AVERE CURA E NON CURARE

E’ un post strano, questo. Stamattina, al primo sole, guardavo le ortensie che sono da potare, i cespugli di lavanda e rosmarino, e insomma godevo del giardino come sempre faccio appena sveglia e pensavo che no, non va. Non va il fatto che non riusciamo a parlare dei nostri traumi collettivi e ci spostiamo o sulla notizia del giorno o sul trauma in corso, dimenticando quello che abbiamo alle spalle.
Mi chiedevo come sia possibile che si parli così poco della pandemia e di quei terribili tre mesi di chiusura nelle nostre case, ormai oltre tre anni fa. Altri libri, in altre lingue, cominciano a narrare quei momenti. Per noi sembra essere più faticoso.
Io, per quanto posso, provo a raccogliere le forze. Ne ho bisogno, e probabilmente ne abbiamo bisogno tutti: abbiamo davanti un inverno che sarà difficile, di fuoco e sangue, e la maggior parte di noi non ha conosciuto inverni così. Siamo stati toccati, tutti, dal dolore, in modi diversi, e abbiamo giocherellato con quel nastro di seta che è la perdita, e puoi aggrovigliarlo o lisciarlo quel nastro, ma sempre nelle tue mani resta, qualunque sia la gioia che proverai di nuovo.
Adesso è più difficile. Siamo ancora storditi da un trauma e da quel trauma, sia che l’abbiamo negato sia che l’abbiamo accolto, è ancora qui,  e non abbiamo fatto in tempo o voluto ragionarci sopra.
E’ un sistema che mostra le crepe, questo in cui viviamo, e scava fossati e solitudini, e lascia povertà e angoscia, e sarebbe bello se riuscissimo, se non a ribaltarlo, a immaginare almeno strade diverse per il dopo.
Ma siamo ancora nel durante, ed è per questo che provo a raccogliere le forze, a fare l’essenziale (le piante, i gatti, gli impegni cui comunque tener fede). E, maledizione, sperare.
L’aria che ora è limitata e secca
Più limitata e secca della volontà
Insegnaci a aver cura e a non curare
Insegnaci a starcene quieti.
Eliot, Mercoledì delle ceneri

Un pensiero su “AVERE CURA E NON CURARE

  1. È vero, non riusciamo a parlare di quel periodo. C’è stato qualche timido tentativo, mi viene in mente il libro di Baiani sulle case, ma ci fermiamo, appunto, al luogo. Il periodo della pandemia, almeno il primo quella da marzo a giugno, aveva in sè la speranza di diventare migliori. Speravamo nel cambiamento del modello di società, nell’attenzione all’ambiente, al miglioramento dei servizi e, invece, ci siamo ritrovati più delusi e con guerre dietro casa. Forse, la cosa di cui ci dobbiamo più prendere cura è la speranza.

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