BIBLIOGRAFIA DISARMATA: IL MANIFESTO DELLE 343

Il Manifesto delle 343 (5 aprile 1971). Questa mattina ho letto alcuni tweet di Claudia Durastanti, lucidi e intelligenti come sempre. Riguardano l’annuncio di alcune aziende americane (parecchie: Amazon, Meta, Apple e molte altre) che pagheranno le spese di viaggio alle dipendenti che intendono abortire in stati dove l’interruzione di gravidanza resterà accessibile). Scrive Durastanti:

“Le aziende che si offrono di pagare le spese di viaggio per abortire alle proprie dipendenti non stanno esattamente sostenendo un diritto, stanno contribuendo alla sua privatizzazione e segmentazione in maniere che sconfinano nel Get your abortion on Amazon Prime”.

Esatto e pericolosissimo, come tutta l’appropriazione a fini di marketing dei diritti: qualcosa di molto simile a quanto fece quella marca di assorbenti che rimborsava l’Iva. Comodo, facile, e deviante: perché è lo Stato a doversene fare carico e cittadine e cittadini a doverlo pretendere, invece di, appunto, riportare tutto al sé e farsi veicolo pubblicitario. Allo stesso modo, in altro ambito, come ricordava Wolf Bukowski, i gruppi di americani degli anni Ottanta ripulivano i parchi malcurati invece di pretendere nuove assunzioni nei servizi pubblici.
Io e ancora io, e se questo non è un gigantesco problema politico non so quale sia.
Duque, le 343. Il testo del manifesto viene pubblicato su Le Nouvel Observateur. E’ stato scritto da Simone de Beauvoir:

“Ogni anno in Francia, abortiscono un milione di donne.
Condannate alla segretezza, sono costrette a farlo in condizioni pericolose quando questa procedura, eseguita sotto supervisione medica, è una delle più semplici.
Queste donne sono velate, in silenzio.
Io dichiaro di essere una di loro. Ho avuto un aborto.
Così come chiediamo il libero accesso al controllo delle nascite, chiediamo la libertà di abortire”

Tra le firmatarie, oltre alla stessa Simone de Beauvoir, Catherine Deneuve, Tina Aumont, Marguerite Duras, Gisele Halimi, Violette Leduc, Jeanne Moreau, Françoise Sagan,Agnès Varda.

Pochi mesi dopo, in Germania, fu la volta della rivista Stern, che intitolò il numero del 6 giugno 1971 Wir haben abgetrieben! “Abbiamo abortito!” con la firma di 374 donne, fra cui  Romy Schneider e Senta Berger.

Ms. Magazine di Gloria Steinem seguì l’esempio nel 1972 con la lettera “Noi abbiamo abortito”, che venne sottoscritta fra le altre da  Nora Ephron, Anais Nin, Billie Jean King.

Quelle donne rischiavano, firmando le lettere, in un momento in cui abortire era reato. Nessun marchio desideroso di aumentare la propria credibilità intervenne: non era necessario, c’era il gruppo, c’era la comunità. Oggi, tocca essere due volte attenti: per non veder abolire i diritti, per non vederli trasformati in marketing.

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