CATTIVI E CATTIVE

Per prima cosa, davvero grazie a tutti quelli che hanno scritto qui, su Facebook, in giro per la rete, sulla vicenda di Navi a perdere. Di cuore. Vi darò notizie appena ne avrò anche io. Intanto, dal 2 ottobre, non perdete il nuovo ciclo di Blu Notte di Carlo Lucarelli. Prima puntata: la P2.
Inoltre. Riporto, con qualche ritardo, un articolo di Valeria Palermo uscito la settimana scorsa su L’Espresso. Su cui riflettere.
“La più brava tra le brave ragazze si è vista soffiare l’uomo, è storia nota, dalla più cattiva tra le cattive. Lui, poi, era Brad Pitt, quindi la perdita era rilevante. Le Jennifer di tutto il mondo hanno sofferto empaticamente con la Aniston e odiato con trasporto la Jolie, ma è servito a poco: la realtà resta quella stampata su milioni di magliette, “Le brave ragazze vanno in Paradiso, le cattive dappertutto”. E chi ha fretta di andare in Paradiso? Sicuramente poche. Certo non la cantante Rihanna: uno dei suoi più noti successi internazionali si intitola “Good girl gone bad”, brava ragazza diventata cattiva, e lei sembra contenta del salto di carreggiata. È la maledizione delle brave ragazze. Ovvero “The curse of the Good Girl”, libro di Rachel Simmons appena uscito negli Usa e già al centro di nervosi dibattiti. La tesi è che le “brave ragazze” da perdere hanno molto di più di un fidanzato: piuttosto, perdono tutti i treni che gli passano davanti, oppure – se li prendono – riescono a sedersi solo sugli strapuntini. Il loro problema? La mancanza di assertività. L’incapacità di farsi valere.
Rachel Simmons è una che il mondo femminile lo conosce bene: i suoi lettori lo sanno, per questo la spediscono regolarmente in testa alle classifiche di vendita. Nella top ten del “New York Times” era già entrata con il primo serio saggio sul bullismo in rosa (“Odd Girl Out: The Hidden Culture of Aggression in Girls”). Attualmente dirige il Girls’ Leadership Institute, scuola con programmi mirati a promuovere la fiducia delle adolescenti nelle loro potenzialità. E il suo libro sulla “maledizione delle brave ragazze” ci ha messo poco a diventare un nuovo bestseller: perché tocca una corda sensibile. Secondo l’autrice, a causa dell’educazione che non smettono di ricevere (dai genitori, dalla scuola, ma anche dai media), le donne passano la vita a fare i conti con un modello profondamente interiorizzato, quello della “brava bambina”: cioè disciplinata, operosa, brava studentessa, ragionevole, mai scomposta, ben educata, rispettosa delle regole. Quella che non alza la voce, non occupa spazi impropri, non tira fuori le unghie. Quella che dà tante soddisfazioni ai genitori e agli insegnanti, molte meno a se stessa, perché non sa essere “bitch” (in italiano, peccato, diremmo “stronza”). Il prodotto inevitabile, per Simmons, di una cultura all’insegna del “Sì, però”: sì, fatti sotto, però resta femminile. Sì, conquista il mondo, ma non dimenticarti che l’importante è apparire seducente. Sì, il mondo è tuo, ma non vorrai mica entrarci così spettinata.
Un modello che ibrida la femminilità quieta degli anni Cinquanta col Girl Power dei Novanta e le infinite Sexy Young Things contemporanee. Risultato? Grande è la confusione sotto il cielo, però Mao ne deduceva che proprio per questo tutto è stupendo, invece le brave ragazze restano intrappolate in percorsi personali e professionali incerti. Sì, sono le più brave all’Università, ma una volta fuori si lasciano passare davanti come razzi i coetanei maschi. Sì, sono le più affidabili sul lavoro, ma nelle stanze dei bottoni non ci entrano quasi mai. Sì, sono toste, ma quando si tratta di chiedere un aumento gli va via la voce perché detestano i conflitti e temono di non essere più amate. Sì, sono competenti ed efficienti, ma fanno fatica a far valere le loro opinioni, nelle quali, ogni tanto, sembrano non credere nemmeno tanto. Perché tra i vari soffitti di cristallo contro cui andranno a sbattere nella vita, quello più duro se lo mettono sulla testa loro. Suona familiare? Per forza. Non si contano più le ricerche che ci dicono che le ragazze sono dei draghi durante gli anni della formazione, poi docilmente si acquietano. Leggere il bellissimo “La resistibile ascesa delle donne in Italia” di Francesca Zajczyk (Il Saggiatore) per avvilirsi. L’ultimo report, di una settimana fa, definisce quanto ci rimettono le italiane (tra le altre), a fare le brave ragazze per tutta la vita e ad autocensurarsi le ambizioni: l’equivalente di 186 mila dollari. Non proprio uno scherzo, ma la cifra viene fuori da un facile calcolo: secondo il rapporto Ocse “Education at a glance 2009”, in Italia una laurea frutta nell’arco della vita lavorativa di un uomo 322 mila dollari in più nel portafoglio rispetto al reddito medio, però per le donne il bonus si arresta a quota 136 mila. Costa caro non riuscire a essere “bitch”. «L’esaltazione della “bitch” è molto americana. A me non piace. In realtà si diventa leader se si hanno strategie, e il potere ha regole sue, non intrinsecamente maschili. Una è saper tener presenti le ragioni degli altri». Valeria Palumbo sa di cosa parla: è suo l’intelligente “L’ora delle ragazze Alfa” (Fermento), quelle determinate a prendersi il loro posto nel mondo. «Le donne stentano ancora a diventare leader. Vedi la nostra Anna Finocchiaro, capogruppo al Senato per il Pd: brava, ma sempre un passo indietro. Le stesse Hillary Clinton o Ségolène Royal hanno avuto strategie sbagliate, perché ogni volta che hanno perso colpi hanno puntato sul loro “meritare” il potere in quanto donne, madri, e perciò “migliori”: ma questa non è leadership». Leadership è piuttosto conoscere le regole del gioco: che non è necessariamente sporco. «In Italia però questa cultura è al minimo. Le ragazze sarebbero anche determinate, e per certi versi ho trovato fulminante l’intervista televisiva a Noemi: “Sì, Berlusconi mi ha dato una certa notorietà”! Senza nulla alle spalle, ha una sicurezza e un’ambizione sfrenate che le fanno fare mille passi avanti. Il fatto è che le ragazze italiane, al di là di Noemi, fanno quello che possono. Non gli è sempre chiaro che carriera è fatica, alcune puntano tutto su se stesse senza attrezzarsi, ma di fatto le pari opportunità da noi non ci sono e per un po’ non ci saranno. Sono studentesse brillanti ma restano al palo? Certo: la cooptazione qui la fanno uomini over 60, e questa è una strettoia. Non solo: le donne sono sottoposte a una differenza di giudizio cui noi stesse diamo un contributo fondamentale. Insomma, le ragazze prendono l’ascensore che possono. Il giorno in cui quelle al potere saranno tante, le scorciatoie le prenderanno gli uomini: lo scambio di favori avviene ovunque ci sia potere». «Intorno a me vedo molte giovani agguerrite. Una volta ho sentito dire a Ilvo Diamanti che le trova così combattive da sentirne “il rumore di ferraglia”», scherza Chicca Conti Olivetti, fondatrice di Cassiopea, società di comunicazione: «Per gli uomini che un giorno avranno a che fare con loro, non sarà facile: sanno chiedere e pretendere. Però è vero che le donne oscillano tra onnipotenza e impotenza. Restiamo “brave bambine”: studiamo, ci facciamo spiegare e insegnare, ci muoviamo con cautela. I maschi no. Ma per noi potere è soprattutto responsabilità». «Bisogna aiutare le ragazze a capire come funziona il potere e quali sono le sue logiche: formarle al potere», interviene dagli Stati Uniti Maria Pia Ruffilli, Senior Director di Pfizer Inc.: «In Italia, in particolare, stimoli e modelli femminili di successo sono rari. Però essere una “good girl” non è del tutto negativo. Io lo sono stata. Sono cresciuta in un periodo femminista, nessun limite era accettabile: dovevo esser brava in tutto, a casa, a scuola, nello sport. La prima della classe. Ma è stata una risorsa, ha aumentato le mie capacità multitasking, di fare più cose insieme. E la cocciutaggine: non accetto facilmente un “no” come risposta».
Su questi temi da tempo riflette con intelligenza Loredana Lipperini,  autrice tra l’altro di “Ancora dalla parte delle bambine” (Feltrinelli). «Se non si ragiona sui simboli non si va da nessuna parte. La sindrome della brava bambina esiste, e passa per milioni di messaggi, parole, narrazioni: pubblicità, giornali, televisioni, blog, libri di testo, la Rete. Bisogna riconoscerli per ragionarci sopra, uomini e donne, e smontarli. Oggi ci sono veline che escono dalla Bocconi, e perché? Perché è quella la strada più facile per andare avanti. Perché gli stipendi delle donne sono quelli che sono anche per quelle terribilmente “bitch”. In Italia dobbiamo ancora cominciare a riflettere seriamente. Michelle Obama è venuta in Italia e ha più o meno detto a Isabella Alemanno: “Qui non siete messi benissimo quanto a pari opportunità, che cosa fate per colmare il gender gap?”, ma poi i giornali raccontano solo quale spilla si era messa la First Lady». Lipperini bacchetta, giustamente, anche le donne: «Se le giovani hanno difficoltà ad affermarsi è anche perché noi madri non gli abbiamo trasmesso i nostri valori. Ci siamo arrese, o distratte: sbagliato. Io a mia figlia oggi cerco di far capire che non si può sempre mediare o evitare i conflitti. Da ex brava bambina, so che per vivere le proprie passioni bisogna andare a testa bassa contro tutti. So anche che i figli non si devono proteggere da tutto, o diventano fragili». Lo dice anche Rachel Simmons: per essere buoni genitori bisogna conoscere se stessi, la propria forza e le proprie debolezze. Usa la metafora dell’aereo: prima di aiutare chiunque, mettiti tu la maschera dell’ossigeno.
«Costruire modelli positivi è un lavoro complesso, da condividere tra uomini e donne», interviene Valeria Palumbo: «Bisogna riflettere sui rapporti tra noi, e sui modelli che intrappolano gli stessi maschi: perché di loro invece, se non sono “cattivi”, si sospetta subito che siano gay. Da loro si pretende che siano maschi Alfa. Le donne Alfa ci sono, vedi la cinese Xian Zhang, direttore musicale dell’orchestra Verdi di Milano, in pancione sul podio: accanto ha un uomo che la sostiene. Il femminismo non può più avere un’immagine da Quarto Stato, non si può scendere in piazza per rivendicare posti da amministratore delegato: bisogna piuttosto costruire modelli positivi. Alle ragazze non si può parlare di Rita Levi Montalcini per stimolarle: non ci si identificano. Ma in Federica Pellegrini sì. E lei, quando ha vinto a Pechino, ha detto: “Dedico la vittoria a me stessa”». La soluzione alla maledizione delle brave ragazze è un lavoro complesso. Che investe madri, padri, figlie, e la scuola necessariamente. Però ne vale la pena. Non foss’altro che in nome della “Womenomics”, neologismo coniato dall'”Economist” per identificare la teoria secondo cui il lavoro delle donne è oggi il più importante motore dello sviluppo mondiale: lavoro femminile e crescita economica sono interdipendenti, e il vantaggio riguarda tutti.
E un po’ perché le eterne brave bambine ricordano Lisa Simpson, la secondogenita della famiglia a fumetti più famosa del mondo, a otto anni matura come un’adulta e irrimediabilmente secchiona. Quella che arriva seconda alle “Olimpiadi di spelling” e diventa così l’abitante più famosa di Springfield. Lisa, così buona e brava da essere inevitabilmente democratica, buddista e vegetariana, eppure il fratello Bart spesso le bagna il naso. Ma i flash-forward della serie ce l’hanno già fatto intuire: sarà Lisa Simpson la prima donna presidente degli Stati Uniti d’America. Andare in Paradiso, in fondo, non è poi un’idea così cattiva”.

17 pensieri su “CATTIVI E CATTIVE

  1. Da un album da colorare delle principesse Disney, che mia figlia ha ricevuto per i suoi 5 anni:
    Come diventare una principessa
    1. Cerca di aiutare chi ha bisogno
    2. Sii gentile con le persone e gli animali
    3. Dividi le tue cose con gli altri
    4. Sii educata in ogni occasione
    5. Indossa tanti gioielli scintillanti
    6. Porta un diadema sul capo
    7. Sorridi sempre!
    Come vivere per sempre felice e contenta:
    1. Sorridi, canta e balla spesso
    2. Sposa il vero amore
    3. Prenditi cura dei tuoi amici
    4. Impara sempre cose nuove
    5. Abbraccia chi ami
    6. Sii gentile e premurosa
    7. Rimani te stessa
    Non ce l’ho fatta.. ho strappato via le pagine!

  2. Mi domando quanto conti, in questo vortice di modelli proposti e automatici sensi di colpa, la maternità. O meglio quanto conti l’essere prima figlie e poi (non sempre) madri.
    Quanto cioè questa gabbia dell’essere “brave ragazze” che non rispettano i propri desideri e quindi non sanno farli rispettare trovi un alleato fortissimo (invincibile?) nei rapporti parentali (per come sono configurati: accudimento, protezione, allattamento ecc…).
    Aggiungo osservazione a latere: vista ieri la puntata dell’Infedele sul corpo delle donne; spento televisore quando la discussione è rovinosamente e irrimediabilmente franata sull’essere pro o contro Berlusconi. Che ne pensate?

  3. @ Emmanuela: perché l’hai strappata? A parte il diadema e i gioielli (che comunque fanno parte dell’iconografia principesca) tutte le altre cose le trovo positive, sia per maschi che per femmine.
    @ Raffaella: ho visto L’infedele e non ho parole. Si cercava di fare un discorso sul piano culturale ma grazie a due oche (mi spiace dirlo ma cos’altro erano? Non capivano niente, neanche i discorsi del loro amato B.) si è finiti a parlare di Berlusconi. Mi chiedo però perché gli autori abbiano scelto due decerebrate come contraddittorio; mi rifiuto di credere che tutte le donne pdl siano così (la stessa citata Sofia Ventura non lo è); è stata un’occasione persa, al contrario della puntata della scorsa stagione che invece mi fece scoprire il documentario della Zanardo! 🙂

  4. E’ vero, gentilezza educazione cura e sorrisi.. tutte cose positive, per maschi e per femmine..
    ma il tutto era in una pagina deliziosamente rosa, che (le mie figlie lo sanno benissimo) “é un colore per femmine”.
    mi è sembrato di leggere tra le righe: se vuoi essere una donna perfetta.. prenditi cura di uomini bambini e animali, fai un bel matrimonio, non alzare la voce, non contraddire di chi ti comanda, non mostrare i tuoi malumori e i tuoi pensieri oscuri, si sempre fedele a questo modello.

  5. Sì, infatti immaginavo che il contesto fosse “significativo”, in tal caso il messaggio è chiaro. (a parte che lavorando a contatto con bambini/e ormai il rosa è la mia ossessione, su poniamo tredici bambine di una classe, almeno nove sono tutte di rosa vestite, e le altre almeno un fiocchetto o un cerchietto rosa lo devono avere)! 🙁

  6. Il bellissimo saggio di Marina Valcarenghi “l’aggressivita’ femminile” spiega molto bene perche’, nel corso del tempo, le donne abbiano soffocato la parte attiva, propositiva e battagliera di se’, in nome di un condizionamento che ha radici molto antiche, nella struttura della societa’, una sorta di patto per la sopravvivenza.
    Tutta questa energia e’ stata spesso rivolta verso se stesse, trasformata in autolesionismo e sensi di colpa.
    Secondo l’autrice, e io condivido in pieno, il bullismo al femminile, l’aggressivita’, la donna bitch appunto, non sono affatto emancipazione o superamento, anzi, non e’ che l’altra faccia di questa medaglia, un adattamento, una presa di posizione, un tentativo di camuffare o una recita, ma sempre distorsione.
    Il vero equilibrio sarebbe invece nel recupero di questa “aggressivita’ ” intesa come energia positiva, volonta’ di confrontarsi con il mondo e di plasmarlo attivamente, consapevolezza di se’, volonta’ di autorealizzazione e proiezione verso l’esterno, maggiore indipendenza emotiva.

  7. Se non ho capito male, ‘essere bitch’ è un default di sistema. Non potendolo cambiare dobbiamo accettarlo e operare di conseguenza.
    Scusate, ma allora dobbiamo lavorare sempre con modalità preimpostate. E non sono modelli pure questi?

  8. Ciao Loredana,
    Ho saputo solo ora di questa storia della denuncia, e niente. Ti devo dire che mio padre ci lavora da vent’ anni sulla flotta Jolly, come marconista, quindi mi sento in qualche modo chiamato in causa e in interesse dalla storia. Gli armatori sono e sono stati influenti uomini d’ affari da quando l’ italia era “Regno d’ Italia”. Se solo si sapesse metà di quello che hanno trasportato, dove e perché, la geopolitica mediterranea dovrebbe riscrivere più di un paragrafo. Né mio padre né i comandanti, sebbene questi ultimi dovrebbero, hanno la minima idea di cosa trasportano. Non gli viene detto e loro non lo chiedono. Che è meglio. Inutile ribadire i collegamenti con le vicende di Ilaria Alpi, Somalia, servizi, e la percentuale di trasporti “ombra” che ci possono essere. Se pensi che uno dei comandanti che ho conosciuto aveva in casa qualche decina di chili in statue d’ avorio, armadi di stecche di sigarette, oro e droga di mercato nero africano (questa è la parte soft), sarebbe quasi meglio non pensare alla sorveglianza sugli armatori e sui loro commerci. Il loro sito, con in bella mostra un inutile memoriale “dodgeball” sullo spiaggiamento di una delle loro ammiraglie, è un po’ una cartina tornasole del tutto.
    Mi dispiace, se li avessi conosciuti anche da vicino, avresti capito che bastava anche meno di una recensione.
    E’ da un po’ che sono dannatamente sull’ attenti.
    Mi chiedo più che altro a chi diano la stecca, o chi li usi e per fare cosa, perché speculazioni e ipotesi se ne possono fare a iosa, ma quelli hanno avvocati di diritto marittimo e di diritto internazionale che Berlusconi in confronto è l’ amministratore di condominio.
    (Comunque se c’è una cosa che non hanno mai voluto, è fare rumore. Dovrebbero mollarti la giacca presto, a rigor di logica)

  9. Sono stanchissima e quoto la Valeria. E al momento non aggiungo altro.

    Però ho letto solo oggi della vicenda della denuncia perchè sono stata fuori per dei giorni. E volevo dare anche io la mia solidarietà alla Loredana.

  10. Per una volta il cattivismo non è un’imposizione dell’ Orribile Patriarcato: è proprio modello sociale, per tutto e tutti: uomini, donne, criceti, cinghiali, automobili, draghi di komodo, sedie di design svedese, ecc. ^_^

  11. PS Perchè insegnamo ai bambini ad essere buoni per dopo insegnare implicitamente agli adolescenti ad essere dei disgraziati? Io quando me ne sono reso conto ci sono rimasto male: si passa tutto il primo periodo della propria vita a coltivare delle proprie qualità per poi sentirsi dire che sono debolezze e bisogna essere, anche in amore, degli sfacciati e delle bestie, altrimenti si è sfigati. Lasciamo perdere questa America deteriore!

  12. Cara Lipperini,
    il tema è interessante, mi chiedo: bisogna per forza diventare ‘bitch’ o ‘stronze’ per ottenere il giusto, vale a dire la giusta considerazione (e non parlo di parità, perché quella è un diritto)? Non ci sarà qualcosa di sbagliato, piuttosto, in tutt* i/le Beta o Zeta che hanno bisogno di una persona Alfa per riconoscerle autorità?
    [per la vicenda ‘Navi’: mi sembra una tale assurdità… ma come disse una volta un avvocato a una mia amica: le vicende giudiziarie possono essere molto istruttive – coraggio, e non tralasci di darci notizie]

  13. @Gianni Biondillo (e tutti gli altri)
    Ieri pomeriggio a Fahrenheit ho ascoltato la presentazione del tuo libro In nome del padre. Ancora non ho l’ho letto, ma da quello che ho sentito sembra offrire molti spunti di vivace discussione.
    Poco prima sempre a Fahrenheit Cimatti aveva intervistato Iaia Caputo su Le donne non invecchiano mai.
    Libri di cui già Loredana aveva accennato, con qualche distinguo a proposito del secondo, se non ricordo male.
    Insomma un po’ qualcosa si muove.

  14. ….quoto valeria per intero: ho sentito anch’io la trasmissione e pensai le identiche cose – e tornai appunto a rileggere il blog…

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