BAUDRILLARD E SANT'AGNESE: A PROPOSITO DEL TEMPO

“Le immagini, osservandoci, diventano autonome, acquistano una potenza autonoma e ci prendono in ostaggio. Al punto che diventiamo noi stessi un’immagine, senza identità, se mai questa sia esistita. A questo punto, nel concatenamento delle immagini, non siamo che un anello. Non c’è più il soggetto che guarda con un principio di giudizio, di piacere e altro. Al posto di tutto ciò subentra un passaggio di immagini su una banda magnetica. E là ritroviamo una sorta di scrittura automatica del virtuale”.
Nel 2013 Jean Baudrillard pubblica L’Èchange impossible (“Lo scambio impossibile”, editore Galilée), che secondo Enrico Baj si basa su tre teoremi: “Il primo riguarda l’incomprensibilità del mondo, ove sembra che compito del pensiero umano sia quello di renderlo ancora più enigmatico e incomprensibile. Col secondo teorema si afferma che questo nostro mondo delirante va osservato da un punto di vista delirante. L’ultimo punto riguarda il gioco e il giocatore, con l’affermazione che il giocatore non può mai essere più grande del gioco stesso”.
Impressionante pensarci otto anni dopo, otto anni che sembrano cento e anche di più. Baudrillard sosteneva, in parole poverissime, che in un mondo senza desideri, e dove anzi il desiderio è attribuito alle macchine cui si deve le realizzazione di un universo perfetto, si cambia senza divenire: “Questo cambiare senza divenire è il mondo del virtuale. È la possibilità di adottare tutte le forme che è specifica di un certo lavoro sul computer e che costituisce una sorta di morfismo. E il morfismo in questo continuo cambiamento formale è esattamente il contrario del concetto di metamorfosi”.
Parto alta per arrivare a considerazioni molto più semplici come la percezione del tempo quotidiano: nell’ultimo anno (o quasi) il nostro problema numero uno è stato proprio questo. La difficoltà a contare i giorni. Improvvisamente, a marzo del 2020, il tempo si è fermato, dilatato, si è disteso davanti a noi in giornate che non avremmo immaginato, o che forse i più anziani di noi potevano, se non ricordare, comparare. Ma allora avevamo un termine ideale: gli inizi di giugno, l’estate, il momento in cui le cose sarebbero “tornate normali” e le nostre vite, sia pure con delle limitazioni, avrebbero ripreso il ritmo conosciuto. Non sarebbero state lunghe e stranamente (a volte, sia detto, piacevolmente, altre volte, sia detto soprattutto, drammaticamente) vuote.
Il problema forte di questi ultimi mesi è non saper dare un termine: o aver capito che un termine esatto non può esserci (quando? l’estate? il prossimo autunno? a vaccinazione terminata? nel 2022?). Il nostro problema è anche aver capito che le macchine così come le intendeva Baudrillard possono aiutarci fino a un certo punto: ci intrattengono e ci permettono di lavorare, ci consolano facendoci fare acquisti e mettendoci in contatto con le persone che amiamo e anche con quelle che non conosciamo, ma sono appunto un rimedio e non un’utopia.
Parto alta e arrivo bassissima.
Oggi è il 21 gennaio, Sant’Agnese. Sono stata bambina in un tempo in cui il calcolo dei giorni avveniva anche attraverso i santi. Dunque, nella mia infanzia si celebrava il 21 gennaio, perché nella chiesa di Sant’Agnese ho fatto la comunione in un tripudio di pizzi bianchi, dopo la preparazione spirituale che era in realtà un pari tripudio di wafer al cioccolato e gassosa. Sant’Agnese era una bambina in un campo di gigli con un agnellino fra le braccia: prima del martirio che le avrebbe fatto raggiungere il prato fiorito era soltanto una bambina di cui si era invaghito il figlio del prefetto di Roma. Agnese lo allontanò gentilmente, spiegandogli di aver fatto voto di castità. Bene, disse il prefetto, allora vai in clausura fra le vestali a omaggiare la dea, che probabilmente era Diana o Cupra. Quando Agnese rifiuta, la chiudono in un bordello, ma nessuno osa toccarla, tranne un uomo che però viene accecato da un angelo bianco, ma Agnese intercede e Dio gli rende la vista. Strega, dicono gli accusatori: Agnese viene condannata al rogo, ma le fiamme si dividono sotto i suoi piedi. La spogliano nuda per umiliarla e i capelli crescono fino alle caviglie e la coprono. A quel punto la decapitano e la seppelliscono nelle catacombe, e qui non finisce, perché la sua sorellina di latte, Santa Emerenziana, viene a piangere sulla tomba di Agnese e viene prontamente lapidata, e le sue reliquie sono in parte in una cassa d’argento nella chiesa di sant’Agnese e in parte nella chiesa che porta il suo nome, e che sta vicino viale Libia, dove adolescenti noi si andava a guardare i negozi, a prendere il gelato e al cinema Triumph a vedere i film di Dario Argento, con le dita allargate sugli occhi.
Non è un tempo da rimpiangere, evidentemente. E’ un tempo che ci ha modellato, e che non ha trovato una sostituzione parimenti rassicurante. E il problema è che, da umani, cerchiamo rassicurazioni e quando le perdiamo, come ora, siamo smarriti, incerti. Rabbiosi, anche: a meno di non iniziare a rifletterci su.

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