Domenica mattina, a Intermittenze a Riva del Garda, Carlo Lucarelli e io ne abbiamo parlato pubblicamente, auspicando che la discussione si ampli. Volete citare una strofa (una) di una canzone? Non potete, vi dirà l’ufficio diritti della casa editrice, oppure potete ma bisogna pagare cifre spropositate alle case discografiche ed è meglio evitare. Volete inserire una o due righe, ovviamente citando l’autore e il titolo e pure l’edizione, di un testo che per la storia è indispensabile (almeno secondo voi)? No. Bisogna chiedere i diritti, anche di quella riga, e dunque è meglio la parafrasi. E l’esergo? I miei amati esergo da cui tanto, a mio parere, si capisce del libro? Chiedere i diritti pure per quello. Oppure scegli un testo fuori diritti e lo ritraduci tu, se conosci la lingua.
Succede a Lucarelli, succede a me, succede a un numero enorme di scrittrici e scrittori che, prima, non si erano mai posti il problema, convinti com’erano, e sono, che lo scambio vicendevole giovasse a tutti, nel rispetto ovviamente della fonte, che deve essere citata sempre: non vi viene voglia di leggere quel determinato libro di cui si estrapola una frase, o di ascoltare quella canzone che per il personaggio è rivelatrice?
Pare che non conti.
Dunque, iniziamo a parlarne: non era così fino a non molto tempo fa, ora lo è sempre di più. E privati della possibilità di evocare musiche e poesie, gli autori e le autrici si ritroveranno, magari, davanti a uno specchio, citando solo frammenti della propria vita, per non sbagliare.
E’ un problema, eh.
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