Shere Hite (1942-2020). Cos’è una rivoluzione pacifica? E’ quella che passa anche per le parole. Le parole di Shere Hite hanno cambiato molte cose nella storia delle donne, e non solo, da quando, a 34 anni, pubblicò Il rapporto Hite – uno studio sulla sessualità femminile, oltre 500 pagine con interviste a 3.500 donne, tradotto in una quindicina di lingue e che vendette 50 milioni di copie. Di cosa si parlava? Di sesso, contraccezione, gravidanza, aborto, masturbazione, lesbismo, menopausa, igiene intima. Cose, oggi, normali. Non nel 1976, non negli Stati Uniti.
Hite venne insultata, minacciata di morte, aggredita. Dai giornali e non solo. In particolare, Playboy ribattezzò il suo rapporto «The Hate Report» («Il rapporto dell’odio»). Al punto che Hite decise di lasciare gli Stati Uniti, rinunciando alla cittadinanza americana, per trasferirsi in Germania.
Quale fu la colpa, e quale la rivoluzione? Aver dato voce alle donne e parlato di piacere femminile: “troppi uomini sembrano ancora credere, in modo piuttosto ingenuo ed egocentrico, che ciò loro sentono come piacevole sia automaticamente piacevole anche per le donne”.
Come disse Erica Jong, “La maggior parte delle intervistate nei questionari di Hite pensava che la rivoluzione sessuale fosse un mito, che le avesse lasciate libere di dire sì ma non di dire no. Era aumentata la quantità di sesso, non la qualità”.
Hite era femminista. Lo divenne, si racconta, dopo aver partecipato a una campagna pubblicitaria americana per la macchina da scrivere Olivetti. Tra le frasi del claim: “She may be prettier than other typists, but she’s not necessarily brainier.”
Funzionava così. Da qualche parte, dentro alcuni pensieri, funziona ancora così.