In Francia passa (anche se si sperava di no) la legge-mannaia per chi scarica contenuti da Internet. Ne parla Vittorio Zambardino qui.
Credo che sia utile, per i difensori a oltranza del diritto d’autore da estendere alla rete, una nuova visione di un video che su Internet ha avuto un enorme successo. Molti di voi lo ricordano, altri, credo non lo conoscono. Quindi, lo ripropongo.
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Io ci ho un problema con sti temi.
Premetto che proprio in questi giorni mi sono scaricata robbe musichine pazzesche che se me le compravo tutte dovevo vendere casa. Come utente amo questa faccenda.
Poi penso a me che scrivo una cosa seria, non ir blog facciamo una cosa vera che ci si fa un mazzo a strisce a scriverlo. Un mazzo tanto a editarlo, un mazzo a strisce a concretizzarlo. E me lo mettono a gratis sulla rete.
Io capito ci sto tre anni sopra. E se lo leggono a gratis.
Non è bello ecco.
Peggio ancora – come mi è successo con il blog – che una mi scriva:
“senti ho trovato questo tuo post di critica letteraria fichissimo e allora sai che faccio ti prendo l’idea tua e la ripropongo in un articolo per rivista ficherrima”.
“Si per me va benone, puoi citare la fonte?”
“No no me pare brutto copio proprio l’idea e lo pubblico sulla rivista accademica fichissima”.
E al mio imbarazzo mi è stato detto.
“Beh guarda come sono stata onesta, ti ho pure avvertita!Che ti credi non ero obbligata”
Ecco io ci sono rimasta un po’ male. Mi sono sentita impotente.
Magari dici te non ci entra niente.
Zauberei, per me la rete è e deve essere gratuita: parlo della produzione di contenuti, come il blog. Il bello, al contrario, è proprio questo.
Certo, altra cosa è chi utilizza la tua idea: il copyleft prevede che chiunque possa citare le tue parole, ma indicando la fonte, e non utilizzando il tutto a fine di lucro. Ergo, la tua interlocutrice commette un abuso.
@zauberei. Taglio con l’accetta e semplifico al massimo: la modalità copyleft consente entrambe le cose, la tutela dell’autore e nel contempo la diffusione gratuita dell’opera.
Quando hai tempo, fatti un giro sul sito di Antonella Beccaria (giornalista). Il link è qui accanto, tra quelli segnalati dalla Lippa. Tutti i libri di Antonella sono scaricabili gratis lo stesso giorno in cui escono in libreria. Da anni si occupa di queste cose.
Ciao.
Oops, la mi risposta si è accavallata e incrociata con quella di Loredana.
Infatti 🙂
Pure per me la rete deve essere gratuita!
E vi ringrazio per il link. che dopo ci guardo.
E mi piace scriverci a gratis. E mi piace leggerci e starci ecco.
E mi piace però poter scegliere.
Ora io sono Zauberei Putipù cioè il rischio che orde di lettori vogliano la mia opera è abbastanza relativo ecco:)) Questo forse rende la mia capacità di controllare le mie cose più facile. Ma ecco se invece diventa incontrollata questa cosa? Se io non voglio che il mio oggetto sia in rete e quello ci va comunque?
In ogni caso forse dovrei prima vedere il Beccario blog.
Magari fatti un giretto qui (e sui link segnalati). Ho dato uno sguardo veloce, ma credo possa essere un sito utile. Scusa vado di fretta:
http://www.copyleft-italia.it/
Nel caso specifico il problema del copyright è secondario. Non ha importanza se le intenzioni siano buone o no, o se le attuali leggi sul diritto d’autore siano giuste, il punto cruciale qui è la censura.
Si crea un’organizzazione che sulla base del mero sospetto, senza l’autorizzazione di un giudice e senza che debba rispondere delle proprie azioni, può staccare la connessione a Internet a chi gli pare.
Questo metodo sarà abusato. Si è già visto quando sono apparse su Wikileaks le liste dei siti censurati dai governi in Australia e Danimarca: la teoria diceva che in quelle liste dovevano finire solo i siti pedofiloterroristi, in pratica c’è di tutto, da normali siti pornografici, a siti P2P, al sito privato di un dentista(?), siti di giochi d’azzardo e di tutto di più e alla fine il sito di Wikileaks dov’era disponibile la lista è finito anche quello nella lista stessa.
In Francia la libertà di espressione sarà sottoposta alla censura di un ristretto gruppo di individui che nessuno ha eletto e che nessun giudice ha autorizzato. Il copyright (come i pedofili e i terroristi) è poco più di una scusa.
Il bello è che non ci sarà davvero bisogno di censurare chissà quanta gente: già il sapere che ti possono staccare la connessione come pare e piace sarà sufficiente perché buona parte delle persone ci pensi due volte prima di esprimere pareri “sgradevoli”.
E non c’è niente da fare: è possibile che la legge sia trovata incostituzionale, venga bocciata dall’Europa o sia ritirata dopo una protesta popolare (è successo così in una situazione analoga in Nuova Zelanda), ma questo rimanda solo l’inevitabile. Ai politici e ai loro amyketti non costa niente riproporre la stessa legge mese dopo mese, magari con qualche marginale modifica, invece organizzare ogni volta una protesta è molto più dispendioso. Alla fine leggi simili saranno approvate.
D’altra parte il Ministro della Cultura(?) francese ha dichiarato che Internet non è un servizio vitale per il cittadino, dunque non c’è nessun problema.
Più passa il tempo più mi convinco che un sistema draconiano alla Heinlein farebbe bene alle attuali “democrazie”.
La questione e’: i prodotti dell’ingegno, della creativita’, dell’immaginazione ecc. sono (o possono o debbono) essere merce?
Il copyleft e’ solo una parte del problema. O no?
Alessandro: per me no. Il caso Radiohead (e centinaia di casi di scrittori) dimostrano oltretutto che la diffusione gratuita non diminuisce le vendite del prodotto. Per me, la scelta è il doppio binario: gratis in rete, a pagamento fuori.
Totalmente d’accordo con Gamberetta.
E consiglio a tutti di andarsi a rileggere la proposta Carlucci, che coinvolge direttamente la Siae.
Il copyright non è altro che la testa di ponte per riuscire, ora che esiste la certezza del business, a sfruttare e controllare internet per fare business e non solo. Purtroppo non esiste un movimento d’opinione maturo in grado di contrastare voglia di controllo su internet e di censura; è in abbondante ritardo e continua ad esserlo nonostante i segnali di allarme ora siano più che evidenti. E questo tema è legato a doppia mandata al controllo della privacy e alla mole impressionante di informazioni che i provider, i motori di ricerca, i siti più frequentati, accumulano giorno dopo giorno su ognuno di noi. E utilizzano!
Sanno cosa visitiamo, cosa guardiamo, chi frequentiamo, dove ci troviamo mentre siamo collegati, che computer utilizziamo, quale browser, a chi abbiamo spedito mail, da chi le riceviamo, cosa contengono, quali programmi utilizziamo per chattare, per telefonare via internet, per comununicare. Una lista infinita di informazioni in grado di generare profili dettagliatissimi.
La norma emanata dal ‘liberale’ governo francese non è altro che la prova provata che ora è possibile, grazie a strumenti più potenti ed efficaci, controllare in dettaglio anche flussi importanti e, con la comparsa di strumenti adeguati e a costo inferiore, la tentazione di un approccio “cinese” a Internet, sta arrivando a tutti i governi. Governi che hanno gioco facile perché non esiste un movimento d’opinione credibile e sufficientemente diffuso in grado di combattere questa malsana idea.
Mi fa piacere che il tema incominci a destare interesse, ma ho la netta impressione che si sia in ritardo clamoroso.
Blackjack.
@Loredana: pero’ altri casi non dicono lo stesso. Sia nella musica che altrove. I giornali forse ne sono un esempio. La diffusione gratuita della merce-notizie ha contribuito in maniera sensibile a che le vendite diminuissero.
Alessandro: ma i giornali hanno subito in modo possente la concorrenza della free press, non solo della rete. A mio modesto avviso, credo che sia stata quella la spallata mortale.
Loredana, d’accordo con Gamberetta pure su una riforma alla Heinlein per le nostre “democrazie”? Aiuto!
No, ma non mi sembrava la cosa più importante, sai Paolo?
La domanda non era polemica né oziosa. Stavo per scrivere un comment di adesione identico al tuo, prima leggere le ultime due righe di Gamberetta. Poi sono andato in loop, perché mi sono fermato a pensare in che modo si potrebbe far crescere la responsabilità individuale senza arrivare a casi fantasociali estremi come quelli di Heinlein. E sono ancora fermo in quel loop.
@loredana
Su quotidiani e freepress: difficile dirlo. In teoria, i freepress non si pongono come una seria alternativa ai quotidiani “di qualità”, perché intercettano una fascia di lettori che normalmente non leggerebbe il giornale. E’ azzardato pensare che City e Leggo facciano perdere copie a Repubblica o al Corriere (forse al Resto del Carlino sì). Secondo me, al primo posto tra le cause del declino dei quotidiani, c’è la presenza di informazione di qualità – e ovviamente gratuita – su Internet.
Il punto, più in generale, è un altro: si è imposta nel pubblico la convinzione che le notizie siano un bene gratuito. Il problema è che questo bene ha dei significativi costi di produzione, che la pubblicità su Internet non è, al momento, in grado di coprire. Non con le attuali redazioni. Non con l’attuale qualità (n.b.: non sto dicendo che la qualità oggettiva dei quotidiani cartacei e online italiani sia particolarmente buona, anzi).
I dati dimostrano che, in tutto il mondo, l’acquisto e la lettura di giornali cartacei sono in picchiata, mentre l’uso di Internet è in ascesa ovunque, e con esso la ricerca di notizie sulla rete. Si tratta, per gli editori, di trovare il modo di
a. monetizzare questo pubblico di lettori in ascesa (con quali forme questo sarà fatto, è tutto da stabilire: ritorno ai giornali online a pagamento, acquisto separato di ogni articolo, “schede a punti” che tengono conto del valore del contenuto richiesto…)
b. ripensare la funzione del giornale cartaceo. Già oggi, sugli avvenimenti di giornata, non ha quasi più senso “dare le notizie”: quasi tutte le informazioni sul giornale di oggi il lettore le ha già acquisite ieri in altre forme. Si dovrà tendere sempre più all’approfondimento, alla tematizzazione, e soprattutto ai servizi propri, alle inchieste, a un’informazione più aggressiva. Magari – e questo sarebbe, dal punto di vista della prassi professionale, un fatto molto positivo – non vedremo più, alle conferenze stampa, i capannelli di giornalisti di venti testate che si passano l’un l’altro le stesse notizie…
Io in verità penso che sia giusto che la rete sia per lo più grauita, quello che mi chiedo e se devo starci per forza e come evitarlo se voglio evitarlo. Concordo con chi dice che la pubblicazione on line può penalizzare le vendite di certi prodotti – e più si andrà avanti e più sarà così se è vero che la tendenza generale è questa. E se è vero che il mio portafoglio è questo. E se è vero che i costi di produzione dei beni concreti purtroppo si incorstano di materia che non riguarda il prodotto medesimo: per cui quando io compro un bene – una parte consistente del prezzo che pago è formata dagli anelli della distribuzione e dal costo della pubblicità. Internet è dunque una vendetta del mercato a cui il mondo della produzione dovrebbe ribattere ripensandosi un po’.
Può farlo scegliendo per esempio la strada di Wu Ming. Ma credo che sia democratico trovare il modo di far scegliere il produttore. Ora, quando io riesco a scaricarmi tutti i i ciddì tutti, di un autore che amo, vivo e vegeto, ci ho er vago sospetto che lui non lo abbia scelto, e che la rete si sia impossessata del suo lavoro. Mi parrebbe giusto invece che l’autore e il marchio che lo produce decidano.
Altra faccenda quella messa in luce da Gamberetta e da Giocatore d’azzardo. Hanno entrambi perfettamente ragione, e io non avevo pensato a questo aspetto sinistro e molto grave della questione. Stante i vincoli interni tra questi due aspetti, e forse le mie scarse competenze in tema, mi sembra come di trovarmi davanti a un interruttore tutto o nulla. Per cui devo scegliere tra una libertà hobbesiana (mi ricorda anche gli interrogativi che ci si pone quando si devono combattere i siti pedopornografici) e un controllo savonarolesco.
Sig.
Il punto sul copyright è che bisogna cambiare radicalmente il modo di pensare rispetto a prima dell’avvento e della diffusione della rete. La battaglia contro la condivisione di contenuti è iniziata da anni e non mi pare abbia prodotti risultati rilevanti, salvo qualche “vittima sacrificale” costretta a pagare multe più o meno onerose.
L’aggiunta di criteri legislativi repressivi probabilmente non farà altro che spingere all’utilizzo di programmi in cui lo scambio di dati sia cifrato: non si avrà la certezza di non farsi beccare, ma la priorità di un governo non sarà perseguitare con spreco di risorse chi condivide qualche disco o film.
L’episodio citato da zauberei è spiacevole, sicuro, ma quante volte qualcosa protetto da copyright viene utilizzato abusivamente? Poniamo che con quel pezzo zauberei avesse guadagnato qualche euro ma fosse stato comunque utilizzato altrove senza dare il credito all’autore originale, gli euro guadagnati ripagherebbero dell’abuso?
Quanto ai quotidiani italiani, be’, il calo delle vendite io lo imputo _anche_ alla qualità giornalistica, che pure quella è andata giù in picchiata negli anni. (Conosco molti ex-assidui lettori di quotidiani – 3 o 4 al giorno – che non ne comprano più perché si sono stancati di sfogliare x pagine per trovare – forse – un articolo davvero valido).
Saluti a tutti 🙂