista degli editori a pagamento manchi MNAMON. Richiede denaro sia per eBook sia per cartaceo, come peraltro dichiarato con molta disinvoltura e serenità dallo stesso editore sul suo sito, nella pagina che allego: http://www.mnamon.it/il-servizio-per-gli-autori/contratto.html
    Cito testualmente:
    “Il costo di pubblicazione per le Opere testuali o con qualche immagine è pari a 125,00 € + IVA 21%, per un totale di 151,25 €. Tale costo viene regolarmente fatturato da MNAMON”.
    Costo editing: “Il costo per cartella è pari a 2,50 € + IVA 21%”.
    Costo recensione (!): “Il costo della recensione è di 80,00 € + IVA 21% (valido per un’Opera che non superi 150 pagine)”.
    Deduco che ormai si dia per scontata la pratica della pubblicazione a pagamento, quindi viene, come nel caso suddetto, evidenziata sul proprio sito, nella più totale trasparenza…

  35. Mirella questa è la pratica corretta. Non è impunità ma correttezza. Almeno sono chiari fin dall’inizio. Un autore sa cosa compra e a cosa va incontro. MNAMON è eap ma eap trasparente.

  36. E’ importante che siano chiari anche i più grandi e noti editori a doppio bianrio (gli eap non li considero editori ma tipografi) Armando Curcio, Campanotto, Delos, La Giuntina, Casagrande, Giraldi, Manni, Pendragon, Prospettiva e Rubbettino.
    Di Manni abbiamo letto così come ho messo in evidenza Prospettiva. Questi sono chiari per la loro visione a doppio binario (ma almeno lavorano chiaramente e si danno da fare). Gli altri?

  37. Forse, come ha scritto Luca Moretti sul sito Terranullius, bisognerebbe cominciare a chiamarla diversamente: si tratta davvero in questo caso di editoria?
    La pratica della pubblicazione a pagamento va a impattare sull’intero sistema, poiché il processo di creazione del libro si assottiglia fino a diventare un rapporto di uno a uno: tra scrittore e editore (o meglio: stampatore). Spesso non c’è un lavoro di editing, l’impaginazione è penosa, la promozione inesistente. Quello che bisognerebbe capire, è che se proprio si deve pagare (perché magari non riusciamo a ottenere risposte dalle case editrici – ma in questo caso bisognerebbe anche prendere in considerazione la possibilità che ci sia ancora da lavorare sul testo, e che non è per forza colpa del mondo che non ci comprende) tanto vale allora autoprodursi, rivolgendosi direttamente a una tipografia, così come può fare un gruppo musicale che si registra in proprio una demo in una sala prove…

  38. Fare questa (contro) informazione su Lipperatura è importante, secondo me, ma sperare che il mercato sia in grado di autoemendarsi forse è pura utopia. Forse quel che dovrebbero fare scrittori e giornalisti ma anche docenti di scrittura creativa, è insegnare a distinguere le diverse opportunità che la scrittura offre, sia in termini espressivi che comunicativi.
    Ma quel che manca di più, secondo me, è scorporare il feticcio dell’arte dall’economia della merce, e certo esigere a chi è imprenditore di esserlo correttamente, ma anche riconoscere il carattere artigianale della scrittura, e trattarlo in modo adeguato. Un negoziante paga per acquistare spazi pubblicitari, ma non ho mai visto un sarto che paghi perchè gli svuotino la vetrina. A chi somiglia l’autore? A un sarto direi, se ciò che vende è la sua pagina. Tutte le storture derivano dal non riconoscere questa verità elementare.
    Poi c’è il sacro fuoco di una dottrina o di un verso di cui il mondo non può fare a meno. Ma allora, perchè non regalarlo in Rete?

  39. quoto totalmente simone ghelli. che differenza c’è tra Albatros Il Filo e una cattiva tipografia? si potrebbe cominciarli a definire “falsi editori” coloro che non fanno nessuna delle attività editoriale, dall’editing all’ufficio stampa?

  40. @Andrea non sono d’accordo: il doppio binario é forse anche piú vergognoso della vanity press pura, in quanto utilizza il nome di alcuni per ripuilire altri. Robin… Ricordo un amico a cui proposero una pubblicazione al prezzo di diverse migliaia di euro…

  41. Devo chiedere scusa per le cifre che ho dato, ma non ho più le mail di riferimento. La distinzione “tra editore e editore” è un punto davvero sensibile: sapere chi si ha davanti e scegliere, nessun giudizio aprioristico sull’editore che chiede un contributo di pubblicazione, solo più informazione. Apprezzo anch’io Piero Manni per non essersi sottratto al confronto (anche in altre occasioni molto disponibile al dialogo).

  42. Gentile dottoressa Lipperini, leggo nel suo intervento:
    ‘Ho invece spostato Robin da “a pagamento” a “doppio binario” dopo le reiterate precisazioni di un’autrice che, contratti alla mano, afferma di non aver pagato nulla.
    Qui, peraltro, ci starebbe una considerazione. Anzi, ci sta.
    Pubblicare le liste non significa mettere all’indice nessuno. Significa informare e non condannare. E’ proprio il clima da “si fa ma non si dice” ad avvelenare i pozzi: che se ne parli, serenamente e senza sentirsi demonizzati.’
    L’autrice sono io, come lei ben sa. La storia è questa: non ho mai sborsato una sola lira per pubblicare i miei 5 romanzi alla Robin (dei quali tre sotto pseudonimo) e ho voluto porre questo alla sua attenzione (la Robin era tra le case editrici a pagamento totale) e siccome la lista è stata dichiaratamente stilata per essere di riferimento agli ‘sprovveduti’ autori esordienti e indirettamente anche come indicatrice qualitativa dei testi (la conseguenza è questa, ma secondo me non è di certo il parametro da seguire) le ho inviato una prima correttissima e serenissima mail di presentazione, dove esponevo il mio diverso caso e il perché, e lei mi ha gentilmente ha risposto con questa mail:
    ‘Gentile Lilli, intanto commenti pure sotto il mio blog. Credo che sia la casa editrice, comunque, a dover dimostrare di non essere a pagamento, e fin qui a differenza di altri non mi hanno contattata. Se la sua richiesta è volta a non far considerare lei come autrice che ha pagato per pubblicare, posso comprendere. Per questo, come le dicevo, si tuteli commentando. Buona giornata.’
    In sostanza, non voleva cambiare la lista e mi consigliava di lasciare dei commenti come tutela personale. Ma se viene stilata una lista, dichiaratamente non censoria, grazie ai suggerimenti di autori, come mai non si voleva tenere conto dei miei suggerimenti, un’autrice come tante? Perché non accettare i miei fax? Perché dovevo lasciare dei commenti?… Tendenzialmente non amo far polemica, e mi sono detta: ‘bene, così mi è stato suggerito, sarà così, così sarà meglio, ma dove?’ Sono andata sul suo blog e ho visto che c’era solo la lista senza la casellina: ‘scrivi un commento’, allora mi sono trasferita su Facebook e lì ho lasciato dei commenti dicendo ciò che era esattamente successo e cioè, che mi era stato detto che dovevo lasciare dei commenti per tutelarmi. Mi scusi mi sarei sentita demonizzata prima o dopo i suggerimenti? Perché anche prima semplicemente volevo tutelarmi. Forse sarò stata veemente nell’esporre il mio caso, e se ho dato l’impressione di essere stata al contrario invadente o chissà che altro faccio pubblica ammenda, non era mia intenzione. Tutto questo di certo è solo uno spiacevole fraintendimento sorto come spesso capita quando non ci si parla de visu, senza filtri deformanti. La ringrazio ancora per avermi ascoltato e per aver cambiato la lista (ma, e non me ne voglia se glielo dico senza rancore e molto schiettamente, non lo si poteva fare prima senza farmi passare attraverso le forche caudine dei commenti?), e, soprattutto, la ringrazio per avermi creduto sulla parola, sarò l’unica in tutta la storia della Robin a non aver pagato, una rondine fa primavera, come le avevo anche detto nella mia mail, ma questo è il mio caso. Forse ce ne saranno altri, non so, non m’interessa, non sono certo qui a fare gli interessi della Robin, che tra l’altro ancora deve pagarmi le royalties e qualche altro lavoretto fatto in redazione. Non sono né ricca (non avrei potuto permettermi la pubblicazione a pagamento) né ho santi in paradiso e anch’io chiedo, come lei, solo rispetto e serenità. Ringrazio tutti e la saluto caramente.
    lilli monfregola

  43. Gentile Lilli, a parte la scorrettezza di pubblicare mail private senza chiedere il consenso all’interlocutore (non c’era scritto nulla che non ripeterei, ma il gesto è comunque grave), non ho mai detto di non voler apportare modifiche alla lista. Come vede, ho tenuto conto di quel che mi ha scritto e dei contratti che voleva inviarmi via fax. Mai pensato che i commenti fossero forche caudine: come vede, molti altri li stanno utilizzando e li hanno utilizzati serenamente. Lei non ha pagato, tutti ne siamo consapevoli e ci rallegriamo per lei. Ora, però, sarebbe auspicabile tornare a discutere uscendo dal singolo caso.

  44. @ lilli monfregola – no, cara lilli, non sei l’unica a non aver sborsato un euro con Robin Edizioni e questo mi rallegra, perché Marlowe è un mito che non passa mai di moda!
    @ lalipperina – in meno di due anni ho pubblicato tre romanzi con la Robin, gli editing me li faccio da solo e la promozione è arrivata da chi li ha letti, non si è annoiato e li passati a qualcun altro.
    Cordialità a entrambe.

  45. Non occorre ora correre a difendere tutti Robin. Nessuno è messo sulla graticola o condannato, ma si evidenzia però l’idea che pubblicare con un editore eap sia squalificante. E questo magari non è vero per tutto. Non conosco i libri menzionati dai due autori, ma rimanendo il dubbio non si possono gettare nel mare dell’indifferenza o bollarli come eap e non considerarli libri. sarebbe fare un torto soprattutto agli autori. E allora ci troviamo in un vicolo cieco e una affermazione: “è certo che nell’eap ci siano libri di grande livello, così come di bassa qualità. Nulla di più e nulla di meno rispetto a quanto accade con l’editoria a doppio binario, quella sostenuta o quella pura. Non credete?

  46. Anche ripetendo fino alla nausea che nessuno vuole additare nessuno – cosa evidente visti i toni – è fisiologico che le liste siano considerate svalutanti. Perché il giudizio implicito è: se compari, sei meno “editore” di quello che dovresti. Concetto anche ovvio perché, si è già detto più volte, la parola “editore” è inesatta. Il punto però è che qui nessuno sta facendo una crociata per stilare delle liste ma per informare. Perché se un editore accetta un mio testo un conto è credere di essere stata scelta, credere che qualcuno voglia investire su di me; tutt’altro scoprire che io dovrò investire sul mio lavoro in prima persona. Sono due condizioni diversissime che andrebbero chiarite a monte. Mi pare, e mi ripeto, incredibile che l’AIE non obblighi le diverse realtà a stilare un “documento di trasparenza” in cui venga chiarita la politica interna all’azienda (qui un piccolo sondaggio sulla questione http://bookblister.com/2011/12/19/editoria-a-pagamento-liste-si-liste-no/).

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