Guido Ceronetti interviene oggi, come si suol dire a gamba tesa e col probabile intento di suscitare il dibattitone di fine anno, sulla prima pagina di Repubblica. Interviene, buon ultimo, chiedendo di sostituire la parola femminicidio con ginecidio, anche se nella seconda riga chi legge ha sperato di trovare l’auspicio per l’eliminazione del gesto, e non della parola. Ma andiamo con ordine, e cominciamo dall’articolo:
Il mio contributo alla giornata salvadonne è tardivo, ma capitale. Si tratta di eliminare l’orripilante femminicidio, che le abbassa a tutto ciò che, in natura, è di genere femminile, dunque zoologico, col destino comune di figliare e allattare. Ma, per noi, se non siamo bruti, donna significa molto di più. L’etimologia latina ne restringe il ruolo allo spazio domestico (domina); il Medioevo occidentale l’ha inventata (o rivelata) ideale, e su quel trono è rimasta, anche quando trattata a frustate. Sopprimiamo femminicidio e facciamogli subentrare da subito ginecidio.
Non è un neologismo bellissimo, ma appartiene alla schiera dei derivati dal greco classico (giné-gynekòs) che suonano in italiano benissimo: gineceo, ginecologia, ginecofobia, misoginia, ginecomanía, ginandria… Non pensavo mi toccasse di proporre il termine più accettabile per una cosa tanto ripugnante. Però femminicidio va sbattuto fuori dal linguaggio, se ci sarò riuscito me ne farò un minimerito.
Nessun pericolo viene dal misogino. Le donne non hanno niente da temere. Misogini furono Euripide, Schopenhauer, l’autore biblico Qohélet, Leopardi, in genere quasi tutti i poeti e i filosofi, che mai si macchiarono di ginecidio, e delle donne, per troppo amore, per lo più furono vittime innocenti.
Schopenhauer, in vecchiaia, in un colloquio disse: — Mah… sulle donne non ho detto l’ultima parola… — Bisognerebbe indovinarla, perché quell’anima di profondità morì prima di averla detta. Spinoza, mani immacolate, patì il morso della gelosia per la figlia del suo maestro di latino, che gli preferì un altro allievo padre, e lui si rassegnò ad una solitudine senza sgarro, dove lo raggiunse anche la maledizione della sinagoga, chiudendosi nella gloria di un Dio che vide ben da vicino, ma impossibile da amare, inaccessibile a qualsiasi preghiera. Il capolavoro della misoginia italiana è il trattato “Se s’abbia a prender moglie” di Giovanni Della Casa, che si limita a sconsigliare implacabilmente ai giovani celibi il matrimonio, a causa della sfrenata libidine delle mogli, ma considera la sua messa in guardia una quaestio lepidissima, e si guarda bene dal risvegliare nella vittima mascolina l’istinto ginecida.
A più riflessione può indurre invece l’opinione di Nikola Tesla, figura delle più affascinanti, inventore della corrente alternata e profeta ispirato delle guerre future (in America è ritenuto il vero inventore della radio). Nel 1924, quasi settantenne, Tesla pensava che la più grande tragedia del nostro tempo fosse l’avvento del potere femminile, un combattimento escatologico delle donne contro l’uomo per subentrargli nel lavoro e nelle professioni, quindi capovolgendo i ruoli nella famiglia, buon motivo per lui di stare alla larga. (Avesse mai immaginato Thatcher, Golda, Indira, Hillary!). La riscossa maschile che vediamo è da specie degenerata: la coltellata, gli spari, lo stupro in branco, già in età precoce, per cura preventiva. Qui divergo dalle compunte proposte di rimedi culturali, scolastici, educativi — scappatoie per paura di applicare misure implacabilmente repressive. Una comunità senz’anima, né patriarcale né matriarcale, al bivio di Buridano, non può rispondere che debolmente a questo autentico attacco alla specie umana. Preferiamo esporre le ragazzine, piuttosto che terrificare i colpevoli.
Caro, adorabile genio solitario di Nikola Tesla! Le sue lunghe strane mani di extraterrestre (tale fu creduto da chi lo conobbe) mai si sarebbero macchiate di un qualsiasi atto malvagio! Ma vorrei fargli, nella sua stanza celibataria dove visse senza dimora fissa, al Waldorf Astoria, questa domanda: — C’è un diritto prestabilito fra tutte le leggi della realtà patriarcale che valga la trasgressione di Antigone? Se ci manca (e in verità ci manca) il lamento, la cura rituale di Antigone, scenderemo davvero placati tra i morti? E se qualcosa di lei ancora ci venisse incontro nei deserti manageriali e professionali, non sarà da benedire questa usurpazione? — Antigone, sorella di tutti i morti e di tutti i malvivi, la figlia di tutti i ciechi Edipi. La vista di una donna che singhiozza su un corpo morto, nelle grandi catastrofi naturali e nelle stragi politiche, consola: quel morto non è solo, non è consegnato senza compianto alla Macchina Sociale, alla purificazione crematoriale. Violentare, sfregiare, uccidere una donna è lo stesso che uccidere l’eterna legge trasgressiva di Antigone, quella dell’amore, perdutamente ed esclusivamente scritta sugli astri.
Non stupisce che Guido Ceronetti ignori la storia del termine femminicidio, ed è ovviamente suo diritto invocarne l’abolizione anziché chiedersi davvero, con la cultura e l’autorevolezza a sua disposizione, e utilizzando il ragguardevole spazio che gli viene concesso, per quale motivo l’uccisione delle donne sia ancora la cancrena di un tessuto sociale, perché è il delitto che resta invariato da anni, mentre gli altri crimini diminuiscono. Non stupisce perché il senso dell’articolo è, neanche troppo fra le righe, l’orgogliosa rivendicazione della misoginia: non parla forse e soprattutto di uomini che di donne furono vittime? E certamente ce ne sono stati, perché negare la crudeltà femminile è imbecille e pericoloso: ma i poveretti citati, i poeti e inventori e artisti che dalle donne furono, secondo Ceronetti, angariati, rimasero vivi. Contrapporgli l’elenco delle donne che persero la vita per “troppo amore”, per essere state poste su quel trono che è molto più scomodo e doloroso di quello di spade inventato da George R.R. Martin – uno scrittore che probabilmente Ceronetti non conosce – è esercizio inutile. Perché quel che a Ceronetti interessa davvero è che un sistema culturale non venga toccato: non lo dice, forse? Non definisce sbrigativamente “compunte” le proposte di mutamento culturale ed educativo, quasi venissero da vecchie beghine odorose di incensi politicamente corretti? Reprimiamo gli assassini e ci togliamo il problema.
Purtroppo quel problema non si elimina punendo. Si elimina facendo piazza pulita dei troni, degli altari, e della divinizzazione del femminile. Si elimina riconoscendo al femminile la stessa dignità e gli stessi diritti del maschile. Si elimina ammettendo che la nostra cultura è fondata sulla fascinazione per la bella ammazzata: legga, Ceronetti, La morte ci fa belle di Francesca Serra, per capire come la morte di una donna sia “il mito fondativo della nostra cultura”. Il che, occorre ripeterlo, non significa smettere di deliziarci con Euripide e Millais: ma capire, inquadrare, contestualizzare. Esattamente come facciamo leggendo del cadavere di Ettore trascinato nella polvere.
Antigone, che viene citata quasi esclusivamente come donatrice di “cura” e di amore, e non come portatrice di un sistema sociale diverso da quello del potere, è infatti una donna morta ammazzata. Sarebbe stato bello trovare, nelle parole di Ceronetti, donne che hanno vissuto la propria vita senza che altri la interrompessero come punto di riferimento. Ma è molto difficile che il mito ce le consegni. E, viceversa, sarebbe fin troppo semplice opporre ai Tesla, agli Spinoza e agli altri infelici che per le donne patirono, le Plath e le Sexton e tutte coloro che “non erano ciò che credevano” e che per questo infilarono la testa nel forno o si chiusero in un garage saturo di gas con una bicchiere di vodka in mano. Questa non è una guerra di citazioni. Non è neppure una guerra di etimologie. Questa non è una guerra: è, o dovrebbe essere, un momento di condivisione, per camminare con passi diversi, le donne e gli uomini, lasciando i troni al passato e al suo racconto. Non credo, però, che quel cammino interessi davvero all’autorevole misogino: ed è un peccato, sul serio.
Eh, Ceronetti, sempre teso a farsi bello con le parole e a cercare altrove i significati, questa volta fa un tonfo terribile. Cominciando già delle prime parole a non credere neanche lui a quello che sta scrivendo.
Era meglio che restasse, più che tardivo, assente dal dibattito.
Perchè questo articolo è privo del benchè minimo interesse per il problema: l’uccisione delle donne non lo sfiora affatto, preferisce parlare di quello che si muove attorno al livello più distaccato possibile. Altro che misogini extraterrestri.
In questo articolo Ceronetti parla di se stesso, extraterrestre, misogino e distante dal mondo in cui vive.
Con buona pace di chi, come me, è stata per anni disposta a scusargli il tono, pur di avere in cambio un suo punto di vista…
Tanto più grave, l’articolo, perché esiste una schiera di Ceronetti-fan che pendono dalle sue labbra. Grave, disinformato e, soprattutto, triste.
“Riscossa (sic) maschile”? “Risvegliare nella vittima(sic) mascolina l’istinto (sic) ginecida”? “Compunte proposte di rimedi culturali, scolastici, educativi — scappatoie per paura di applicare misure implacabilmente repressive”?
Basterebbero queste parole per capire su quale ideologia si fondi l’articolo di Ceronetti. Altro che scrupoli da filologi e storici della lingua!
Per citare il papà di Natalia Ginzburg: mi sembra proprio un bel sempio.
Ciò che più mi urta nell’articolo di Ceronetti è il suo raffinato qualunquismo, che consiste nel rievocare (in prosa elegante, certo) gli uomini illustri del passato non per quanto ebbero di grande, non per il loro contributo alle arti, alle scienze, al pensiero, bensì solo in quanto condivisero i pregiudizi della loro epoca e del loro ambiente sociale. Leopardi, per dire, in “Aspasia” sarà anche stato misogino; ma non c’è dubbio che se avesse scritto solo quella poesia, oggi sarebbe coperto dall’oblio.
“Sono misogino, embé? Lo era pure Euripide”. Certo, così come Aristotele giustificava la schiavitù. Sono sicuro che Ceronetti è capace di trarne spunto per rifilarci un finissimo elzeviro in difesa dello schiavismo (o in difesa dell’inquisizione e dei roghi citando la patristica, oppure del razzismo citando Kant, o dell’antisemitismo citando Voltaire, etc. etc.)
A Ceronetti auguro, nella prossima vita, di rinascere donna e figlia di un padre misogino, o allieva di un professore misogino, dipendente di un datore di lavoro misogino, paziente di un medico misogino, parrocchiana di un prete misogino. Così potrà finalmente sentire sulla sua pelle quant’è innocua la misoginia.
Del resto stiamo parlando di uno che ha preso le difese persino di Priebke…
http://archivio.lastampa.it/LaStampaArchivio/main/History/tmpl_viewObj.jsp?objid=2323240
A parte la struttura argomentativa, confutabile con un sano, romanesco “…e ‘sti c***i?”: su Spinoza Ceronetti dice la prima cosa che gli pare di ricordare, oltretutto in modo scorretto: la “maledizione della sinagoga” (l’equivalente ebraico della scomunica) gli fu comminato a 24 anni, non ha alcuna relazione con la presunta solitudine (come l’accostamento lascia sospettare), e la morte da celibe del filosofo (peraltro povero, e quindi non in condizione di contrarre matrimonio e campare famiglia) fu dovuta a malattia e conseguente morte prematura. Ciò che Spinoza dice nell’Ethica della gelosia contraddice quanto Ceronetti insinua. Ma poi, foss’anche stato Spinoza misogino: e ‘sti c***i?
Euripide misogino??!!
Tesi: Visto che “l`uomo e` un animale sociale: perche` e` la mera presenza di un altro essere umano a evitare che la psiche vada in frantumi( senza questa presenza ci spacchiamo in due,ci creiamo dei compagni interiori che ci proteggono dalla solitudine e queste lacerazioni sono dolorose e insanabili.”),si potrebbe pure dire che il buon Ceronetti dovrebbe,ogni tanto,mettere il naso fuori da quel polipaio di carte che affolla la sua anima
http://youtu.be/shlpQ75EsNM
…io,per contro, sono d’accordo con la proposta terminologica di G. Ceronetti (…il suo è un contributo lessicale, non di merito sul tema…), perchè, a mio parere, il termine “femmina” ( riferito alla donna) può far intendere una connotazione genericamente qualunquista e forse anche ( submibinalmente…) un pò spregiativa del genere femminile, umanamente inteso. Il termine “ginecidio” , oltre ad essere più elegante, mi sembra più consono al tema.
Elios, se fosse un semplice contenuto lessicale, i tre quarti dell’articolo, sulla misoginia e sulla sofferenza maschile a causa delle donne, non avrebbero senso. E, credimi, morire ammazzate non è elegante.
Ma costui crede davvero che le minchiate smettano di essere tali se ammantate sotto ‘l velame dello versi strani?
Cari Girard, Dumezil, Kereny, Eliade, Jung, Freud, Frazer e compagnia cantando fino a Platone, mettetevi il cuore in pace. Francesca Serra ha trovato “il mito fondatore della nostra civiltà” e lo ha comunicato (postato) a Loredana Lipperini. Ceronetti, uomo d’altri tempi, non lo sa. Avvertiamolo, così eviterà altre lezioni di pensiero e, soprattutto, di civiltà.
Francesca Serra non lo ha comunicato a me ma ai suoi lettori, nel saggio che ha pubblicato. Civiltà, Mauro, significa trattare con rispetto il pensiero e le opinioni altrui. Dissento da quelle di Ceronetti, ma le rispetto. Auspico che lei sia in grado di fare altrettanto, a dispetto delle apparenze.
Chiedo scusa per le apparenze ma le assicuro che non volevo mancare di rispetto a nessuno, altre apparenze (definire minchiate le parole di Ceronetti) meritavano prese di distanza altrettanto convinte.Penso solo che oltre al rispetto anche la modestia e il senso delle cose abbiano un loro peso. Francesca Serra sarà anche la nuova Roland Barthes (ah questi maschi, ogni tanto così intelligenti) ma diamo tempo al tempo, al momento non la vedo così sicura.Grazie per l’ospitalità e per i suoi contributi sempre vivaci e stimolanti
Mi farà comunque piacere se leggerà i libri di Serra, che, a quanto capisco, non intende diventare la nuova Barthes, nè la nuova Beauvoir: ma solo, come ognun di noi, raccontare ciò che vede. Buon anno!
Buon anno anche a lei e a risentirla presto e spesso su Fahrenheit!
Loredana, sei proprio sicura che non sia una guerra…?
No. 🙁
(a risentirci, Mauro)
Tempo fa non ero troppo convinto della definizione “femminicidio”. Poi, vedendo le continue violenze maschili (oggi altra donna uccisa), ho pensato che bisogna chiamare per nome il triste fenomeno.
Sopra quale soglia di numero di donne uccise diventa femminicidio e quindi, sotto quale soglia di numero di donne uccise non lo sarà più?
Caro/a Alex
non ho la certezza assoluta delle definizioni come te. Se ci sono altri che la pensano diversamente (sempre sulla definizione) qualche dubbio può esistere. Io mi sono convinto dopo un certo tempo di riflessione che fa parte della mia natura. Non siamo tutti uguali.
Cara Loredana,
da assiduo utente di Radio3 ( e in particolare di Fahreneit,di cui ho sempre apprezzato la Sua ottima conduzione…) mi ritengo familiarmente a Lei vicino per cui desidero sgombrare subito il campo da un possibile anche se
involontario equivoco che ho colto nella Sua replica alla mia breve nota a commento dell’articolo di G.C.sul termine “femminicidio” e/o “genicidio”.
E’ indubbiamente vero che la gran parte dell’intervento di Ceronetti riguarda il tema della “misogenia” che io ho inteso ignorare perchè il mio interesse era esclusivamente “terminologico”e finalizzato ad una sempre maggiore e migliore valorizzazione della donna, in generale.
Si spiega così la mia condivisione, sul punto, alla tesi di Ceronetti.
Concludo, cara Loredana, assicurandoLe che l’aggettivo “elegante” da me utilizzato va riferito solo al termine e non certamente alla dinamica del suo contenuto.
Spero di avere chiarito la mia posizione mentre ho il piacere di inviarLe un cordialissimo saluto ed i migliori auguri per queste Festività natalizie che stiamo tutti vivendo.
Elios Zaupa
Caro Elios, tutto chiarito. Un caro augurio di buon anno a lei, e grazie.
il piccolo centro dove vivo sarebbe morto anche culturalmente oltre che economicamente se non fosse per un branco di valorose che lo tengono in vita artificialmente. Ma un’associazione filantropica istituzionale(impercettibilmente radical chic,fatta peraltro di persone “per bene”)non ha trovato altro di meglio che proporre il cambio del nome del corso principale della città. Ecco,temo che Ceronetti sia nei paraggi della chiacchiera da salotto di fronte ad un argomento non esattamente romantico
http://www.youtube.com/watch?v=1gmF-6z6kMQ
Ceronetti, word-setter contro femminicidio
Si sa che l’espiazione si addice alle donne, e si sa che han biblicamente molto da espiare.
Anche etimologicamente.
Lo sottolinea, con natalizio articolo di grande rilevanza, Ceronetti, intellettuale di punta de La Stampa.
Ma anche premiato, in una qualche stazione balneare italiana, “Inquieto dell’anno 2013“.
Infatti lo Scrittore non si tiene e depone sotto l’albero un dotto articolo salvadonne. Pescando nel suo ricco e colto database, Ceronetti da una bella lezioncina alle sprovvedute signore e signorine, che hanno ritenuto di indicar con la parola Femminicidio le violenze di cui sono oggetto in modo esponenziale.
Profondamente sbagliato, inelegante, etimologicamente scorretto.
Le poverine, ataviche incolte illetterate, avrebbero potuto/dovuto consultare qualche accademico in grado di suggerire etimo più consono…….
Come non averci pensato prima?
Possibile che Ceronetti debba occuparsi pure di questo?……
Rinominate donne, rinominate e, se non possedete un colto e raffinato software, sapete a chi rivolgervi.
Anche se il termine ginecidio, con buona pace di Ceronetti , proprio nella sua algida accademica eleganza, pare avulso da qualsiasi suggestione di realistica emergenza sociale e passa la spugna sopra alla funzione contesto.
Non pago di aver liquidata la forma con solenne bocciatura semantica, l’Intellettuale si avventura in un delirio citatorio e con febbre evangelica nell’elogio del misogino, che, diciamolo, veramente ci mancava.
In un rutilante trionfo di stereotipi, si sottolinea quanto le donne abbiano fatto soffrire gli uomini, ancorchè di fama, tipo Euripide, Schopenhauer, Qohélet, Leopardi …nonostante sin dal Medio Evo siano state collocate su comodo trono…..
Ora di troni e altari abbiam fatto cataste, nella distrazione accademica; ringraziamo per gli omaggi letterari, ma tendiamo dritte ad un cambio culturale, anche nel segno di sgradevolezze semantiche atte a turbare fini uditi.
Un “rotolare di ruota senza carro”, per citare il miglior Ceronetti.
da http://www.criticipercaso.it/2013/12/29/ceronetti/
gli uomini come le donne vengono ammazzati da uomini. probabilmente dello stesso tipo o cmq di un tipo con il quale non prenderei un caffé diciamo. e tuttavia, sebbene gli uomini uccisi ogni hanno siano davvero davvero tanti, e molti molti di più che le donne, non interessa a nessuno. questo è quello che mi addolora. e quindi questo è quello che stona alle mie orecchie in questa battaglia.
refusi vari e pezzi dimenticati:
hanno->anno
probabilmente dello stesso tipo -> probabilmente dello stesso tipo che uccide le donne
Qualcuno spieghi a Ceronetti che fa tanto l’elegantone, che i neologismi, nella nostra lingua, si costruiscono partendo dalla stessa lingua d’origine: greco con greco, latino con latino. “Ginecidio” (greco+latino) fa ululare di disperazione i linguisti di mezzo mondo. Il resto del pezzo neppure sono riuscito a leggerlo, preso com’ero a ululare.
Questa poi non la sapevo nemmeno io (passi quel povero ignorante di Ceronetti, come dimostra la sua bibliografia): essì che fino al 2008 abitavo a Quarto Oggiaro. Quindi un neologismo non dico come televisione, ma anche come neuroscienze viene accettato in italiano solo perché lo hanno inventato gli anglofoni? E calciopoli e partitocrazia rispettano la regola scoperta da Gianni Biondillo? Stando al tema generale mi pare solo che Ceronetti intendesse dire che la triste situazione attuale è una evoluzione moderno-contemporanea dell’antico dramma detto uxoricidio: gli uomini non ammazzano le donne, ma quelle che considerano le loro donne. Che ginecidio non sia termine felice mi pare sia lo stesso Ceronetti a dirlo per primo. (Mi scuso in anticipo per il tono, ma veder sbeffeggiare un uomo di 86 anni che ha sempre cercato di pensare con la propria testa mi irrita un po’)
Saluti e auguri a tutti, anche ai miei ex vicini di via Trilussa
Ok, Mauro, peace & love. Si scherzava. Infatti mica so’ linguista io! (ma, sì, “calciopoli fa schifo proprio perché non rispetta la “regola aurea” della nostra lingua. E che poi si traducano i neologismi dall’inglese è cosa notoria.) Detto ciò, io saluto gli amici di via Lopez e volemose bbene. 😉
* mauro
a Quarto Oggiaro ululano anche per ‘genocidio’ che soffre della medesine etimologia impura (ma è vero quello l’ha inventato un inglese!).
A prescindere, pur non disprezzando Ceronetti, questo articolo ha un che di tristemente superficiale, teso com’è a pennellare l’eccentrica fenomenologia del misogino…
Che c’entra con le donne massacrate? Perché prenderle a pretesto solo per gongolarsi tra una sfilza di aneddoti tesi a sottolineare la presunta misognia dei Grandi tra cui, è evidente, Ceronetti ambisce a collocarsi?
Pensare con la propria testa è un valore, certo, ma civettare con l’Eccentrico, assomiglia poco al pensiero.
La vecchiaia, quando si è lucidi, è una responsabilità, non un attenuante. (almeno credo)
Pace e bene anche da me per Gianni Biondillo, l’ho sempre pensato che l’aria di Quarto, anche per chi come il sottoscritto non c’è nato, rende liberi. Alla gentile Silvia: concordo in parte con le sue parole, anche se allontanare misoginia e violenza sulle donne non mi pare operazione superficiale né solo un vezzo narcisistico da compiaciuto Cultore dell’Eccentrico, piuttosto una veritá possibile sulla quale riflettere. Credo che Ceronetti paventi l’idea che la battaglia culturale contro la violenza sulle donne implichi necessariamente l’indebolimento o la neutralizzazione del Maschile e del Femminile, e quindi dell’Amore (anche tragico, certo) come è stato vissuto e raccontato fin qui. Auspicando invece l’Utopia di un mondo nel quale una donna possa continuare a dire a un uomo “sono tua” senza per questo finire un giorno non dico violentata o ammazzata, ma nemmeno sfiorata nella sua dignitá di essere umano, in ciò ovviamente, nel nostro e speriamo presto in tutti i mondi possibili, uguale all’uomo. Se ho capito bene, non nascondo che anche io la penso così
Può darsi che attraverso questo articolo volesse esprimere non la rivendicazione della misoginia, ma il timore di una associazione tra la misoginia e il femminicidio.
Allora, Davide e Mauro, esiste una percezione semplificatoria delle discussioni sul femminicidio che non appartiene a molti femminismi, e questo sarebbe bene che Ceronetti lo sapesse prima di affrontare il discorso, e prima di liquidare come “compunti” i discorsi proprio sulla cultura.
Naturalmente. Forse, domandandogli verso chi intendesse rivolgersi con il suo intervento, si troverebbe un po’ di chiarezza.
Grazie per avermi risposto e buona serata. E auguri per l’anno nuovo.
Io credo che a ogni uomo, e quindi anche al mite Ceronetti, il dibattito sulla violenza sulle donne crei un tremito, e senta istintivamente la necessità di proteggersi.
Più superficialmente, da un’accusa generale per qualcosa che “io” con ogni certezza non farei mai, ma più nel profondo per qualcosa di cui, come confessava dolorosamente Dostoevskij, “sono capace”.
Non difendo quindi il noto “misogino innamorato delle donne”, che ha sofferto soprattutto quando non ha potuto averle, ma capisco che tale dibattito pone come fondamento a questa violenza uno status culturale atavico che abbiamo succhiato col latte e sui banchi di scuola, come in strada nella ribellione e sul lavoro.
Così credo che ci sarà sempre in un uomo una duplice sensazione, che gli farà dire: sì, donne, avete ragione, e anche: però, io no, mai.
In questi giorni una persona che mi è molto cara ha subito violenza nel modo più brutale con conseguenze tristissime, l’abbiamo subito aiutata e accompagnata alle sedi di denuncia e protezione. nonostante la nuova legge sbandierata sui banchi del parlamento, di repressione non si è vista l’ombra, e poi, e poi, adesso non voglio entrare nei dettagli angoscianti delle tutele che ha avuto invece l’aggressore.
Ma non è questo il punto, quello che è significativo è che io, di fronte a questo fatto, ho avuto pensieri di violenza efferata nei confronti di quell’uomo, e se ne avessi avuto l’occasione non escludo che si sarebbero tradotti in azioni, se bastava.
Nella mia vita, quotidiana e spirituale, cerco di porre attenzione ai pensieri, cercando di spezzare la catena culturale che tende a riprodursi nelle generazioni, nonni, genitori, figli, e quindi sforzandomi di operare un cambiamento in me, non mi piace chiamarlo culturale, preferisco considerarlo un ritorno a una condizione di equilibrio “edenica”, ma è molto difficile non sottostare in determinate circostanze a certe emozioni e alle conseguenze verso cui spingono, perchè se non ho desiderato la morte per quel porco, certamente la menomazione, e non quella che più banalmente può venire in mente.
Ecco perchè credo che per un uomo sarà sempre difficile affrontare a viso aperto tale questione, a meno di essere un ipocrita, o un testimone del geova politicamente corretto, perché il cambiamento rispetto alla legge del taglione, e quindi alla violenza che il nostro io amministra nella nostra vita, è un cammino che ogni uomo deve fare singolarmente, e come sai educativamente non mi sono mai fidato delle istituzioni.
Gentile Loredana, la compunzione cui si riferisce Ceronetti sará forse quella dell’intellettuale che pensa che il male sia conseguenza di un sistema socio-culturale sbagliato, trasformando il quale il male stesso si squaglierá come neve al sole? Penso a Rousseau e alla sua compunzione massima, da cui figlia certo la figura del buon educatore, ma anche quella inquietante di chi adopera strumenti più repentini per raddrizzare il legno storto della societá (Maria Antonietta, anche il suo fu un femminicidio?)
Io non so da dove venga il male e non mi fa tanto ribrezzo l’idea, che fu giá di Cesare Beccaria prima che di Ceronetti,che un sistema giudiziario e penale efficiente sia un modo utile e necessario per diminuire, empiricamente, questo e altri orribili reati. Anche perché vorrei continuare a testimoniare e magari provare a convincere pure la brillantissima Francesca Serra che il mito che agita la psiche di molti uomini, compresa la mia, é quello della donna bella viva, non morta.
@ Mauro
a proposito di male c’è un libro da poco uscito di Steven Pinker, Il declino della violenza, che offre un’analisi bio-psico-sociologica molto distante dalle compunzioni e dalle scappatoie e dalla metafisica invocata da Ceronetti. Capisco Mauro, che ti possa dar fastidio vederlo sbeffeggiato, ma puoi anche comprendere che se entri in un tale discorso in maniera così maldestra e in parte provocatoria potresti almeno mettere in conto di ricevere tali critiche. Non c’è niente di male nel dirlo. Si impara dalla critiche.
@ Mario Pandiani,
da uomo non provo nessun tremito ad affrontare la questione, e tutto ciò che provi tu lo provano anche le donne, dato che le emozioni primarie di cui parli appartengono alla specie tutta e non hanno radice culturale, ma sono un portato evolutivo, tanto quanto l’empatia, la compassione e ciò che di bello che possiamo immaginare. Non mi sento affatto accusato, semmai pongo maggiore attenzione ai miei comportamenti e in questo modo, come per tutt*, esercito l’autocontrollo.