APPUNTI: RASHIDA E IO

Qualche settimana fa, ho avuto l’onore di incontrare privatamente  Rashida Manjoo, Relatrice speciale dell’Onu contro la violenza sulle donne (sul blog di Barbara Spinelli trovate la rassegna stampa sulla sua visita in Italia e sulle sue dichiarazioni finali). Siamo state insieme una ventina di minuti. Argomento: la questione femminile nel nostro paese e gli stereotipi di genere.
Le ho raccontato quel che immaginate, soprattutto in relazione alle bambine (ma non solo), alla televisione (ma non solo), ai giochi (ma non solo).
Ha voluto sapere come mai non fosse ancora stato abbandonato l’accostamento simbolico, e pesantissimo, con il colore rosa (e come risponderle, se io stessa non riesco a capirlo?). Ha voluto sapere perché non si spinge per una maggiore presenza maschile nel corpo insegnante (proprio così: lo stesso punto su cui si è battuta, nel 1973, Elena Gianini Belotti). Le ho risposto che la professione di insegnante veniva ancora considerata “femminile”, anche  per la scarsa retribuzione. Male, ha risposto lei. Ha aggiunto che occorreva allora motivare maggiormente (e non solo economicamente) i giovani uomini. Infine, dopo il mio racconto su libri scolastici, giocattoli, pubblicità, tv,  mi ha fatto una domanda: ” Perché non date vita a continue azioni unitarie di boicottaggio contro questo o quel prodotto e questa o quella trasmissione televisiva?”. Le ho risposto che viene fatto, ma mentre lo dicevo mi sono resa conto che viene fatto ancora poco.  Anche io, dunque, mi sono chiesta: perché?

27 pensieri su “APPUNTI: RASHIDA E IO

  1. L’unica cosa che mi viene in mente è che siamo molto disunite. Non a caso le azioni di boicottaggio funzionano se “unitarie”. In più non c’è coscienza diffusa di questo, cara Loredana. L’unico movimento “di massa” sulla condizione femminile è Se non ora quando, ma, è un opinione personale, credo non abbia centrato la radicalità del tema “femminile” ripiegando su una visione borghese e “salottiera”.Purtroppo siamo vittime (passive o attive) di una involuzione culturale.
    Non sai quanto sarei felice di essere smentita.

  2. azioni UNITARIE di bicottaggio – ahimè sono ancora lontane.
    Il problema sta ancora nella disunione delle/degli interessate/i, che deriva da una scarsa consapevolezza…
    Tra parentesi, ieri centotrenta firme contro l’infame servizio al TG1, stamattina 1200. Ancora pochine, mi sembra 🙁

  3. Concordo siamo pigri e aggiungo in alcuni casi timorosi.
    Perchè nei consigli di classe, tra genitori, quando parli di queste istanze ti guardano come fossi “strana e diversa”. Perchè queste azioni partono prevalentemente da donne e allora vai con lo stigma della femminista rompi…
    Cosa vuoi di più… Tutto sommato è una cosa marginale! è il pensiero dominante che percepisci anche quando non ti viene detto direttamente.
    Però non demordo, io insisto, a costo di diventare antipatica e nonostante abbia un figlio non una figlia, anzi forse l’urgenza è ancora più sentita!

  4. perché? forse perché siamo circondati, e non sappiamo da dove cominciare. piccola storia personale a proposito del rosa, e in generale della genderizzazione globale. abbiamo una figlia di tre anni, nata e cresciuta in una magnifica inconsapevolezza neutra: da neonata passeggino blu, tutine verdi – ha sempre amato indifferentemente le pentole i pelouche le macchinine le spade gli skateboard le capriole. da un po’ di mesi però il suo colore preferito è il “fuskia”, non vuole le pantofole blu perché “sono da maschio” e ieri si è quasi messa a piangere perché le ho detto che anche gli uomini se vogliono possono portare l’orecchino. che cosa è successo nel frattempo? è successo che è andata all’asilo: maestre giovani, laboratori e attività moderne e tutto, ma le stanno facendo il lavaggio del cervello. ora noi che dovremmo fare, andare lì e fare una scenata? con tutti i problemi più gravi che ci sono? (ma ci sono davvero problemi più gravi?)
    dicevo, siamo circondati e non sappiamo da dove cominciare. allora cominciamo da uno a caso, con il boicottaggio. l’importante è essere il maggior numero possibile. allora, dove? si avanzino idee

  5. Mi torna in mente un anedotto personale. Il secondo anno regalai alla educatrice d’infanzia -Ancora dalla parte delle bambine-. Alla ripresa scolastica provai a chiedere qualcosa in merito, insomma nessuna reazione. Avrà fatto breccia? Non l’ho saputo. I miei tentativi ci sono, pacati, forse troppo pacati. Hai detto bene Dario, siamo circondati.

  6. Dario ma dove hai trovato le tutine verdi?
    Io sono quasi alla fine del primo trismestre di gravidanza, e pare che il mondo dei neonati sia total azzurro o total rosa…
    Tristezza 🙁
    Sul boicottaggio sono eternamente d’accordo ma…io sono anni che boicotto tutti i prodotti che testano sugli animali e quindi ho solo prodotti cruelty free in casa. Il risultato al momento è nullo…nel senso che la vivisezione persiste. Di buono c’è che sono aumentate le marche cruelty free…allora posso dire che c’è più scelta. Ed è già qualcosa.
    Ma per fare boicottaggi del genere è indispensabile una profonda convinzione e “un gruppo” col quale confrontarsi e scambiarsi informazioni, altrimenti è davvero difficile.
    E boh…mi pare che di convinzione in giro ce ne sia poca.

  7. Due o tre riflessioni.
    1) Colori: anche noi siamo nella stessa situazione di Dario: un figlio di tre anni che ha sempre giocato con macchinine e bambole, quasi indifferentemente. Mai fatto caso ai colori: abbiamo ereditato vestiti da cugini e cugine quindi qualche cosa di rosa c’è scappato… Peraltro alla nascita non sapevamo il sesso quindi era tutto vestito di arancione!
    Ora ha tre anni e mezzo e siamo in piena fase: “il celeste è per i maschi, il rosa non lo voglio perché è da femmina!” Stesse riflessioni di Dario: chi gli ha insegnato questa genderizzazione?
    Conclusione: pazienza, noi continuiamo a proporgli in casa altri modelli.

    2) mestieri al femminile: ho partorito il mio secondogenito tre settimane fa e ho finalmente incontrato il primo allievo ostetrico uomo (finora non ne avevo mai visti!) e soprattutto ho avuto la fortuna di incontrare un bravissimo infermiere alla nursery, che è stato fondamentale nell’aiutarmi con l’allattamento al seno. In un ambiente completamente femminile questo infermiere spicca non solo perché uomo, ma perché motivato, professionale, molto empatico.

    3) mestieri al femminile/bis: pensando a chi affidare il neonato una volta rientrata a lavoro mi sto chiedendo perché non conosco nessun baby sitter uomo, quando ho diversi amici che sono esperti perché padri, che sanno fare tutto e sarebbero ottimi in questo campo.

  8. Miriam, Valentina. Sono anni che qui stiamo decostruendo stereotipi e inventando un linguaggio. Credo che questo lavoro qui su Lipperatura abbia un suo piccolo peso. Ma in effetti, i modi di proteggerlo ed esportarlo vanno ancora inventati. Le storie, i commenti, le azioni, gli appelli… tutte queste cose sono dei buoni primi tentativi. Bisogna insistere, inventare, innestare. Come esattamente non so, ma ci stiamo provando, no?

  9. PaoloS ci stiamo provando e ci vuole una bella perseveranza, come giustamente faceva notare una blogger su Disambiguando, sembra che funzioni ma poi si deve ricominciare sempre da capo. La sensazione di inutilità serpeggia in molt*. Detto questo, ricomincio. 😉

  10. Sì, Miriam, sono io la “blogger” di cui parli (in realtà sono una semplice commentatrice :-)) ed è per quella sensazione di dover ricominciare sempre daccapo che spesso mi scoraggio con in più ciò che dice Dario: siamo circondati.
    Quando arrivò Il corpo delle donne sentii che andava ad agire da un lato nel mio torpore/rassegnazione, dall’altro su quei sentimenti ed energie che non aspettavano altro per mobilitarsi e lo feci, lo faccio lì dove ho la possibilità di constatare direttamente gli effetti di ciò che metto in gioco. Quindi un primo elemento che agisce è la sensazione di concretezza ma personalmente ho bisogno di sapere che le mie azioni sono dentro una strategia più grande delle mie limitate possibilità e credo che questo non riguardi soltanto me: se penso alla vastità numerica di chi non si fa colpire o non riesce ad essere colto dalla gravità del fenomeno, mi sento ributtata a terra. Perché ci sono gli inconsapevoli e ci sono coloro che sono d’accordo, questi ultimi facenti parte di quella maggioranza al precedente governo, così tanti da togliere il fiato, così tanti da imporre un modello con grande dispiegamento di mezzi (economici, comunicativi).

  11. Perché cambiare costa fatica e un popolo affetto da pigrite cronica preferisce la comodità di tradizione e stereotipi al lavoro che una presa di coscienza della situazione porta con se.
    E’ meno faticoso proporre uno spot come quello di cui si parlava ieri, fregandosene altamente dei danni che può fare, piuttosto che fare del vero lavoro creativo.
    E’ meno faticoso propinare ai bambini la solita solfa “maschietti e femminucce”, fregandosene del parere opposto di alcuni genitori e incominciando così a incanalarli dentro alcuni meccanismi, che poi in futuro torneranno utili.
    E’ meno faticoso sfruttare la forza lavoro (spesso gratuita) delle donne per sopperire alla scarsità o alla mancanza di servizi e strutture che garantirebbero al paese un welfare adeguato.
    E’ meno faticoso crescere una nazione di cittadini-pecore pronte a farsi bellamente fregare piuttosto che avere un paese di teste pensanti a cui dover rendere conto del proprio operato.
    Non so se il lavoro che si sta facendo su più fronti, da Anna Maria Testa, a Lorella Zanardo, a Lipperatura stessa, finora ha portato dei frutti o se li porterà in futuro. Eppure questo lavoro mi sembra una delle poche strade percorribili per risollevare questo paese, per guarirlo.

  12. Il problema penso sia trasversale, e noi qui ci confrontiamo con la difficoltà nel nostro campo di intervento. In Italia, non si riesce a fare niente di unito e preciso, tuttalpiù si uniscono le persone se si assumono toni rancorosi e qualunquisti (grillo – per dire). Viene a mancare quell’energia che unisce la conoscenza approfondita delle cose con la reazione specifica e che è la salsa della lotta politica produttiva. Poi in giro, mi rendo anche conto – voglio dire fuori dai nostri contesti – c’è moltissima moltissima rassegnazione, moltissima accettazione di uno status quo come anche dolorosamente immodificabile. Manca una specie di mentalità adulta, e il paese sembra diviso tra giovani incazzati a vuoto e vecchi dentro. Tutti intorno ai 40 anni.

  13. Vorrei testimoniare qualche piccolo passo avanti, non solo privato. La mia figlia più piccola, sette anni, gioca molto volentieri sia con maschi sia con femmine, e la bella notizia è che i maschi rispondono molto bene ai suoi inviti. Alcune femmine in classe ne prendevano in giro uno perché è di carattere dolce, lo chiamavano al femminile. Ne ho parlato con la madre, abbiamo pensato di favorire gli incontri misti, e sta funzionando, sembra.
    Quanto ad altre piccole soddisfazioni, la figlia di dodici anni ha sentito la parola “terùn” in tv, da Fazio, e mi ha chiesto: cosa significa? Abbiamo tradotto “terrone” (viviamo a Milano, ma non ci siamo nati), e lei: sì, ho capito, ma cosa significa? Non solo non è un termine che sente in casa, non lo sente nemmeno a scuola, e questa è un’altra buona notizia.
    Ma non volevo parlare del mio privato, per quanto anche politico. Quello che voglio dire è che credo che ci sia un’Italia migliore di cui fin qui non si è parlato, mentre al contrario i media hanno dato spazio alle rappresentazioni peggiori, creando un circolo vizioso favorito, per non dire perseguito, dal grande dispiegamento di mezzi economici e comunicativi a cui si riferisce Donatella.
    Ora io credo e spero che ci sia una possibilità di cambiamento, perché stanno cambiando i modelli, si comincia a fare più attenzione al linguaggio, e forse finalmente le cose che ci siamo detti e continuiamo a dire qui troveranno un terreno un po’ più neutrale, se non addirittura favorevole. Anche solo il fatto che si dica chiaramente che chi evade è responsabile di un crimine verso la società e verso i propri stessi figli è, per differenza, un mettere in circolazione parole e idee che avranno un impatto.

  14. @zauberei sono pienamente d’accordo con te, sempre più ho la sensazione di vivere in un paese diviso, disgregato, dove i vari settori vanno ognuno per conto proprio senza un’ obiettivo comune, senza valori condivisi.
    La famiglia è scollegata dalla scuola (e le due si rimpallano la colpa dello stato in cui versano molti giovani), la scuola è scollegata dal mondo del lavoro, il mondo del lavoro è frammentato in categorie, microcategorie, o macro associazioni dedite però ai loro personali interessi.
    In qualche modo fa riflettere il fatto che le società moderne quelle così dette di massa abbiano portato ad un paese così spaccato e individualista. Forse esisteva un substrato di egoismo o di indolenza prettamente italiani su cui è stato facile costruire.
    O all’estremo opposto attorno ai capipopolo si catalizza la rabbia di molti che evidentemente non saprebbero dove altro indirizzarla.

  15. Perché questo è un Paese vecchio (anche se non per vecchi e, citando il libro di Loredana, ancor meno per vecchie), quindi fisiologicamente conservatore, quindi più restio ad abbandonare stereotipi e pregiudizi cristallizzati. Lunedì è stato presentato il primo Libro bianco sulla salute dei bambini frutto del lavoro congiunto tra l’Osservatorio sulla salute nelle Regioni dell’Università Cattolica e la Società italiana di pediatria (diretti, guarda caso, da due uomini). Sapete qual è il cuore del rapporto? La bassissima natalità: In Italia i nuovi nati sono 9,5 ogni mille abitanti, il dato più basso d’Europa. La quota di under 18 sul totale della popolazione si assottiglia sempre di più e diventerà sempre più minoritaria.
    Se non c’è ricambio generazionale come può esserci innovazione, anche sul fronte della questione femminile? La parte più vitale del Paese, in senso demografico, è rappresentata dagli immigrati che però spesso portano con sé visioni dei rapporti tra i generi ancora più arretrate della nostra.
    Il Libro bianco è chiaro, direi spietato: non possiamo aspettarci un futuro migliore per l’Italia dalla sola crescita economica. Serve anche una crescita demografica. E neppure quella da sola basta. Per gli esperti, occorre un patto sociale che rimetta i bambini (e le bambine, aggiungo io) al centro delle scelte del Paese. Perché, a dispetto dei proclami e delle dichiarazioni ipocrite, nel 2010 (dati Istat) la spesa per le politiche familiari è stata solo un ventesimo di quel 30% circa del Pil destinato alla protezione sociale. In Francia lo stanziamento è doppio. Non è difficile immaginare chi paga il prezzo di questa grave trascuratezza: le donne.
    Con questo non sto dicendo che combattiamo contro i mulini a vento. Ma le difficoltà denunciate in tutti gli interventi che mi hanno preceduto, e che vivo anch’io ogni giorno sulla mia pelle e su quella dei miei due bimbi (una femmina e un maschio), hanno una spiegazione sociologica e demografica da cui secondo me non possiamo prescindere: siamo i più vecchi del continente più vecchio del mondo.

  16. Esprimo solo un dubbio: se si arriva alla consapevolezza, dell’universo femminile e non, nei riguardi di questi temi, si arriva a delle conseguenze – perchè è un problema politico. Cioè il ragionamento va concluso: si arriva ad un cambiamento, a cascata, dell’immaginario, dei modelli, fino alla scuola, alle istituzioni, la comunità, ecc. Allora, cosa si auspica la Manjoo lo sappiamo. Ma cosa potrebbe volere la Fornero quando si esprime così come citato nei commenti al post di ieri? Se è una porta aperta, qualcuno deve rispondere, giusto? Mi sembra importante ad esempio, la base comune della lotta all’immaginario legato agli stereotipi, che mette quasi tutti d’accordo. E’ un po’ poco, ma se al tg1 passano certi video, vuol dire che su questo, ‘loro’, una strategia, anche inconsapevole, ce l’hanno!

  17. Sono d’accordissimo con zauberei e laura atena e vorrei banalmente aggiungere che è necessario aspettare anche un po’ di tempo prima che certi meccanismi di cambiamento di immaginario e di consapevolezza vengano fuori automaticamente anche nella maggioranza delle persone. Certo, la mentalità di una certa generazione matura e vecchia sarà difficile da cambiare e quella generazione continuerà a dire che le femministe sono solo delle rompi…. ed il guaio è che parte di quella generazione ha compiti e responsabilità nella formazione dei ragazzi. Però tutto questo sforzo di analisi, confronto, studio, contrasto verso i modelli negativi che tengono in piedi il sessismo è sicuramente una cosa che renderà i suoi frutti. In Italia siamo indietro in così tante cose, se pensiamo che negli USA già 40 anni fa discutevano di sessismo coinvolgendo tutti come in italia si fa da appena qualche anno, è impossibile raggiungere in poco tempo ciò che si è raggiunto altrove con decenni di lavoro che non è stato solo di protesta ma che ha saputo costruire una base solida e di rispetto anche legittimando la presenza di una critica fatta dalle donne in ambito accademico. Se in Italia un giovane ha voglia di studiare femminismo, studi di genere, studi gay e lesbici, studi queer e desidera formarsi bene attraverso un percorso di studi accademico, può farlo? Tranne qualche seminario, lezione in qualche rara e coraggiosa università, un corso unicamente dedicato a queste discipline accademiche ( se non son rimasta indietro pure io) ancora non c’è. E siamo nel 2012. C’è urgenza, certo, ma c’è anche bisogno di tempo per togliere dal torpore la maggioranza della gente.

  18. Non vorrei sembrare polemica, e nemmeno portare o.t. la discussione, ma penso che se abbiamo bisogno di nuovi nati allora di nuovi nati in Italia ce ne sono, sono figli di immigrati stabilmente residenti, che frequentano le scuole, parlano l’italiano (come L1), assorbono la cultura italiana (nel bene e nel male), ma …non sono italiani, non si sa esattamente di dove sono, perché se venissero espatriati nei paesi di origine dei genitori, si troverebbero da stranieri in quei paesi.
    La lamentela sui pochi nati ha un retrogusto amaro, perché alla base c’è una miopia (per non chiamarla razzismo) – e per carità non mi riferisco a te Manuela sia chiaro – della politica: in Italia si fanno pochi figli! Dicono, e noi diciamo: perché mancano le condizioni. La verità è che in Italia i figli si fanno e sono – anche – i figli degli immigrati e se si vuole sostenere l’infanzia la si sostiene tutta.
    Ci tengo a dire questa cosa perché la questione è stata accennata anche quando si parlava di i.v.g., e quella idea malsana per cui il diritto alla libertà di scelta, deve essere limitato, perché altrimenti il paese si svuota e non c’è ricambio generazionale, è direttamente collegata alla “miopia bianca”, ed è anche connotata storicamente.
    O si fanno politiche per l’infanzia, considerando tutta l’infanzia che vive sul territorio nazionale, o ci stiamo zitt* perché infondo pochi nati significa anche poca spesa (da una miopia all’altra).
    Non so se riesco a spiegarmi.
    Scusatemi per la piccola digressione.

  19. La sensazione di impotenza è forte. Ieri ho firmato l’appello e condiviso sulla mia pagina di Facebook, ma la mia segnalazione sembra essere scivolata via senza alcun successo…
    Quanto all’esperienza di genderizzazione “esogena” (leggi: scuola dell’infanzia) riportata sopra da Dario e altri/e posso confermare che la stessa identica cosa è successa alla mia cucciola che ha cominciato a chiedere le cose “fucchia” (fucsia) poco dopo l’ingresso alla scuola. E a distinguere le cose da macchio e da femmina… Però, ho un messaggio di speranza: anche loro nel loro piccolo si ribellano! Sabato scorso a una festicciola alla fine la padrona di casa ha offerto un regalino a tutti i partecipanti, a scelta. La mia bimba 4enne ha ravanato nel sacchetto scegliendo alla fine una penna rossa con logo di Cars e quadernetto allegato con Saetta McQueen (il protagonista di Cars) chiedendomi (per una conferma): è vero che cars è un gioco anche per femmine?, perchè a me le macchine piacciono! (Lei gioca molto con le macchinine, oltre che con pupazzetti e bamboline) Insomma, ha piegato lo stereotipo a suo favore. Speriamo bene! Scusate per la divagazione…

  20. Per esperienza diretta posso dire che riguardo gli insegnanti uomini soprattutto per la scuola d’infanzia, molte donne, le ho sentite con le mie orecchie, hanno detto che non si fiderebbero a lasciare i figli piccoli. Sono convinte che un uomo non è in grado di dare le “cure” giuste come può fare una donna (stereotipo delle naturali qualità femminili alla cura) e che gli uomini sono inclini a molestie sessuali e pedofilia. Per farla breve uomo + asilo nido = pedofilo/incompetente; donna+ asilo nido= la normalità. Come la invertiamo la rotta?

  21. Michelle, quel che riporti quadra perfettamente con tutto il resto che sento io in giro…stereotipi condivisi e ripetuti. Però come la mettiamo col fatto che i paesi dove c’è stata una sensibilizzazione e conseguente evoluzione su tutte le tematiche riguardanti le donne, il lavoro, i figli, ecc, ci sono arrivati circa negli anni ’70? Prima i problemi erano assolutamente gli stessi anche lì. Mica eravamo soli.
    I gruppi di pressione funzionano, ma solo se c’è apertura dall’altra parte, per questo penso che abbia senso misurarsi con le istituzioni non appena si apre uno spiraglio – anche se solo dettato da convenienza… sono troppi i problemi che ci mantengono arretrat*: e per me la questione di genere sta insieme al digital divide, tanto per fare un esempio…

  22. “gli uomini sono inclini a molestie sessuali e pedofilia. Per farla breve uomo + asilo nido = pedofilo/incompetente; donna+ asilo nido= la normalità. Come la invertiamo la rotta?”
    Col napalm.

  23. A proposito di rosa e azzurro:
    http://www.bebefacile.it/2011/05/16/perche-il-rosa-per-le-femmine-e-il-blu-per-i-maschietti/
    Ho un figlio maschio di undici anni, da quando è nato ha avuto a disposizione sia bambolotti sia macchinine… Pur raccogliendo la disapprovazione di parenti vari quando lo vedevano cullare un bambolotto…
    Mi confronto quotidianamente soprattutto con mamme con figlie e figli di svariate età (0-11), tutte confermano e trasmettono stereotipi di genere. Quando faccio notare loro ciò che dicono scoprono di non soffermarsi neanche a pensare che si possa scegliere, che le cose preconfezionate, spesso, non sono l’unica scelta.
    Mi piacerebbe confrontarmi anche con persone che gli occhi li hanno già aperti, per poter insieme proporre un nuovo immaginario.

  24. I miei colleghi – di sinistra, eruditi, di mente aperta – rispondono “embé!? i
    giocattoli differenziati ci sono sempre stati!”
    quando non “è genetico: le donne sono attratte dal rosa e dal rosso perché nella preistoria dovevano cogliere le bacche”.
    e io mi demoralizzo 🙁

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