BIBLIOGRAFIA DISARMATA: PAOLO SABBETTA

Paolo Sabbetta (1914-2008). Ogni volta che rimetto mano a una storia, piccola o grande, di pacifismo e nonviolenza, dico a me stessa che sto facendo un esercizio di memoria, nulla più. Memoria di storie altre dalla narrazione della guerra: certo, ci sarà sempre chi dirà – perché questa è la discussione oggi, questo è il modo di dire la propria sapendo che non si ha intenzione di confrontarsi davvero – che sono esempi inapplicabili al presente. Eppure, ci sono vicende del passato che vengono applicate al presente senza problemi. Questo non è un manuale: è un puzzle di quel che viene dimenticato, e tassello dopo tassello potrebbe, chissà, costruire un altro tipo di immaginario. Solo questo può fare chi ha soltanto parole da spendere: provare a costruire un tessuto culturale diverso, e pazienza per tutti coloro, e sono tante e tanti, che usano il pacifismo come capro espiatorio cui rivolgersi. Un po’ come succedeva con chi rifiutava il greenpass, ricordate? Il problema erano loro, non lo smantellamento del sistema sanitario. Pazienza.
Questa, dunque,  è una piccola storia di guerra e di resistenza non armata che si deve a un agronomo, Paolo Sabbetta, che nel 1942 era il direttore della tenuta di Tor Mancina, di proprietà dell’Istituto Sperimentale Zootecnico. Si trovava a Monterotondo, a qualche decina di chilometri da Roma e all’epoca includeva, sparsi in un migliaio di ettari, terreni agricoli e sette fabbricati: uffici e abitazioni per il personale, la Villa, la scuderia, il caseificio e così via. Vivevano là duecento lavoratori con le loro famiglie.
Il giorno dopo la proclamazione dell’armistizio gli aerei tedeschi sorvolano Monterotondo e la mitragliano. Se posso aggiungere un ricordo personale, è il giorno in cui mia madre, ventenne, deve percorrere a piedi la strada da Roma a Marino, dove abitava con mia nonna, perché anche alcuni treni e pullman vennero appunto mitragliati, e uno dei suoi racconti – non frequenti, in verità – riguardava quella marcia di 27 chilometri fra cadaveri di uomini e di cavalli sventrati.
Torniamo a Monterotondo. Un battaglione tedesco deve occupare Palazzo Orsini, dove aveva allora sede  lo Stato Maggiore dell’Esercito: troppo tardi, perché sono già in fuga verso Ortona e poi Brindisi.  Nella tenuta di Tor Mancina vengono intanto accolti nella Villa, oltre al personale dell’Istituto, anche alcuni viaggiatori scesi dai treni diretti a Roma. Non sono i soli: in pochi giorni arriveranno anche i soldati italiani in fuga dopo l’armistizio, che vengono  fatti passare come dipendenti.
Ancora qualche giorno, e arrivano i tedeschi portando via bestiame e cibo. Sabbetta, per precauzione, fa distribuire grano, avena, patate, formaggio fra gli ospiti della Villa e informa il direttore generale dell’Istituto, Maymone, che si trova a Roma, e che riesce a ottenere un salvacondotto del generale Kesselring,  con il quale si vieta di requisire e di portare via il bestiame ed i beni aziendali. Non servirà.  Sabbetta continua a nascondere tutto quello che può: quintali di grano e di avena, pezzi di ricambio dei trattori e persino libri contabili e strumenti di laboratorio che vengono murati nel caseificio e nel sottoscala del museo, i maiali vengono intanto nascosti nelle grotte, le automobili di servizio, il camion, un motofurgone vengono sabotati e resi inservibili, parte della produzione quotidiana di latte viene sottratta e consegnataai soldati italiani e alleati e ai partigiani che si trovano alla macchia nella zona.
Nella primavera del 1944 il Governo fascista della RSI chiama alle armi le classi di leva dal 1924 al 1926. Una decina di dipendenti di Tor Mancina rimane in servizio senza arruolarsi con false generalità. Il 31 maggio, dopo il bombardamento da parte anglo-americana delle autocolonne tedesche in ritirata, si ordina a Sabbetta di trasferire il bestiame al Nord, con venti lavoratori della tenuta al seguito. Sabbetta se la cava con un espediente: un certificato di malattia e la sparizione del lavoratore. Venti certificati medici vengono consegnati. Sabbetta, per la tensione, sviene. Al risveglio, scopre che i tedeschi se ne sono andati senza di loro, e senza il bestiame.
A guerra finita, Sabbetta emigrerà in Francia, senza che la sua storia venga ricordata, se non dagli ostinati narratori di pace. Qui, per esempio, perché la sua vicenda è molto più lunga.

 

Un pensiero su “BIBLIOGRAFIA DISARMATA: PAOLO SABBETTA

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Torna in alto