C'est moi qui l'ai tuée

Zeroviolenzadonne dedica gran parte del numero di oggi alla maternità. Qui l’editoriale, ma vi invito a leggere anche gli altri articoli.
Su Repubblica, lungo intervento di Adriano Sofri sulla violenza contro le donne e il femminicidio. Ve lo riporto integralmente.

Prendiamo una frase così: Gli uomini uccidono le donne. È una generalizzazione spaventosa: la stragrande maggioranza degli uomini non uccidono le donne. Eppure a una frase così succede di reagire con assai minor indignazione e minor sorpresa di quanto la statistica consentirebbe. Non dico delle donne, che sanno bene che cosa vuol dire la frase.
Ma gli uomini, anche se la statistica dice che in Italia, non so, uno su 400 mila ammazza una donna in un anno, ammetteranno di sentire confusamente come mai uomini ammazzano donne.
L’uomo è cacciatore, si dice: il cacciatore gode di scovare la preda, inseguirla, braccarla, catturarla – e farla finita. Al centro del millenario addestramento dell’uomo maschio sta il desiderio, e la certezza del diritto naturale, di possedere la donna. E’ una metà della cosa: prendi la donna, la chiudi a chiave, la usi, la fai figliare e lustrare stivali, la bastoni ogni tanto, perché non si distragga dall’obbedienza, come fai con gli altri animali addomesticati. L’altra metà della cosa sta nella sensazione che la “tua” donna ti sfugga, anche quando l’hai riempita di botte e di moine, che il diritto di possederla è eluso da un’impossibilità. Non c’è carceriere che possa voltare le spalle tranquillamente al suo prigioniero. Non c’è prigioniero più irriducibile della donna.
L’uomo avverte con offesa, paura, vergogna questo scacco indomabile, e al suo fondo una propria inferiorità sessuale, un piacere pallido rispetto a quelloche immagina sconfinato e astratto della donna – la sua capacità di puttana – e, quando si persuada di averla perduta e di non poter più vivere senza di lei, la uccide.
Lui, mediamente, vive: a volte tenta il suicidio, per lo più lo manca. Dice: “Sono incapace di intendere e di volere, perciò l’ho ammazzata”. L’altroieri le diceva: “Sono pazzo d’amore per te”. Voleva dire: “Sono incapace d’intendere e di volere, perciò ti amo”. Vivrà, compiangendosi, nel ricordo di lei, ormai soltanto sua – e comunque di nessun altro.
Ho scritto questa orrenda cosa: non perché non veda che è grossolanamente orrenda, ma perché penso che si avvicini alla verità. E’ una di quelle che si dicono male con le parole, dunque si preferirà fare un vuoto – un raptus, un’uscita da sé di cui non resterà memoria – e puntare sulle attenuanti generiche. Specifiche, fino a ieri, quando ammazzare una donna, specialmente la “propria” donna, era poco meno di un atto onorevole. La disparità, in questo campo, è senza uguali. Di fatto, perché le donne che ammazzano il “loro” uomo sono così rare da far leggere due volte la notizia, per controllare che non sia un benedetto errore del titolista – trafiletti, del resto. E di diritto e perfino di lessico, perché la parola era una sola, finora, a designare l’ammazzamento coniugale, uxoricidio, l’uccisione della moglie.
Il nuovo conio di “femminicidio” non è un puntiglio rivendicativo, è l’adeguamento stentato della lingua e della legge a una stortura di millenni. A meno che non fosse esaltata, che è l’altra faccia dell’avvento dell’amore romantico, gran rivoluzione in cui, nella nostra parte di mondo, si mescolarono la considerazione arcaica della donna forte e ribelle e infine domata in Grecia, e la nuova tenerezza che volle risarcirne l’inferiorità nel cristianesimo. Strada facendo, l’amore cavalleresco si conquistò uno spazio formidabile, e la donna dell’ideale non poté toccarsi nemmeno con un fiore – quanto alla reale, aveva il suo daffare, e non l’ha mai smesso: bella storia, grandiosamente rovesciata in amori così mirabili da indurre l’uomo ad ammazzarla, l’amata, e diventare così un eroe romantico, o un grande delinquente espressionista, o almeno un poveretto da compatire, per aver tanto sovrumanamente amato.
L’uomo che uccide la “sua” donna compie il più alto sacrificio di sé, in tutta una sublime tradizione artistica e letteraria, più che se ammazzasse sé per amore. E solo oggi, e faticosamente, ci si divincola da questo inaudito retaggio di ammirazione e commiserazione per l’uomo che uccide per amore, e lo si vede nella sua miserabile piccineria. E gli si vede dietro la moltitudine di ometti “tranquilli”, “perbene” – sono sempre questi, all’indomani, gli aggettivi dei vicini – che pestano con regolarità mogli e fidanzate e amanti e prostitute e figlie, le tormentano, le insultano e ricattano e spaventano e violentano. Panni sporchi di famiglia. Pressoché tutti gli omicidi che ho incontrato in galera – dov’ero loro collega – avevano ammazzato donne: la “loro”, o prostitute, dunque di nessuno, dunque di tutti. Vi passa la voglia di simpatizzare per Otello e Moosbrugger, per la Sonata a Kreutzer o per l’Assassino speranza delle donne.
Le statistiche oscillano: viene ammazzata una donna, in Italia, ogni due giorni, ogni tre, secondo le più ottimistiche. Se le donne non fossero il genere umano, la parte decisiva del genere umano, e venissero guardate per un momento come un’etnia, o un gruppo religioso, o una preferenza sessuale, non se ne potrebbe spiegare l’inerzia di fronte alla persecuzione, la rinuncia a un’autodifesa militante. Questo varrebbe fin dal genocidio delle bambine prima e dopo la nascita in tanta parte del mondo, che è sì altra cosa ma strettissimamente legata. Quel titolo, Uomini che odiano le donne, è diventato proverbiale scendendo da un nord civile e favoloso come la Svezia, una tremenda rivelazione. L’Italia, come le succede, si batte per il record, spinta dalla rapidità febbricitante dei suoi cambiamenti, dal ritardo alla rivalsa, e oggi le deplorazioni internazionali contro il femminicidio ci mettono assieme al Messico di Ciudad Juarez.
Oggi si parla di questo, ci si informa. E’ molto importante. Sono due gli strumenti decisivi per affrontare l’assassinio delle donne (e gli stupri, le persecuzioni, le botte, le minacce e le vite di paura): la polizia – e le leggi – e la cultura. La polizia femminile è il più significativo progresso del nostro Stato (e dell’Afghanistan). I due strumenti non sono, come si pensa, agli antipodi, una che arriva dopo il fatto, l’altra che lo previene da molto lontano. Vanno assieme, per prevenire da vicino e da lontano, e per sanzionare, materialmente e moralmente. Escono libri – l’ultimo che ho visto è Il silenzio degli uomini, di Iaia Caputo, Feltrinelli. Joanna Bourke, Stupro. Storia della violenza sessuale (Laterza), sciorina un repertorio impressionante di fantasie maschili passate per scienza e legge. La Rai ha programmi nuovi ed efficaci. Su Rai 3 “Amore criminale”, ora condotto da Luisa Ranieri, ha raccontato decine di storie di donne uccise, storie di persone altrimenti gelate in un numero statistico, ognuna a suo modo terribile.
Da oggi Rai 1 trasmette quattro film contro le violenze sulle donne, di Liliana Cavani, Margarethe von Trotta e Marco Pontecorvo. Nel web sono ormai numerosi i siti che aggiornano fedelmente e discutono le notizie sulle donne assassinate, rinvenute, quando ci arrivano, dentro le cronache locali. Ci sono gruppi di uomini che hanno deciso di parlare di sé, come l’associazione “Maschile plurale”. Torno all’inizio. Noi uomini, se appena siamo capaci di ricordarci del modo in cui siamo stati iniziati, e non ci dichiariamo esonerati, sappiamo che cos’è la voglia frustrata o vendicativa o compiaciuta di malmenare e vessare le donne e la loro libertà. Lo sappiamo, come Endrigo quando passava da via Broletto, al numero 34, dove dorme l’amore mio. Non si sveglierà. Proprio sotto il cuore c’è un forellino rosso, rosso come un fiore.

59 pensieri su “C'est moi qui l'ai tuée

  1. @Barkil
    Aggiungo che il ragionamento evoluzionsitico di Barkil è errato. Che il maschio debba essere sicuro che i geni trasmessi siano i suoi implicherebbe che il maschio conoscesse cos’è la gravidanza e l’inseminazione. Questo è un classico errore di chi guardi l’evoluzione ex post e si ponga le domande sbagliate di pressione selettiva.
    Il maschio è programmato biologicamente per copulare. Non sa nulla di cosa succederà dopo la copula. È solo la femmina che attraverso la gravidanza e il parto instaura un rapporto di causa-effetto con la prole. Un rapporto che per i mammiferi è chimico olfattivo.
    Per far sì che la femmina aumenti la sopravvivenza della prole, la pressione selettiva ha favorito la trasmissione genetica dei DNA femminili che per mutazione casuale tendevano a preoccuparsi dei figli.
    Invece per l’uomo si può solo parlare di un istinto alla copula che, dovendo combattere con rivali, ha finito per selezionare gli individui più aggressivi. In definitvia l’uomo ha un’aggressività aspecifica maggiore delle donne. Ma da qui a fare discorsi come il suo o come quello di Fini ci passa la differenza tra astrologia e scienza.

  2. Francesco F. no, non è un esempio, è una battuta splendida, perché il libro – dicono – più venduto al mondo sul genere è: Gli uomini vengono da marte le donne da venere.
    Non l’ho mai letto. Comunque è un libro che presuppone la differenza sessuale intesa come differenza di talenti e destino in base alla classe sessuale. Un libro che viene preso sul serio, e sul quale una mia conoscente psicologa aveva impostato degli incontri psicologici.
    Io sono realista, credo esista una realtà, che sia conoscibile, che la conoscenza sia organizzata in un discorso scientifico.
    Sarei anche disposto, benché l’idea mi ripugni, a accettare un discorso sulla differenza sessuale intesa come differenza di talenti e destino in base alla classe sessuale.
    Ma dovrebbe essere un discorso scientifico che dimostra oltre ogni ragionevole dubbio questa differenza di talenti e destino.
    Purtroppo – per fortuna dal mio punto di vista – la scienza non c’è riuscita, e anzi la sua storia sul gender è piena di leggerezze, cantonate e menzogne. Quindi l’idea del ‘vero uomo’ e della ‘vera donna’ a oggi resta infondata.

  3. @ Simone
    Che alla pena da espiare non debba aggiungersi il divieto ad esprimersi, tanto più dopo che la pena è stata espiata, è un principio di civiltà giuridica, non un’anomalia tutta italiana. Così come è un principio di civiltà giuridica il fatto che l’opinione dei parenti della vittima non debba trasformarsi in deliberazione sulla pena.
    Quanto alla famiglia di Mario Calabresi, si professa cattolica, come cattolico osservante era il commissario Calabresi. La religione cattolica è stata istituita (nel senso di: organizzata in Chiesa) da Paolo di Tarso, uno che prima di convertirsi i cristiani li linciava. Pensa se Simone (Pietro) gli avesse risposto, una volta letta la “Lettera ai Romanio”: da che pulpito parli di legge, tu che eri un assassino. E, in quanto appartenenti a una ideale biblioteca cristiana, nonché persone mediamente colte, non dubito che alcuni romanzi di Dostoevskij, a partire da “I Demoni”, saranno noti ai familiari della vittima: pensa se uno come te, correttore delle bozze dei “Demoni”, avesse detto a Dostoevskij: zitto tu, che terrorista lo eri.

  4. Nell’articolo di Sofri c’è una frase, che mi sembra valga la pena di sottolineare, penso possa offrire vari spunti di riflessione a tutte le commentatrici e magari potrebbe diventare addirittura un “caso” giornalistico.
    Scrive Sofri a metà dell’articolo riguardo al genere femminile “…non se ne potrebbe spiegare l’inerzia di fronte alla persecuzione, la rinuncia a un’autodifesa militante. Questo varrebbe fin dal genocidio delle bambine prima e dopo la nascita in tanta parte del mondo”
    Genocidio della bambine prima e dopo la nascita. Viene chiaramente ammessa simmetria, tra l’uccisone di una bambina nata e quella di un embrione di sesso femminile.( sappiamo che l’aborto selettivo in base al sesso, in genere femminile, è pratica diffusa in oriente e adesso pare anche in Inghilterra).
    Non sembrava proprio che uno come lui avesse le posizioni (e il linguaggio) dei miliziani clericali. Allora perché Sofri ha fatto questa simmetria? Forse è solo un compagno che sbaglia, ma credo che possa esserci qualcosa di più profondo (e insopprimibile) di un semplice azzardo retorico. al di là delle sbarre di vanitifair
    Ciao,k.

  5. L’aborto selettivo non ha a che vedere con l’idea clericale che l’embrione sia una persona, solo col fatto che il feto di sesso femminile viene soppresso in favore di quello maschile, non è in discussione l’aborto, ma l’uso discriminatorio che se ne fa. La simmetria è sulla discriminazione, prima di nascere e dopo essere nate.

  6. Dicono che il linguaggio sia ambivalente, resta il fatto che Sofri ha scritto “genocidio di bambine” , prima di nascere e dopo essere nate.
    Ma tra i vari spunti di riflessione cui pensavo c’è appunto anche quello diciamo della polarizzazione del messaggio, che spesso discriminiamo in base dal pulpito da cui proviene. Anche le tua frase Serbilla; ” discriminazione prima di nascere e dopo essere nate”. discriminazione prima di nascere e dopo essere nate. lascia molto da pensare
    ciao,k.

  7. L’ecografia viene fatta da queste persone per capire se il feto è di sesso femminile o di sesso maschile, se il feto è di sesso femminile si abortisce. Cosa ci sia “da pensare” in questo non lo so. La discriminazione avviene prima di nascere, dato che prima di nascere si osserva e si decide in base a un principio di discriminazione di genere: impedisco ad una bambina di nascere, preferisco nasca un maschio.
    Il significato chiaro e preciso delle parole di Sofri lo puoi chiedere solo a lui, scrivigli e chiedigli se intendeva che l’aborto è un omicidio come stai supponendo tu. La sua rsposta chiarirà il tuo dubbio.
    Può non essersi posto il problema di scrivere “embrione” o “feto” di sesso femminile, ma ha semplificato con un “dal genocidio delle bambine prima e dopo la nascita” perché non immaginava che qualcuno potesse usare questa frase per attribuirgli una posizione genericamente antiabortista. Anche perché Sofri si è espresso sugli aborti selettivi più volte, mai però contro l’aborto in generale, anzi scrisse più di un pezzo contro la crociata di Ferrara e contro la disinformazione su pillola del giorno dopo e la sua strumentale confusione con la Ru486.

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