BIBLIOGRAFIA DISARMATA: ADAM BROOMBERG

Adam Broomberg (Johannesburg, 1970). Broomberg è un fotografo e un artista. Quando lavorava insieme a Olivier Chanarin è stato premiato per il lavoro fatto sulla guerra. Si occupa di rifugiati. C’è un libro fra gli altri, Holy Bible, che documenta gli orrori dei conflitti. Dal 2021 lavora come solista.  Insegna  fotografia presso la Hochschule für bildende Künste (HfbK) di Amburgo.
Nel 2008 il duo ha dato vita a quella che è nei fatti una performance, The Brother’s Suicide, sulle immagini di guerra e di sofferenza, su cui dovremmo interrogarci tutti, e non solo rileggendo Susan Sontag.
Tutto questo per dire che Broomberg non è esattamente l’ultimo arrivato e che anzi è molto titolato a dire la sua sulle immagini e su quello che le immagini ci dicono.
Ieri, sui suoi canali social, Broomberg ha postato questa riflessione a proposito dell’iperdiscusso servizio fotografico di Annie Leibowitz per Vogue, che ritrae Olena Zelenska, moglie del presidente ucraino Volodymyr Zelensky (e anche lo stesso Zelensky). Il post, tradotto molto in corsa, è questo:

“Ecco tutto ciò che c’è di sbagliato nel mondo e che mostra come la fotografia possa intersecarsi con quel mondo. Usare una zona di guerra come sfondo per un servizio fotografico di @annieleibovitz per @voguemagazine è ignobile. Far posare la First Lady sullo sfondo di un aereo distrutto dove presumibilmente sono morte delle persone. Raffigurare un politico come un eroe iconico senza alcuna sfumatura e comprensione del suo ruolo in questa brutale guerra che dura da 155 giorni. Una raffigurazione superficiale  e patinata di un eroe nel canone di Hollywood. Tutto il modo in cui questo conflitto è stato rappresentato, dalla gerarchia dell’empatia sui profughi bianchi all’analisi nel canone “cowboy e indiani” del conflitto. In qualche modo, penso che queste immagini confermino il nostro bisogno di una visione binaria del mondo, i buoni e i cattivi, e di un modello obsoleto di eroi maschi con le loro donne che li supportano. Nel frattempo i giovani senza volto e per ora senza nome muoiono quotidianamente. Non fraintendetemi: non sto in alcun modo sostenendo Putin ma questa sessione fotografica alimenta tutte le idee patriarcali, eteronormative, tossiche che rendono la guerra inevitabile”.

Si può essere d’accordo o meno con Broomberg, certamente. Non è sufficiente avere una lunga storia di competenze sul punto, certamente di nuovo. Ma quel che sta avvenendo, su questa come su altre vicende, è che è diventato quasi impossibile dirlo. Leggo di amici e non sempre chiari compagni (cit.) che si comportano come adolescenti, ripostando le parole di altri e dando loro dei putiniani o, quando va molto molto bene, dei moralisti.  E viceversa, certamente ancora. Tutto questo è veleno. Lasciamo aperta la possibilità di discutere seriamente (serenamente è un po’ dura) su questo e altri punti, senza che scatti la trappola dell’appartenenza. Mi suscita tristezza il fatto che Broomberg chieda nelle ultime due righe di non essere frainteso. Naturalmente lo sarà. Naturalmente lo sarò anche io, e ci sarà di certo qualcuno che mi darà (a me!) della putiniana. Vi renderete conto che non facciamo un solo passo avanti in questo modo. E se dite che abbiamo qualcosa di più importante di cui occuparci la risposta è, ancora una volta, certamente. Ma cucire la bocca a chi questo fa nella vita (l’artista, lo studioso di immagini) è pericolosissimo.

Lascio il post aperto: per un mese il blog non sarà aggiornato, come avviene regolarmente ad agosto, che è tempo di pausa, di scrittura, di riflessione. Che l’estate porti consiglio, commentarium. Ci si rilegge a settembre.

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