BIBLIOGRAFIA DISARMATA: ALDO CAPITINI (SECONDA E ULTIMA PARTE)

Aldo Capitini (1899-1968). Mi chiedo come si possa citare Capitini a proposito di armi, a meno di non aver letto l’articolo 12 del suo Ragioni della nonviolenza, di cui oggi pubblico la seconda e ultima parte. O a meno di aver compreso e infine accettato e deciso di sostenere un pensiero militaresco in cui siamo scivolati mese dopo mese, e che sembra non turbarci più, o turbarci molto poco. In “Mai devi domandarmi” Natalia Ginzburg scriveva: “La vecchiaia vorrà dire in noi, essenzialmente, la fine dello stupore. Perderemo la facoltà sia di stupirci, sia di stupire gli altri. Noi non ci meraviglieremo più di niente, avendo passato la nostra vita a meravigliarci di tutto; e gli altri non si meraviglieranno di noi, sia perché ci hanno già visto fare e dire stranezze, sia perché non guarderanno più dalla nostra parte. […] L’incapacità di stupirsi e la consapevolezza di non destare stupore farà sì che noi penetreremo a poco a poco nel regno della noia. La vecchiaia s’annoia ed è noiosa: la noia genera noia, propaga noia intorno come la seppia propaga l’inchiostro. Noi così ci prepareremo ad essere assieme e la seppia e l’inchiostro: il mare intorno a noi si tingerà di nero e quel nero saremo noi: proprio noi che il colore nero della noia l’abbiamo odiato e rifuggito tutta la vita. Fra le cose che ancora ci stupiscono c’è questo: la nostra sostanziale indifferenza nel sottostare a un simile nuovo stato. Tale indifferenza è provocata dal fatto che a poco a poco veniamo cadendo nell’immobilità della pietra”. Credo che ci stia succedendo questo, indipendentemente dall’anagrafe. Ma speriamo, comunque.

Aldo Capitini: 20 ragioni della nonviolenza (da 11 a 20)

11 Dire nonviolenza è come dire apertura in tutti i campi, occuparsi degli esseri viventi in modo concreto e aiutarli (che è anche un modo per avere forza in se stessi); tenersi pronti per sostenere cause giuste e meritare il nome di essere perfettamente leale; riconoscere che negli errori degli altri c’è sempre una qualche responsabilità e possibilità attiva per noi; perdonare facilmente al passato nella serietà di impegni migliori per il futuro; invidiare Dio che può conoscere più da vicino tutti gli esseri e aiutarli infinitamente; tendere a costituire comunità di vita con più persone e famiglie in modo che ci sia uno scambio più attivo e un’educazione comune dei piccoli; essere più sensibili ad ogni altro valore pratico e contemplativo (l’onestà, l’umiltà, la musica, ecc.); essere più fermi nella serietà e severità quando occorra (per es. contro le ingiuste e molli raccomandazioni); cercare di estendere il rispetto della vita quando è possibile (per es. col vegetarianesimo, ma facendolo bene perché non sia dannoso) e assecondare dalla fanciullezza la zoofilia; utilizzare l’appassionamento universale per la massima valorizzazione degli esseri per arricchire l’attenzione nel tu rivolto a un singolo essere, perché non sia isolato e stagnante; attuare quotidianamente la gentilezza costante, senza ipocrisia e con franchezza; portare in ogni situazione un’aggiunta di ragionevolezza umana e di comprensione reciproca; garantire una riserva di serenità per il fatto che la nonviolenza è qualche cosa di più rispetto alla semplice amministrazione della vita.
12 La nonviolenza non sta in un individuo astratto, ma è da individui a individui in situazioni, strutture, grandi problematiche e urgenti realizzazioni. Un modo in cui si fa presente è, come abbiamo visto, quello del pacifismo integrale. Il che vuol dire non solo il rifiuto di collaborare alla guerra e guerriglia, e a ciò che inevitabilmente le accompagna, il terrorismo contro i civili e la tortura sui prigionieri; ma anche la scelta del disarmo unilaterale, unito all’addestramento all’azione del metodo nonviolento. Perciò la nonviolenza indica il pericolo dell’equilibrio del terrore, durante il quale eserciti e industrie alimentano di armi tutto il mondo, da cui conflitti grandi e piccoli; indica gli spegnimenti della democrazia che vengono fatti per allinearsi in grandi blocchi politico-militari; mostra l’immenso consumo di denari nelle spese militari invece che nello sviluppo civile. Le Nazioni Unite, come insieme di sforzi per dominare razionalmente le situazioni difficili e per provocare continuamente la cooperazione, sono sostenibili, anche perché tutte le trasformazioni rivoluzionarie che la nonviolenza porta, sono sempre il fondamento e l’integrazione di quelle decisioni razionali e giuridiche che gli uomini prendono, quando esse sono un bene per tutti. Certo, il nonviolento non si scalda per il governo mondiale,che potrebbe diventare arbitrario e oppressivo, ma per il suscitamento di consapevoli e bene orientate moltitudini nonviolente dal basso.
13 La nonviolenza vuole la liberazione di tutti, e non cessa mai di portare l’eguaglianza a tutti i livelli. Ora un problema molto importante è che l’uomo non subisca la violenza mediante il lavoro. Il lavoro è uno dei modi che l’uomo ha (non il solo) per esprimere la sua personalità, ed è perciò positivo, un diritto-dovere, una partecipazione alla comunità. Ma va sempre più realizzato il fatto che ogni lavoro è verso tutti, e in certo senso pubblico, non privato e sottoposto a condizioni di servitù e di sfruttamento. Difendere e sviluppare la posizione di tutti i lavoratori vuol dire renderli sempre più capaci di eguaglianza di fruizione della vita comune, nei beni materiali e nei beni culturali, mediante la formazione nell’adolescenza e mediante il tempo libero, e capaci di partecipazione attiva, civica, critica, costruttiva. Perciò i provvedimenti per cui la proprietà viene resa pubblica e controllata, cioè aperta e non chiusa (socialismo) snidano la violenza sostanziale di chi si vale della proprietà per alienare gli uomini, staccandoli dal loro pieno sviluppo nonviolento e creativo sul piano orizzontale di tutti.
14 Il grande fatto della metà di questo secolo è il discorso sul potere. La nonviolenza, meglio di ogni altro atteggiamento, può indicare quanta violenza si annidi nel vecchio potere. Si è constatato che la statalizzazione della proprietà non toglie la durezza del potere. Non basta far cadere le posizioni della proprietà privata perché “il potere operaio” abbia il diritto di tutto costruire. Il problema non è che nuova gente arrivi, in un modo o in un altro, al potere; ma che il potere sia esercitato in modo nuovo; altrimenti è meglio continuare a lottare e formare un terreno più favorevole per arrivare ad un “potere nuovo”, magari cominciando da forme di potere locale, dove è meglio possibile attuare tipi di “potere aperto”, che conta sulla costante collaborazione degli altri e possibilmente di tutti.
15 Che fa la nonviolenza davanti alla legge? La scruta per intenderla, per integrarla con l’animo, per migliorarla, per ridurre la violenza. La legge, come decisione razionale, che riguarda azioni da comandare o da impedire, non può essere respinta senz’altro per sostituirla con la naturale istintività individualistica umana. La legge è una conquista della ragione, e spesso merita di essere aiutata. Ma il nonviolento l’aiuta a modo suo. L’accetta quando è molto buona. Consiglia di sostituire progressivamente alla esclusiva fiducia nei mezzi coercitivi, lo sviluppo di mezzi educativi e di controllo cooperante di tutti. Fa campagne per sostituire leggi migliori, quando le attuali sono insoddisfacenti e sbagliate. Errato è insegnare a ubbidire sempre alle leggi e a non volerle riformare, come se non esistesse la coscienza e la ragione. La nonviolenza aiuta a capire che non basta dire: “Noi siamo autonomi e ci diamo perciò le nostre leggi”. Bisogna aggiungere: “E le nostre leggi hanno l’orientamento di realizzare la nonviolenza come apertura all’esistenza, alla libertà, allo sviluppo di tutti”.
16 In questo tempo in cui la nonviolenza allarga e approfondisce le sue responsabilità, essa si trova davanti il potere delle autorità religiose, e l’urto è inevitabile. Tali autorità pretendono di decidere su violenza e nonviolenza. La nonviolenza porta una sua prospettiva, di un sacro aperto e non chiuso, del valore di raggiungere l’orizzonte di tutti come superiore al cerchio dei credenti. Il credente nonviolento finisce col trovarsi più volentieri a fianco del nonviolento di un’altra fede che con le “autorità” della propria fede. Lo spirito di autoritarismo che pervade tutto il corpo ecclesiastico cerca di scacciare proprio quello spirito della nonviolenza aperto all’interesse per ogni singolo nel suo contributo e nel suo sviluppo, e impone una assenza di violenza che è passiva obbedienza. Ben altro è la nonviolenza aperta, che non ha paura di nessuna autorità, ed è sicura di farsi valere prima o poi.
17 La nonviolenza non è soltanto una cosa della vita e nella vita. Nel suo sforzo continuo di migliorare il rapporto tra gli esseri, e di congiungere più saldamente la vita del singolo con la vita di tutti, avviene effettivamente un’influenza sulla così detta “natura”, che è la vitalità, la volontà di forza, di vita come vita, come piacere, come guadagno e profitto, come potenza, come riposo utile, come schiacciante energia dal seno stesso della realtà fisica. Il Vesuvio sterminatore osservato dal Leopardi e che uccise tanta gente; l’acqua di un’inondazione, che copre indifferente un sasso e il volto di un bambino, sono aspetti della natura. Ma natura è anche la vitalità che spinge il bambino a nascere e a crescere; la forza che ci affluisce ogni giorno mediante il cibo, il riposo, l’aria. Non si può tagliare da noi tutta la natura; ma si può scegliere: o svilupparci come bruta natura, o svilupparci come crescente nonviolenza verso gli esseri, rimediando la crudeltà della natura e proseguendola nel buono, nel vivo, trasformandola progressivamente.
Perché al limite estremo c’è la sua trasformazione e il suo portarsi al servizio di tutti gli esseri affratellati. Un atto di nonviolenza è perciò anche un atto di speranza in questa trasformazione della cruda forza della natura.
18 Ma la nonviolenza non soltanto progredisce come rapporto. Essa qualche volta ha a che fare direttamente con la morte: è rifiuto di dare quella morte determinata, è constatazione dell’impotenza davanti ad una morte, è l’improvviso trovarsi a dire un tu ad un essere che ci sembra non lo riceva più perché è morto. Il nonviolento, che fonda molto della sua decisione sul rispetto della vita, può anche semplicemente confermare, davanti alla morte, il proposito di non darla, e accomunare i morti in una cara memoria dei singoli e in una generale pietà. Ma può anche considerare ogni morte come una crocifissione che la natura fa di ogni essere, come l’impero di Roma lo faceva per i ribelli; e se ogni morte è una crocifissione, il morto non è spento ma risorge nella compresenza di tutti. Così la nonviolenza può condurre a vivere questo grande mistero della compresenza di tutti, viventi e morti.
19 Vista ora nell’insieme di queste possibili attuazioni e prese di influenza e di azione su una realtà che oggi parrebbe così contraria ad essere penetrata dalla nonviolenza, essa mostra il suo posto, l’aggiunta che fa al mondo presente. È facile la profezia che ancora gli imperi militari-industriali del mondo concentreranno forze immani. Ma la nonviolenza ha cominciato ad aprire in ogni paese un conto, in cui ognuno può depositare via via impegni e iniziative. Se si pensa alla creatività teorica e pratica di pochi decenni, si sente la crescita potenziale di una Internazionale della nonviolenza. Bisogna riconoscere che, indipendentemente dalle altre sue teorie, Gandhi, con la formazione del metodo di azione nonviolenta, ha dato il più grande contributo all’era della nonviolenza; e così ogni altro grande attuatore del metodo nonviolento, e suo testimone, ci è fratello e padre. Nessuna paura e nessuna fretta, nessuna gelosia e nessuna presunzione, per l’organizzazione: possono sorgere innumerevoli centri per l’addestramento alle tecniche del metodo nonviolento
20 E se da questo largo quadro torniamo al semplice e singolo individuo che prende interesse per la nonviolenza, che prova a sceglierla, che vede di poter resistere al pensiero della violenza come soluzione, che non si impiglia nella casistica dello schiaffo e del non schiaffo, del bambino ucciso e non ucciso, perché non tutto sta lì, e bisogna rifarsi al quadro generale, vediamo che lo stesso processo di sviluppo c’è in grande come c’è in piccolo, nel mondo e nel singolo individuo. Noi abbiamo ancora molta violenza addosso, come ce l’ha il mondo. Se uno per togliersela si isolasse da eremita, sbaglierebbe, perché si priverebbe di tutte le occasioni per far progredire in sé e nel mondo la nonviolenza, che è amore concreto, e per riprenderla, se l’avesse trascurata.

Un pensiero su “BIBLIOGRAFIA DISARMATA: ALDO CAPITINI (SECONDA E ULTIMA PARTE)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Torna in alto