CHI SONO IO PER AVERE TUTTO QUESTO POTERE? SULL'ABORTO, SULL'OBIEZIONE

Quel che mi stupisce non è nemmeno che se ne discuta ancora, ma che se ne discuta in termini così violenti. Assassine e cose così. Vorrei investire con la macchina Emma Bonino ma poi mi fermo e prego per lei. Cose così. Decidere se essere madri o meno non dovrebbe, non più, essere questione da mettere in dubbio. Invece, anche dopo le parole del Consiglio d’Europa sulla discriminazione dei medici italiani non obiettori, la questione torna, e manca poco che Giuliano Amato torni a dire la sua. Facciamo così, per toccar con mano. Vi riposto un estratto da “1978, l’interruzione volontaria di gravidanza”, “C’è chi dice no. Dalla leva all’aborto. Come cambia l’obiezione di coscienza”) di Chiara Lalli. E’ una testimonianza. Di una dottoressa. Leggetela.
Scegliere di eseguire interruzioni di gravidanza non è una scelta facile. Lo spazio già angusto dedicato alla questione è occupato esclusivamente dal vissuto della donna, in genere quando c’è qualche caso che va storto più degli altri. Passata l’emergenza della cronaca nessuno se ne interessa più. Come vivono i medici questa parte della loro professione? L’ho chiesto proprio a Paola Lopizzo (Ospedale San Giovanni – Addolorata di Roma, unica ad eseguire interruzioni di gravidanza tardive) durante una pausa di una domenica di turno in ospedale.
“Per me non è facile fare interruzioni di gravidanza. Il medico vuole curare, magari non ci riesce sempre, ma ha quella idea quando decide di diventarlo. Poi in particolare il ginecologo fa nascere i bambini! Dedicare un parte della propria attività a distruggere la vita è doloroso, qualsiasi sia la ragione è un aspetto distruttivo e non costruttivo.
Io ho deciso di non essere obiettore, anche perché ho scelto liberamente di fare questo lavoro e di lavorare in una struttura pubblica. Sul Journal of Medical Ethics è stata pubblicata una indagine sul parere degli studenti di Medicina in Gran Bretagna riguardo all’obiezione di coscienza. Le domande riguardavano alcune procedure moralmente conflittuali: è giusto che un medico faccia obiezione di coscienza, per esempio, sull’interruzione di gravidanza, sulla contraccezione, sul trattamento di pazienti ubriachi o drogati o di persone di sesso opposto a quello del medico? Le risposte affermative sono state oltre il 45% del campione (su 1437 studenti contattati, hanno risposto in 733). (Sophie LM Strickland, Conscientious objection in medical students: a questionnaire survey, Journal of Medical Ethics, 24 may 2011, nda).
Forse anche perché sono una donna (ho fatto l’amniocentesi quando ero incinta e in caso di diagnosi infausta mi sarei trovata di fronte a un dilemma che nessuno vorrebbe affrontare), c’è una legge dello Stato e – per quanto a volte sia pesante – cosa succede se nessuno eseguisse interruzioni di gravidanza? Se tutti fossero obiettori, la legge decadrebbe.
Alcuni aborti per patologie fetali mi hanno messo in grossa difficoltà emotiva, sicuramente più sentita perché ero sola, ma penso che sia giusto che ci sia questa legge e che le donne debbano poter scegliere e avere la garanzia di questo servizio. Come faccio a essere d’accordo con la legge e poi però dire “io non lo faccio, lo farà qualcun altro”?
I medici non obiettori sono pochi e nessuno parla della loro fatica, della nostra fatica. Non possiamo condividerla. In Francia, per esempio, il 90% dei medici è non obiettore e allora c’è modo di confrontarsi e di condividere i dubbi e le incertezze.
Qui al reparto ho una discreta collaborazione da parte dei medici obiettori – caso raro perché capita che siano ostili: la situazione non è certo ottimale ed è dovuta principalmente al mio carattere. Ho una rete di consulenti miei, ma non dovrebbe essere il mio compito! Non dovrebbe essere relegato alle iniziative personali. Anche perché ci sono troppe differenze di servizi tra una struttura e l’altra.
Nonostante il clima collaborativo è un lavoro che faccio da sola. Le pazienti le seguo io. Oggi ho una paziente per un aborto tardivo e in più sono di guardia, quindi può succedere anche di avere imprevisti. Tutto questo pesa solo su di me”.
Il racconto di Lopizzo, oltre alla solitudine, tocca il dolore delle interruzioni tardive e la contraddizione dell’elevato ricorso alla diagnostica prenatale. “Entro i 90 giorni si potrebbe filosofeggiare sul fatto che sono gravidanze evitabili, almeno in teoria e almeno in parte. Se escludiamo le violenze sessuali, gli errori o le condizioni di scarsa informazione, diciamo che un parte di quelle gravidanze sarebbe prevedibile e evitabile ricorrendo alla contraccezione.
Ma dopo il terzo mese l’interruzione è fatta nella maggior parte dei casi per malformazione fetale, oppure per ragioni di salute della donna (ho fatto interruzioni di gravidanza su feti sani perché la donna aveva scoperto di avere un cancro al seno o la leucemia). Sono gravidanze desiderate, non evitabili. Queste donne non vorrebbero mai abortire!, vivono un conflitto e un dolore profondi.
Essere obiettori significa tirarsene fuori, eppure la diagnostica prenatale la fanno tutti, ospedali religiosi, obiettori, tutti. Anzi in Italia la si spinge molto, non si scoraggiano le pazienti. Il numero di ecografie e amniocentesi è altissimo. Ancora di più nelle strutture private (l’amniocentesi si paga tanto). A che serve la diagnostica prenatale? Purtroppo non serve a curare. O per trovare bambini sani. Se fossimo sicuri che tutti i bambini sono sani non faremmo indagini! Le indagini servono per diagnosticare in larga parte patologie incurabili. E dare alla paziente la possibilità di scegliere. In alcuni casi la patologia esclude la sopravvivenza del feto e della scelta rimane ben poco.
È vergognoso che alcune strutture campino su questo mercato e poi mollino le donne al loro destino. Lasciamo perdere le strutture religiose che si nascondono dietro al sofisma che loro fanno diagnosi in modo che la donna si possa preparare. Le pazienti che dicono che non abortirebbero in alcun caso decidono di non fare indagini. Molte volte mi hanno detto: “è inutile che io faccia una diagnostica invasiva, facendo correre anche il rischio all’embrione, tanto io porto comunque avanti la gravidanza. E se sapessi che è affetto da una patologia vivrei angosciata per il resto della gravidanza. Lo saprò alla nascita e lo accoglierò per quello che è”.
In troppi pensano che le pazienti siano incapaci o abbiano bisogno di un tutore che decida cosa debbano pensare e addirittura parli in loro vece. Bisognerebbe chiedere alle donne e non presumere ragioni e desideri per nascondersi ipocritamente dietro a una scusa.
Sono frequenti i casi di grosse strutture private gestite da obiettori che fanno e vivono sulla diagnostica prenatale. Poi alle pazienti dicono “devi abortire altrove, noi siamo obiettori”.
La diagnostica è un lavoro pulito (questa è la loro assurda pretesa), noi dobbiamo fare il lavoro sporco. Il medico deve farsi carico anche degli aspetti sgradevoli: quando assisti un malato terminale non è forse sgradevole e doloroso? Come si fa ad abbandonare una donna che ha appena saputo di una diagnosi infausta? Non sempre le loro decisioni ci troveranno d’accordo, ma è una ragione per non prendersene carico? Io ho avuto casi su cui non concordavo e sono stata molto incerta, ma poi ho pensato: se non lo faccio io, chi lo fa? E poi ho pensato anche: è giusto che nelle mie mani ci sia il destino di un’altra persona? Chi sono io per avere tutto questo potere?
C’è molta ipocrisia. Tanti colleghi di servizi religiosi mi mandano le pazienti ad abortire. Posso anche condividere l’obiezione, ma deve essere genuina. Io lo capisco. Ma poi non mi mandi, dopo aver fatto magari un’amniocentesi, una paziente perché non vuoi sporcarti le mani. O una conoscente o tua moglie.
Ho un collega obiettore che rispetto molto, e che non si è mai opposto a una epidurale per esempio. Si dà da fare tantissimo per le pazienti. Facciamo accese discussioni, ma la sua scelta non è di comodo. E lui non fa indagini prenatali: “non posso poi abbandonare le donne e dire loro che io non faccio interruzioni di gravidanza”. È coerente. Ce l’ha la coscienza.
Molti invece che coscienza hanno? Fai una diagnosi di idrocefalia e poi cosa dici alla paziente? “Devi interrompere la gravidanza perché tuo figlio sarà un vegetale ma non qui e non con me”. E quella poi deve andare in giro e arrangiarsi? Tanti medici non dicono alle donne nemmeno dove andare. Non è semplice trovare dove fare una interruzione di gravidanza tardiva”.
Non è semplice, questo lo abbiamo imparato.

8 pensieri su “CHI SONO IO PER AVERE TUTTO QUESTO POTERE? SULL'ABORTO, SULL'OBIEZIONE

  1. A me per esempio è andata cosí. Nel 2002 sono al terzo mese di una gravidanza gemellare, gli esami del sangue impazziscono, la ginecologa mi dice di correre a cercare un abortista entro quattro giorni, cercare di salvare la pelle a me e all’unico bambino che mi resta. Mi chiede se voglio farlo in ambulatorio o in ospedale e quando rispondo ospedale leva gli occhi al cielo. Ora io vivo in Emilia Romagna, non in Calabria, non in Sicilia, che hanno numeri atroci di obiezione. Nella lista stampata ci sono OTTO nomi di medici che, dai dati delle prenotazioni, risultano avere posti liberi nel NORD ITALIA ( Lombardia, Veneto..). Vado a casa e comincio a telefonare. Mi accetta un medico di Modena. Davanti alla sua porta, il giorno e l’ora dell’appuntamento, siamo in venti o trenta, chi per una visita preparto, chi per un controllo. Quando entro l’infermiera mi dice che lei è obiettrice, devo quindi ascoltare il suo discorso introduttivo sui diritti alla vita mentre il medico sterilizza gli aghi con cui dovrebbe colpire il feto malato schivando quello sano, la cosa dura in tutto circa venti minuti. Dopo di che mi rialzo, mi dicono che se voglio posso salire in reparto, dev’esserci un letto in cui mi posso fermare un quarto d’ora. Sotto un crocefisso, in un reparto vuoto, poche ore prima che le cose degenerino e debba correre di nuovo in ospedale, ho tempo di pensare all’obiezione e ai diritti miei e di mio figlio.

  2. Mi pare che un motivo importante che incide sul ricorso all’obiezione, sempre più massiccio, sia da individuare nel fenomeno (di cui non sento quasi mai parlare e del tutto scoraggiante per i medici), dell’elevato tasso di recidive, soprattutto tra le donne straniere che, se non ricordo male, vanno incontro a due o più aborti volontari, magari nell’arco dello stesso anno, e questo significa mancata un’assunzione di responsabilità.
    Evidentemente, a oggi, l’educazione sessuale e contraccettiva ha fallito, determinando queste drammatiche situazioni, soprattutto tra le più giovani che, oltretutto e a quanto mi risulta, abusano della contraccezione d’emergenza, ignorando ad esempio i pericoli legati alla trasmissione di malattie veneree.

  3. Mauro, direi che sei veramente OT, o fuori tema se preferisci.
    Il medico intervistato ha posto il focus su alti tipi di interruzioni di gravidanza: quelle determinate in larghissima parte dall’esito infausto delle indagini prenatali.
    Io dico grazie a un medico come Paola Lopizzo e quelli come lei che non si tirano indietro. Non si chiede al medico di interpretare la legge, non si chiede di fare discorsi etici, non si chiede neanche consulenza sulla contraccezione. Quando si arriva a una IVG si chiede solo quello.
    Colpevolizzare la donna è sempre la scorciatoia più facile (ancora più in discesa se si parla di immigrate, straniere o adolescenti).
    Ognuna di noi ha la propria storia e credo che nessuno possa parlare a nome di una donna che sceglie l’IVG. Proprio nessuno.
    Quindi grazie (con la speranza ovviamente di non dover mai ricorrere a questa scelta così dolorosa ed estrema).

  4. Ho allargato il discorso, visto che il tema dell’obiezione è alquanto spinoso, non mi pare proprio di essere fuori tema, almeno credo…
    Io non ho “voluto” colpevolizzato le donne, anche se l’irresponsabilità esiste, bisogna pur prenderne atto, è una caratteristica comune e che riguarda tutti noi, uomini e donne, in ogni campo della nostra vita.
    Ho anche detto che ha fallito un sistema che doveva puntare sopra ogni altra cosa all’eliminazione dell’aborto, tramite una capillare opera di informazione e sensibilizzazione sulla contraccezione ad esempio.
    In realtà il coito interrotto continua purtroppo ad essere il metodo ancora oggi più usato, i ragazzini sono ignorantissimi sul sesso, sulla riproduzione e sui metodi anticoncezionali, ecc
    Comunque le recidive di cui parlavo, e il ricorso eccessivo delle giovanissime alla contraccezione d’emergenza sono fatti, non opinioni e i fatti possono anche colpevolizzare, ma sono fatti.

  5. Dati, Mauro, dati. “Se non ricordo male” non è un dato statistico. Ritorna quando hai fatto i compiti.
    In ogni caso, gli obiettori sono anche gli stessi che combattono l’educazione sessuale nelle scuole. L’educazione sessuale è fondamentale!

  6. Scusami Elisa, sto solo dicendo quello che penso e che so (quello che so con sufficiente certezza).
    Ma se tu hai dei dati diversi, forniscili, così come se hai opinioni diverse, raccontale, ma ti consiglierei di evitare le frasi – tipiche della rete, di una certa rete …. – del tipo “torna quando hai fatto i compiti”, anche perchè, a sua volta, non è un dato statistico ……
    Conosco, se permetti, alcuni sanitari, e medici ginecologi che, nel tempo e contrariamente alle loro iniziali scelte, sono diventati obiettori per “stanchezza”, quella stanchezza dovuta a quei motivi, a quei fatti che dicevo. E sono tutti molto favorevoli all’educazione sessuale nelle scuole, quindi io eviterei di parlare per intere categorie (cioè per luoghi comuni e/o pregiudizi), soprattutto nel momento in cui mi fai la polemica sui dati statistici.

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