E’ che sull’ultimo numero di D, Stephen King ha risposto a tre domande redazionali. Ovvero:
Cosa risponderebbe a un bambino che le chiede perché si muore?
“Gli direi: Perché quando diventiamo molto vecchi, e non ci si diverte più, è tempo di chiudere gli occhi e sognare la luna”.
Di cosa ha paura?
“Delle interviste. Non so mai che dire. E naturalmente del dolore, fisico, mentale e spirituale. Credo che tutti ne abbiamo paura, una volta che l’abbiamo provato”.
Tre cose che ama/tre cose che odia.
“Che amo: mia moglie, i miei figli e i miei nipoti. Che odio: lo sfruttamento dei deboli da parte dei forti, la distorsione delle verità per interessi personali e politici, e il colore giallo. Odio i vestiti gialli, le macchine gialle, e il cibo giallo. L’unico cibo giallo gustoso è il burro, che naturalmente fa male”.
Poi, ha regalato una risposta extra:
“Qualcosa che non mi ha chiesto: chi è la persona più affascinante dell’industria dell’entertainment che abbia mai incontrato? Dino De Laurentis”.
@loredana – Volevo solo precisare: in alcune specifiche circostanze come quelle di cui si discuteva, lo humour tende a creare un clima per cui certi interventi anziché trasformarsi in instant-faida perdono la loro presa sul thread. Meno presa, meno spazio, meno stress per te. Solo questo. Per il resto, capisco. @hqr – Qualsiasi ‘traccia’ – comprese quelle biografiche sull’autore – aggiunge qualcosa alla lettura, e al piacere delal scoperta.
I gusti personali sono fluidi e si possono modificare, dotare di senso, ma cos’è un valore oggettivo se non il gusto generale di un’ambiente o di una generazione?
D.
@ Fabio.
Io se mi accingo a leggere un romanzo di un autore conosciuto, da Dostoevskij a King, Eco, Pirandello, Agatha Christi, Zola, Hemingway eccetera mi predispongo a quel mondo e modo di raccontare. E’ chiaro che voglio entrare in quella dimensione, certo se compro un romanzo di King, chiaramente mi aspetto un tot di ore di intrattenimento, di spettacolo e una lettura della vita secondo la poetica di King, che ormai è consolidata.
Al limite mi aspetto un’eccitante e coinvolgente variazione sul tema “il presente secondo King”.
Così è tutte le volte, con tutti gli autori.
Ogni autore noto ci porta in un mondo previsto. Non capisco perché leggere o rileggere King quando non si cerca quella dimensione lì.
E mi chiedo sinceramente cosa intendi tu per Letteratura.
D.
Agatha Christie (anche se è bello pure senza e).
@lipperini
Guardi che lei è fuori strada o fa finta di non capire.Quali macchinazioni?E’ solo un trito gioco delle parti tra lei e wu ming.
Quali idee preconcette si possono mai avere su una banalissima intervista di tre domandine dell’asilo?Semplicemente dire che è banale.Quale mai altra dissertazione letteraria si potrebbe fare?
Il testo è a disposizione.
Quanto a”dire la prima stronzata che frulla nella testa del commentatore”,la giri al suo amichetto wu ming ,che pare ne abbia la massima libertà.
L’idea malsana che invece gira qui da lei è che bisogna belare ad ogni schiocco del pastore, altrimenti si tira in ballo autorevolezza,manìa di protagonismo….Chissà poi quale goduria…mica stiamo al Pulitzer!
Guardi che è lei che dice d’esser stanca,non so se per astinenza sessuale come afferma o per altri problemi suoi.
Lady Yoko. Non fingiamo di non capire. Siete voi che avete scritto quel che avete scritto. Se questi sono gli “intellettuali contro”, siamo fritti. Noto che il lavoro sul sessismo è veramente ancora lungo, a giudicare dai commenti anche di persone che si autodefiniscono di alto livello di cultura. Per quel che mi riguarda, è un congedo: e non per uniformare le opinioni. Ma perchè c’è un limite: alla, appunto, decenza della conversazione.
Ps. Ad uso e consumo dei lettori, faccio un copia incolla di quanto sostenete, sul mio conto, nel vostro blog. Tanto perchè si sappia con quale feccia abbiamo a che fare:
“Cippa-Lippa è pure scrittrice (beh…sempre per dire…) e amante della cultura Pokemon, che da trent’anni scrive lo stesso libro sulle turbe delle femminucce, da quelle premestruali delle bambine in fasce alla menopausa delle vecchie befane,che lei considera sempre bambinette”.
“Cippa si lamenta,con la solita tecnica chiagnefotte, che le femminucce gestiscono la foca troppo disinvoltamente per arrampicarsi”
“Cippa si lamenta che le vecchie non son considerate dalla società dopo la menopausa,il che è la solita balla,se non ovviamente e naturalmente ,da che mondo è mondo, solo dalla fregola dei maschietti”
“Tenuto conto delle sue esagerazioni,anche nella vicenda Avallone,pare che ce l’abbiano proprio con le belle femminucce che scopano,visto che ormai loro…”
“Dai Cippa lippa….non prendertela,ora tocca ad altre… ”
“Certo,la menopausa è un trauma,come per gli uomini quando non gli vien più su l’arnese.”
“‘A Cippa Lippa,datte ‘na calmata,si nun scopi più,nun c’ammorba’ con ste fregnacce! ”
Yoko, è evidente la vera goduria da parte vostra, nel gregge è fare la pecora nera.
A questo gioco delle parti puoi dare forfait, o partecipare con rispetto della casa.
Non ti piace che si parli bene di King, salta il post, fai altro, leggi un libro…
🙂
D.
Tanto secondo me ritornano.
‘Chi ci sputa ci rilecca’ si dice dalle mie parti.
Loredana, qui l’aria è talmente malsana che ci vengono tutti a inzuppare.
D:
Daniele, è che ci sono argomenti che stuzzicano il branco, che naturalmente ritiene di farsi bello dicendo il contrario di quel che si sostiene nel post. Ha detto con molta chiarezza, e con la solita intelligenza, Chiara, che non si capisce perchè vengano qui, allora.
@ Marotta
A me non interessa dire che cosa sia la “letteratura”. Non m’interessa alzare degli steccati. Allo stesso modo, però, credo che non tutti i libri abbiano le stesse qualità. King è dentro il mio personale recinto (ne ho letti veramente tanti). Dopodiché, non mi nascondo che le sue qualità sono ottime per farmi godere d’una lettura “leggera”, mentre esistono altri autori (sto leggendo Cercas, ho appena terminato l’ultimo della Atwood e tutto Kolyma di Salamov, mentre prima ho divorato “Noi” di Zamjatin, i due volumi di racconti di pazzi di Ercolani, “La morte di Virgilio” di Broch …) che riescono a darmi qualcosa di più … E, insomma, non possiamo negare che un libro ha delle qualità “oggettive”, eccome se le ha, e che non tutto si risolva nel rapporto tra l’opera e il lettore; se fosse così, allora avrebbe sempre ragione il lettore di Faletti e sarebbe inutile ogni discussione …
Fabio A.
@LaLipperini. Denunciali. Ci sono gli estremi da quel che riporti per una querela per diffamazione: così devono chiedere i soldi a papà e mamma – da quello che riporti sono ragazzini pluribocciati – e forse imparano a vivere.
Perché qui c’è audience. Per cui val bene pigliarsi qualche insulto, se li fa mettere in luce…
D.
Non credo proprio Fabio.
Secondo me è come per il vino, il palato si sensibilizza e di raffina a sapori sempre più delicati o complessi.
Ma questo non vuol dire che esista un valore oggettivo. Esiste un gusto più o meno complesso.
Torna sempre una connessione tra opera e lettore.
E’ l’oligarchia dei “lettori” colti a dire che un testo che gli corrisponda è oggettivamente valido, il lettore più grezzo e incolto è ritenuto meno capace di giudicare.
Il gusto è sempre relativo a qualcosa.
La richiesta di definire letteratura era per me, per mia curiosità e interesse, mi spiace che non ti/le interessi soddisfarla.
D.
A me King non interessa e infatti non commento. Mi unisco solo per quotare Marina: una bella querela, e si abbassano parecchie creste che si sono alzate senza nessun motivo. Che scrivono pure male.
é deliziosamente ridicolo, querelare degli avatar.
ahahahah che figata.
“denuncia su Lady Yoko, querelata la velenosa borbonica della rete, si cerca in tutti i blogs ma lei è inafferrabile, ancora si indaga per scoprire la sua identità..”
ahahahahaha.
Credo che basti il piano consiglio di Loredana a frequentare altri luoghi.
D.
@Fabio.
Esistono diversi piani di valutazione di un opera secondo me, il successo di pubblico, l’efficacia dell’opera, e la valutazione critica sono tra questi e tutti hanno una loro giustezza.
Dire altrimenti vorrebbe dire che Faletti è seguito da un esercito di sciocchi.
Probabilmente sono persone che cercano Faletti per ciò che Faletti offre, esattamente come accade ad un estimatore di Proust o Palanhiuk ecc…
D.
Ma ancora a questo punto, state? 😀 Avete passato la domenica così? Io nel frattempo ho insegnato a mia figlia ad andare in bicicletta senza le ruotine.
Guardate che una delle strategie per far “impantanare” un dibattito è costringere tutti a discutere sempre e solo delle premesse, dei “termini del discorso”, dei preliminari.
L’unico modo per discutere in modo serio è invece prendere atto che se le premesse non sono condivise, ciascuno va per la propria strada, insieme a quelli che condividono la “declaratio terminorum”. Si differenziano gli ambiti, senza logorarsi nell’eterno rimpallo delle opinioni.
Rimanere a discutere con chi è in disaccordo totale, inconciliabile, primevo, costringe a restare sempre coi talloni sui blocchi di partenza, a discutere di come sono collocati, del materiale di cui son fatti, di come aderiscono alla pista… e così non si parte mai.
La discussione ontologica su cosa sia letteratura e cosa no è masturbazione con la carta vetrata.
Se poi diventa meta-discussione su *come* discutere di cosa sia letteratura e cosa no, diventa meditazione su quale carta vetrata usare per infilarci dentro l’uccello (cioè la testa).
Se poi c’è chi intenzionalmente devia sempre la discussione sulla grana della carta vetrata, abbiamo fatto bingo nell’antimateria.
Su, ché la vita è meglio di questo.
@Wm1
Grande giorno per tua figlia allora. Che bello! Ripenso alle ruotine mie di tanto tempo fa…
Qui la domenica è stata comunque piacevole tra vita reale ricca (film, riordinamenti domestici e passeggiate boschive) e discussioni lipperarie in cui comunque si raggiungono punti di svolta anche se non sembra. Se la discussione porta in grumi di antimateria non è che si può disertare il caffè letterario lasciando solo dentro chi è in disaccordo totale o parziale.
Si spera che i dirottatori intenzionali siano emigrati per sempre altrove.
D.
Mica tutta: mi sono letta il nuovo Murakami 🙂
(Wu, mannaggia a te: la carta vetrata fa venire i brividi)
@ tranquilla, loredana: “diventa meditazione su quale carta vetrata usare per infilarci dentro l’uccello” è una citazione da Céline. Sei inattaccabile.
Cioè, insomma, che dire? L’ultimo commento di WM 1 mi pare un bel modo di bloccare ogni seguito. Niente di diverso – solo più “figo” – dai vari troll … Aspetto richiami …
Bye per sempre da un (ora ex) amico …
Ah, dimenticavo … Può anche darsi il caso di qualcuno che ha cominciato da poco a seguire queste discussioni, e che quindi sia carente, per condizione, rispetto al già-detto … Ma vedo che qui siete tutti saputelli …
Di nuovo ciao-ciao …
Fabio A.
Scusate, ma chi vi ha detto niente? Non mi pare che Wm si riferisse a voi. Lo spazio è disponibile alla discussione a patto di non insultare gli altri, mi pare. O di andare fuori tema.
L’intervista è talmente poco significativa che c’è addirittura chi si sente in dovere di intervenire per dire che se ne va perché non c’è nulla da commentare… Splendido:-)
Sarà, ma ho avuto l’impressione che WM 1 si riferisse allo scambio tra me e Marotta … Se così non è, chiedo venia …
In ogni caso,@ Marotta:
mi guarderei bene da dire che chi legge Faletti è “sciocco”; posso però dire che i libri di Faletti fanno schifo … E posso altresì dire che se c’è una forte richiesta di quel tipo di produzioni, ebbene, siamo messi male …
(io ho passato la domenica nel kitsch domenicale, tra abbondanza di cibo e segnali difficili da decifrare: nel deserto contemporaneo, insomma)
Fabio A.
Fabio, non sono Wu Ming: ma credo proprio che si riferisse ad altri. Gli stessi che vengono qui, qualunque sia l’argomento, a sparare (proiettili, parole, fesserie, ecc.).
Infatti. Mah. Evidentemente c’è chi si crede all’inaggirabile centro del proscenio, e si sente toccato personalmente da qualunque discorso, anche generale. Pazienza.
–
Ad ogni modo, ribadisco: il discorso su cosa sia letteratura e cosa no è un discorso non solo ozioso, ma anche impossibile da portare avanti, perché basato su una premessa fallace, prodotta da una distorsione ideologica (bellettrista, parnassiana, idealistica, romantica, kitsch): e cioè che il termine “letteratura”, anziché una techne e un ambito in cui si trova di tutto a tutti i livelli, indichi di per sé qualcosa di eccelso, di nobile, un modello alto a cui aspirare, iper-uranico, lontano dalla merda di tutti i giorni. L’Idea di Letteratura, nell’Empireo delle Idee.
Nessuno guardando un quadro che non gli piace direbbe che “non si tratta di pittura”. Al massimo direbbe che è un brutto quadro, che chi lo ha dipinto è un cattivo pittore, ma non che non è pittura, perché un quadro è l’esito di una prassi (di una techne) che si chiama “pittura”, l’atto del pitturare, del dipingere.
Nessuno guardando una statua che non gli piace direbbe che “non si tratta di scultura”. Al massimo direbbe che è una brutta statua.
Nessuno vedendo un film di merda direbbe che “non si tratta di cinema”, o vedendo un brutto programma televisivo che “non si tratta di televisione”, o vedendo un balletto noioso che “non si tratta di danza”.
Invece, tutti i giorni salta fuori un fesso a proclamare che il tale romanzo “non è letteratura”. Succede solo con la letteratura, perché i cenacoli ove si coltiva l’Idea di Letteratura sono i rifugi dei frustrati, degli aristocratici mancati, dei contemplatori passivi dell’Irraggiungibile Grandezza altrui. Si tratta di un’attitudine nostalgica, che idealizza un passato mai esistito: quello in cui i mulini letterari erano bianchi immacolati e nella cultura dominavano i capolavori, che invece sono arrivati a noi dopo una durissima e spesso arbitraria selezione, filtrando attraverso la merda secca come gocce d’acqua attraverso la pietra porosa.
Pensare che la letteratura sia qualcosa di Eccelso, credere che il passato sia la patria spirituale di questo Eccelso, odiare il presente perché è suppostamente non all’altezza del passato, fingere di essere estranei a questo presente, tutto ciò rientra perfettamente nella definizione di kitsch data a suo tempo da Milan Kundera: “il tentativo di rimuovere la merda dalla vita”.
Il frame della “letteratura” intesa come Grande Immortale Letteratura è un frame kitsch.
–
Ora, a discorsi inscritti in questo truffaldino frame non si può rispondere accettando la cornice, cioè: se uno mi dice che i libri di King “non sono letteratura”, e io rispondo cercando di spiegare che invece lo sono, perché meritevoli, perché sottovalutati, perché vittime di preconcetti etc., bene, io non faccio che rafforzare il frame, con tutto quello che ciò, di strascico, comporta: il rimpianto per “bei tempi” che non ci sono mai stati, l’attitudine elitaria e cenacolare, la tipica mascherata del borghese piccolo piccolo che cerca di atteggiarsi da aristocratico, il livore contro ciò che “arriva” a più gente, l’idolatria per ciò che possiamo goderci in pochi, il darsi arie da “maudit” e “incompresi” da un mondo dove la Letteratura non esiste più etc. etc. etc.
Lo scopo non può essere quello di “far accettare King nel Parnaso”. Chissenefrega?
–
L’unico modo per disinnescare questo frame è ignorarlo. Da qui il mio discorso di prima, cioè: non si può discutere davvero con qualcuno che parte da premesse inconciliabili con le nostre. Un esempio: se uno fa discorsi la cui premessa è che esistano razze inferiori e razze superiori, io non posso accettare il confronto con lui, perché non siamo in uno spazio dove le rispettive argomentazioni possano trovare una sintesi. “Doppio legame”: se cerco di convincerlo razionalmente che la sua premessa è fallace, lui non farà che impuntarsi a difenderla, perché senza la premessa crollerebbe tutto ciò in cui crede, e quindi gran parte della sua personalità; quindi il nostro diventerà un discorso sul niente, fondato sull’incomunicabilità. Al contrario, se *non* contesto la premessa, mi trovo a giocare sul suo terreno.
Il punto è che io non devo confrontarmi con lui, non devo negare il suo discorso: devo asserire per conto mio, devo portare avanti il mio discorso, cercando di costruire situazioni che tolgano l’erba da sotto i piedi dei razzisti.
Questo era un esempio estremo, per far capire nel modo più diretto che:
– non sempre il dialogo è un valore;
– non si può negare un frame, se ne può solo affermare un altro;
– “dire la propria” non è sempre una cosa da rispettare.
Mi pare che il dibattere alla fin fine sia sempre quello della “letterarietà”.
Bella la metafora di Wu Ming 1 sulla carta vetrata, eheh, appropriata. Però, e c’è un però, se non ci si intende su quel punto è facile finire, malinteso dopo malinteso, nel mandare in vacca la discussione.
Premetto che di King ho letto molti libri, lo trovo un autore dalla fantasia stupefacente, creatore di belissime storie ma, e qui doverosa premessa, nel momento che mi appresto a leggere so benissimo che, visto quello che mi aspetto io dalla lettura, non ne uscirò ispirato. Eh sì poiché l’aspettativa, quando ci si appresta a leggere un libro, è quasi tutto. Si può leggere per passare un paio d’ore sotto l’ombrellone e si può leggere per uscire ispirati dallo stile di scrittura dell’autore. Il primo caso è quello del lettore lettore il secondo quello del lettore scrittore. Se analizziamo il secondo caso, quello del lettore scrittore, va fatta un’ulteriore differenziazione di cateogoria, che poi, credo, è quella che ci interessa. Un poeta che legge King è diverso da un narratore che legge King. Prova cose diverse, trova cose diverse, vive sensazioni diverse. Il poeta sarà annoiato dalla forma, e senza dubbio non ne uscirà ispirato. Il narratore invece, col suo occhi clinico, sarà attento a molte più cose nella struttura, come i rimandi, il plot, la veridicità dei personaggi, etc etc.
Dove voglio andare a parare? Da nessuna parte, forse faccio il passo del gambero, ma per esempio, nell’intervista della Lipperini a Stephen King, questa domanda fa capire bene, forse, dove nasce l’inghippo:
“Lei ha sempre posto una grandissima cura al linguaggio, allo stile, al suono delle parole: eppure la critica letteraria non glielo ha riconosciuto spesso. Continua ad esserci diffidenza, nell’ambiente accademico americano, nei confronti della narrativa ritenuta di genere?”
Ora, che King abbia cura del linguaggio, dello stile e del suono delle parole a me lascia francamente perplesso. Ho enunciato quelle che sono le sue qualità, ma queste mi sembrano appartenere ad un’altra razza di scrittori. Cioé, la prima cosa che pensa King quando scrive non è “come lo scriverò”, ma “cosa”. Lo dice lui stesso. E’ la storia che conta. Infatti c’è un motivo se tutta la critica mondiale non lo ritiene un David Foster Wallace, nonostante le vendite.
Tornando a questi due maestri, nei loro rispettivi campi, ho notato che Wu Ming 1 riporta la cosa secondo la quale King avrebbe ispirato Wallace. Secondo me è una mezza verità. In questa intervista per esempio Wallace, parlando delle scritture che lo hanno fatto sentire meno solo, non cita King, e in compenso finisce col citare molti poeti.
http://www.salon.com/09/features/wallace2.html
E’ ovvio che un maestro del genere quale King abbia destato l’interesse di Wallace, ma da qui al dirsi ispirato, non so.
Concludo, per fare ancora più confusione in queste mie poche parole già confuse di per sé, dicendo che reputo “Stand by me”, il racconto, Letteratura senza se e senza ma così come “I figli del grano”.
Questo non toglie però che capisco benissimo il discorso che fa Fabio.
@ Alessandro, ci siamo incrociati. Leggi quello che ho scritto sopra.
Per la cronaca, io non penso affatto che DFW sia stato influenzato da King, né l’ho mai scritto.
Sul fatto che King presti grande attenzione alle parole, al loro suono, a neologismi, idioletti, giochi di parole, allitterazioni etc. io penso possano esserci pochi dubbi, una volta che uno abbia letto la sua prosa in inglese. E quando uno si è messo di buona lena a tradurlo, si accorge di quanti trabocchetti, di quante mine semantiche siano sepolte nel terreno del testo. Almeno, questo succede nei libri che King ha scritto con più cura (la sua produzione è diseguale, si sa).
Questo non significa che per lui il “come” conti più del “cosa”, ma che non può esserci un “cosa” senza un “come”.
Sì stavo leggendo. Purtroppo non ho mai letto King in inglese, mi fido di quello che mi dici. E non voglio certo affermare che King sia uno scrittorucolo, ci mancherebbe altro. E’ che gli è sempre mancata, secondo me eh, quella “poeticità” che i vari Wallace, DeLillo, Pynchon, Ellis ogni tanto sanno evocare. E’ un grande scrittore di sentimenti, il Re, ma una frase come “mi manca chiunque” non gliel’ho mai vista scrivere. Secondo me lui queste cose le sa, si vede anche come risponde alla Lipperini in merito, ma le sa senza la frustrazione che magari gli vorrebbero addurre i suoi detrattori. Sa di essere bravissimo in quello che fa e non è che ognuno debba saper far tutto. Ci sono scritture differenti. Wallace un libro come “L’ombra dello scorpione” o “It” non l’ha mai scritto. E’ come se fossero campioni in discipline diverse, ma quando si va cercar di capire cosa sia questa disciplina comincia la confusione.
Sì, così il discorso mi sembra ben impostato. E’ come se a un campione di lotta greco-romana si rimproverasse di non saper assestare calci volanti come quelli del taekwondo, e a un campione di taekwondo si rimproverasse di non saper fare una presa. Siamo sempre nell’ambito della lotta, dell’arte marziale, dello sport da combattimento, ma con due impostazioni diverse. Solo che in letteratura succede una cosa strana: se a uno piace la lotta greco-romana, dice che il taekwondo è merda.
Ecco il punto.
E’ solo un problema di accademici vetusti e loro fans, sono loro che tramandano l’idea di letteratura come aggettivo.
Quando si sente parlare chi scrive davvero si percepisce il rispetto per chi fa altro da sé.
Come in tutte le discipline.
Tra l’altro questa visione distorta e borbonica cela un altro inganno,l’idea che fare il letterato “alto” non sia un mestiere, che costui compia il suo operato in grazia di dio, come se per scrivere ‘la recherche’ o ‘guerra e pace’, ci sia stato meno artigianato che per scrivere ‘viaggio al centro della terra’, ‘tarzan’ o ‘il corsaro nero’.
Mi sembra che ancora da noi, in certi ambiti, manchi la libertà dell’intrattenimento. Come se fosse roba sporca.
E’ vero forse che una data generazione ‘mentale’ e ‘culturale’ non si sollazza con generi pop.
Per cui un intellettuale medio di una certa generazione legge Proust, guarda un film Western, e una partita di calcio, mentre un altro non meno intellettuale legge proust, poi fa una partita alla playstation o si legge un racconto horror o un fumetto e dopo guarda il calcio.
Non parlo di gusti come sarebbe auspicabile, ma del fatto che forse gli over quaranta generalmente sembrano fuori da un certo gusto pop e vedono come alieni da sé certi generi d’intrattenimento e certi linguaggi che invece sono assolutamente quotidiani per i quarantenni e under 40…
Diciamo la generazione che in Italia è cresciuta con King, Spielberg,la fantascienza in cinema e tv, i videogiochi, i cartoni giapponesi e i maestri del fumetto europeo ed americano di fatto è divisa da un muro culturale rispetto alle generazioni precedenti che avevano un modello culturale meno americaneggiante, più latino e decisamente meno ‘pop’.
Forse il fatto di considerare naturalmente la cultura ‘pop’ degna o meno, deriva solo dai modelli culturali di riferimento.
Per gli anglofoni è più facile perchè da loro il pop è un processo che deriva dagli anni ’40 e ’50 mentre da noi il vero cambiamento generazionale di massificazione e condivisione generale c’è stato solo negli anni ’75-’85, le stagioni della rai che sperimentava i programmi per i ragazzi, le tv private, l’epoca d’oro del fumetto marvel, ecc.
D.
D.
Condivido in pieno. Un esempio molto illuminato che portava qualcuno nell’altra discussione, mi sembra Marotta ma non vorrei dire schiocchezze, è che in questa presunta corsa all’immortalità nella letteratura non si sia in fila per uno.
A me di King a sempre incuriosito il fatto che non abbia mai modificato più di tanto lo stile della sua prosa. Nel corso di anni e anni. Certo, piccole cose, ma l’amalgama alla fine è sempre abbastanza lineare, neutro. Nella “Metà oscura” altro bellissimo libro che parla ironicamente proprio di questo, del passaggio dalla letteratura di genere alla letteratura in qualche modo colta, la cosa che mi ha colpito è che non si sente livore o reale astio per non essere riconosciuto fra i grandissimi, c’è un ghigno beffardo, come se alla lunga King sapesse che con questa coerenza arriverà dove si presume si debba arrivare. Verrà accolto nel Gotha? Secondo me è poco importante. Ha dato piena luce al suo talento,che è quello di narrare storie, se poi non ha fatto la piroetta col casché come Henry Miller pazienza. Alla fin fine anche Shakespeare ha scritto sempre nella stessa maniera, era superpop all’epoca, e ora eccolo là. Il resto è abuso di cartavetrata.
Mah, Daniele, io non la metterei sul piano generazionale. Io sono un over 40, e tra quelli della mia età vedo veramente di tutto: dai trombonazzi flaccido-accademici agli insopportabili rivalutatori di ogni monnezza, da chi mette Musil sul piedestallo a chi dice che Lino Banfi è un genio, da chi si droga di videogame da mane a sera a chi dice che la cultura di massa è il Male.
“Ah, come si discute bene senza gli stronzi… ” (Henry Miller, “Sexus”).
Si offende nessuno se dico che Stephen King non mi piace perché mi annoia a morte?
E’ più forte di me, non riesco a reggere il bisogno compulsivo che ha di descrivere anche i peli delle narici di un passante che il giornalaio – che si trova accidentalmente a scambiare due chiacchiere sul tempo con il protagonista – ricorda di aver visto una volta da bambino.
Se penso che sono horror, poi, la paura è una chimera, un po’ come lo sweep picking per The Edge degli U2.
Kubrick, per me, ha fatto con Shining ciò che la principessa fa col rospo nelle fiabe.
Ah, in Cujo, poi, io facevo il tifo sfegatato per il cane, e ho sperato fino all’ultimo che facesse un sol boccone della cornificatrice e del pargoletto rompipalle!
@daxman. Eppure, recensendo un libro, Nick Hornby scrive: “Tinkers è il primo romanzo di Paul Harding, parla grosso modo della vita, e gli è valso il premio Pulitzer. Ma gli è andata bene perché ha l’occhio e l’orecchio del poeta, perché è lo spietato editor di se stesso, e perché non dimentica le unghie dei piedi e i reni dei suoi personaggi anche quando scrive delle loro anime immortali. (Era solo una figura retorica un po’ enfatica, quella delle unghie dei piedi e i reni. Non ci sono unghie dei piedi in Tinkers, che io ricordi. Non vorrei scoraggiare nessuno.)”
–
Però hai ragione anche te, anche perché bisogna vedere poi come uno scrive delel anime immortali e fare la media con le unghie dei piedi.
E’ vero che non si può ridurre il tutto a una dimensione generazionale (ho avuto studenti “apocalittici”), però c’è del vero in quello che dice Daniele: a partire dalla metà degli anni Settanta in Italia c’è una cesura storico-culturale. Sono gli anni in cui Goldrake arriva in Parlamento (c’è un’interpellanza del 1979 se non erro).
Certo, una cesura può essere colta anche da generazioni differenti, ma ci saranno sicuramente alcune generazioni più segnate di altre, perché si sono formate proprio in quel passaggio storico. Non si tratta, credo, di trasformare Banfi in un genio, ma di avere un approccio alla cultura un po’ più laico: anche la commedia erotica italiana è parte di un certo orizzonte culturale. E non eslcudo a priori che possa essere interrogata o analizzata. Il che non implica che sia particolarmente ricca di “capolavori”: lo Stracult è il rovescio speculare dell’ “Arte” con la A maiuscola. Ma appunto, il frame da evitare è proprio quello del “Capolavoro”, dell’ “Arte”, della “Letteratura”. Tolto questo frame, si tratterà volta per volta di interrogare questa o quella narrazione, questa o quell’opera, evitando le classifiche estetiche e i dibattiti ontologicamente inconcludenti su “che cos’è la letteratura”. Il che non significa non poter individuare funzioni differenti.
Scusate, l’Anonimo poco sublime sono io…
@ diana: rispondo alla tua citazione… con un’altra citazione. 🙂 Da [i]La storia infinita[/i] di Michael Ende (che mi chiedo ancora perché non venga ritenuto un capolavoro indiscusso):
“Non gli piacevano i libri in cui di malumore e con la luna di traverso si raccontavano le vicende qualsiasi della vita qualsiasi di persone terribilmente qualsiasi. Ne sentiva già abbastanza della realtà di tutti i giorni, a che scopo stare anche a leggerle? Inoltre se c’era una cosa che non poteva soffrire, era accorgersi che si cercava di catturarlo. E in questo genere di libri si doveva sempre, più o meno chiaramente, essere catturati a qualche scopo”.
Sacrosanto: l’atteggiamento “Stracult” è il rovescio speculare dell’atteggiamento aristo-contemplatore-capolavorodipendente.
Posso ricordare qui come mi rivolgevo a certi “cinéphiles au contraire” alla fine di un’invettiva del 2003:
“…a furia di épater les camarades (o cercare vanamente di farlo) vi ritrovate in balotta con la maggioranza ex-silenziosa, gli elementi più retrivi e obnubilati, e tra un po’ definirete Panariello un genio della comicità. Che schifo. Aridatece er puzzone! [Er puzzone = Theodor Wiesengrund Adorno, 1903-1969]”
Adorno “Er puzzone” però è davvero “cult”:-)
@wm1
Indubbiamente c’è stato un passaggio culturale magari più sfumato di come ho detto io prima in cui un certo tipo di intrattenimento ‘pop’ e fantastico ( nel senso di non realistico), è diventato “patrimonio delle masse” e non solo relegato all’intrattenimento dei ragazzi coi calzoni corti.
Probabilmente è successo per gradi di pari passo con l’arrivo del consumismo e con la contaminazione pop della cultura di massa in italia.
@Alessandro Ansuini.
L’idea di ‘poetica’ autorale affiancata ad un senso sereno della “scrittura come mestiere” potrebbe portare a questa considerazione che tu sostieni: contribuire alla letteratura con un proprio linguaggio preciso e costruire con esso un percorso narrativo, non per svelare verità ontologiche idealiste, ma per dire la propria sulla vita secondo il proprio linguaggio dando per buono che esistono altri milioni di linguaggi, ognuno con la propria dignità letteraria. Come dico sempre ai miei studenti di disegno: magari ai Beatles piacevano i Rolling Stones e viceversa.
Questo per dire che non bisogna cercare il graal ma sviluppare il proprio linguaggio che è già lì.
Da qualche parte King parla del talento come la determinazione di lavorare la propria pietra grezza fino a farla diventare una gemma.
@Daxman
Non ti piace King ma cosa ti piace? Per capire ed allargare il discorso.
Ah, se non ami le descrizioni lunghe non leggere mai Tolkien.
Daniele: Beatles e Rolling Stones erano molto amici. Il coro che si sente in We Love You degli Stones, beh… Tra quelle voci ci sono anche Lennon e McCartney 🙂
@ Daniele Marotta: no, tranquillo, non è che non mi piaccia King per i motivi di cui si è dibattuto sopra. Mi piace davvero qualunque cosa: Calvino, Grant Morrison, Pasolini, Michael Ende, Fred Vargas, Will Eisner, Alan Moore. Boh, adesso ho buttato giù a casaccio i primi nomi che ho in testa. Mi piacce in genere chi scrive di eroi “strani” e di cose fantastiche, che però, a ben vedere, possono tranquillamente applicarsi alla nostra realtà.
Il mio problema non è con le descrizioni lunghe, ma con quelle che non servono a nulla se non ad allungare il brodo. Su Tolkien ammetto di aver avuto a lungo pregiudizi (dovuti anche al noiosissimo, per me, film su Il signore degli anelli) ma voglio cercare di ricredermi.
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Il problema di King, secondo me, è che se dai suoi romanzi si sottraesse l’elemento horror (o fantastico), probabilmente ci guadagnerebbe. Non avrei l’ansia di pensare, in corso di lettura, “ok, che me frega dei cazzi dei personaggi? Quando arriva er mostro?”, ma mi godrei il ritratto terrificante della piccola-media borghesia americana.
Che poi, personalmente, ho trovato King più di una volta reazionario. Per quanto brutta possa apparire, la società che descrive non viene mai criticata nei suo (dis)valori fondanti, soprattutto non vengono proposti modelli positivi alternativi, ma solo il riscatto dei “poveri stronzi” che, nonostante le loro piccole (grandi) ipocrisie quotidiane, ogni tanto riescono a dare la loro prova di coraggio o di bontà.
Non so, forse non c’ho capito nulla io o mi manca qualche altro suo libro che possa smentirmi.
Daxman, guarda che dove sembra che King “allunghi il brodo” in realtà sta compiendo operazioni ben più sottili. Quando menziona gente che non c’entra col nucleo del plot se non tangenzialmente, o inserisce flashback incidentali, sta in realtà facendo emergere la “continuity”, e mandando segnali al lettore più attento. Un personaggio o un toponimo nominato di sbieco stabiliscono quasi sempre un collegamento con un altro romanzo, magari pubblicato vent’anni prima. In “Mucchio d’ossa”, grazie a un riferimento così, sappiamo com’è andato a finire il protagonista de “La metà oscura”. Quando in “La giusta estensione” un personaggio menziona una certa via di Derry, il collegamento è con “It”. Quando in “Un bel matrimonio” si nomina un certo negozio di Castle Rock, il lettore più accorto capisce benissimo perché ciò viene fatto. I libri di King sono in realtà un unico, colossale libro in fieri.
Invece, sulla questione di King “reazionario” perché “non propone modelli positivi alternativi”, mi sembra che con questo criterio possiamo tranquillamente bollare come “reazionari” tutti gli scrittori tranne quelli che allestiscono utopie e descrivono shangri-la assortite. Per restare “nel genere”, che modello positivo propone Jean-Patrick Manchette? Possiamo definirlo un reazionario? Che modello positivo proponeva, chessò, Jaroslav Hasek? E Alan Moore che modello positivo di società propone?
Prima di definire King “reazionario”, ti inviterei, davvero, a leggere Cuori in Atlantide, il suo libro più esplicitamente politico.
Ecco, Wu Ming 1, io sono uno di quelli che odia con tutto il cuore il concetto di continuity. Lo odio quando lo usano nei fumetti (americani soprattutto) e, da ciò che mi dici, mi pare King usi le stesse modalità. Diciamo che sono in genere allergico all’autoreferenzialità narrativa, alle strizzate d’occhio per i nerd. Preferisco che le storie che parlino per sé, in forza dei loro elementi principali (personaggi, intreccio, affabulazione, significati), senza che mi ammicchino e mi rimandino a un altro centinaio di testi di cui nun me ne po’ fregà de meno. Non mi importa di sapere se Danny Torrance e Tad Trenton siano mai stati amichetti di infanzia, mi importa di leggere belle storie su di loro.
@ Daxman: Io credo che in un certo senso se non ti piace il riscatto dei ‘poveri stronzi’ Stephen King non fa per te, come se non ti piacciono i costumi attillati non leggerei fumetti sui supereroi.
King è questo: mostri da cinema e mostri da vita vera, intrecciati in coro con sempre, sullo sfondo, una comunità umana. Quel gusto del dettaglio è per creare tessuto umano, per rendere la familiarità della comunità dei personaggi. Quella rete di cuore che lega i concittadini e i loro vissuti, come succede in un paese dei nostri dove c’è familiarità e spesso anche mostruosità in un unico brodo dolce e cupo.
Se non ami questo, allora non leggerei King se fossi in te.
D.
Senti, Daxman, io capisco che de gustibus non est disputandum etc. etc., è legittimissimo che *a te* King non piaccia, ma sinceramente, sostenere che in King… “le storie non parlano” e non funzionano sul piano di “personaggi, intreccio, affabulazione, significati” è una cosa talmente gratuita e da bastian contrario, talmente in contrasto con gli effetti che i suoi libri hanno in giro per il mondo, che se fossi in te abbandonerei questo piano.
“in Cujo, poi, io facevo il tifo sfegatato per il cane, e ho sperato fino all’ultimo che facesse un sol boccone della cornificatrice e del pargoletto rompipalle!” daxman
Pensa che a me invece pareva di essere in quella dannata Pinto con loro.
Poi Donna e Tad sono descritti con una sapienza ed una conoscenza dell’animo umano. Prima di leggerlo pensavo, ingenuamente, che se è una persona è innamorata di te non può farti le corna, anche grazie a quel libro ho capito che è un po’ più complicato. Cujo è stato il primo romanzo kinghiano che ho letto quando andavo ancora alle medie inferiori, certamente fu tra le mie prime letture “da adulti” quindi ci sono particolarmente legato anche affettivamente.
Poi vabbè i gusti son gusti. Comunque quoto Wu Ming 1 e Marotta.