COAZIONE A RIPETERE: COSE DI CUI VORREI SI RAGIONASSE

Visto che a quanto pare non è successo niente, e visto che si torna più o meno allegramente a infilarci nelle polemiche della settimana, salto le polemiche medesime e provo a spiegare perché non va affatto tutto bene. Parliamo di donne. C’è un’antica faccenda che si chiama coazione a ripetere. La medesima non implica necessariamente un atto intenzionale, ma l’aver introiettato una cultura. Esempio sciocco: l’app di Immuni. Non credo affatto che gli amabili sviluppatori intendessero coscientemente reiterare uno stereotipo nelle illustrazioni di accompagnamento, mamma col bimbo in braccio, padre col computer, ma intendevano come ovvia e “naturale” quella scelta. L’aver invertito i ruoli (padre col pupo, madre col computer) indica la stessa, totale, incomprensione della questione. Dove dovevano metterlo, il pupo? Dovevano mettercelo per forza? Dovevano moltiplicare la possibilità di “fare famiglia”? Non è importante. E’ importante, appunto, la coazione a ripetere: e coazione a ripetere è anche la reazione di molte persone che hanno interpretato la protesta di alcune come un attacco alla maternità.
Secondo punto. La famigerata statua di Montanelli, su cui non ho alcuna intenzione di intervenire, perché a questo punto la polemica è incistata, è semplificata, è polarizzata e per quanto mi riguarda, posta nei termini in cui attualmente è, non serve. Servirebbe semmai ragionare su cosa ha portato a erigere la statua, e su cosa porta a difenderla, eccetera. Ma andiamo avanti. Mi colpisce un elemento di contorno, se volete, ma che di contorno non è: parlando di tutt’altro, incappo in una serie di commentatori che, in un caso, mi accusano di aver imbrattato la statua di rosa, ai tempi. Al mio stupore, mi piazzano un comunicato di Non una di meno dell’epoca. Ora, il punto come si vede è: sei donna, femminista, dunque sei stata tu. Secondo commentatore: sempre parlando di tutt’altro, interviene con una diatriba contro le femministe. A contestazione risponde che le femministe sono tutte uguali, esagitate baccanti pronti a sbranare il libero pensiero.
La discussione sulla statua, per quanto mi riguarda, è diventata un pretesto per regolare conti che non si sono affatto sanati in questi mesi. C’è stata una pandemia, lo ripeto caso mai qualcuno se lo fosse dimenticato, e le cose sono peggiorate. Le donne sono state imprigionate ancor di più in un ruolo che era già, nel nostro paese, quello di colei che cura: hanno curato un sacco, negli ultimi mesi. Non solo negli ospedali, ma nelle case, nutrendo, consolando, lavorando. La pandemia ha reso evidenti le disuguaglianze, di ogni tipo (economiche, di genere, di classe) ma non solo non vedo tentativi di sanarle, ma mi sembra che stia diventando un’occasione da cogliere per strillare “liberi tutti, torniamo a come eravamo prima”, e tutte le puntualizzazioni e i richiami alla complessità vengono bollati come rigurgito”politicamente corretto”. Ancora, come già detto. Se si fa notare la scarsa presenza delle donne come pensatrici interpellate su dove siamo e cosa ci sta accadendo, si tirano in ballo, tra i cachinni di ordinanza, le quote rosa.
C’è un altro simpatico termine, Gender Backlash. E’ il contrattacco, o l’onda di riflusso se preferite, che riguarda le donne, e che si presenta quasi sempre dopo una guerra. O qualcosa che alla guerra somiglia, come ben scrisse Susan Faludi  dopo l’11 settembre.  O, ancora, nel mezzo di una forte crisi economica. Nel 2011 feci una chiacchierata  con Enrica Asquer, che ha studiato il Gender Backlash italiano dopo la seconda guerra mondiale,  e le chiesi, a bruciapelo, se  ritenesse che fossimo in procinto di vivere una condizione simile. La risposta è stata sì.   Nove anni dopo, ne sono ancora più convinta. All’epoca, consideravamo il Backlash da una sola prospettiva: l’uso e l’abuso del corpo femminile in televisione, in pubblicità, sui giornali, sui libri. Non è l’unica e non mi stancherò mai di ripeterlo. Il Backlash ha due facce: e quella più frequente, quanto insidiosa, è la rappresentazione (l’autorappresentazione, per meglio dire) del femminile come materno, accudente, rassicurante, pacifico. Espulsa – forse – l’immagine della donna come mero e silente corpo esposto, l’oscillazione del pendolo ci ha riportato nell’altro modello.
Parliamo di questo, magari?

Un pensiero su “COAZIONE A RIPETERE: COSE DI CUI VORREI SI RAGIONASSE

  1. Sottoscrivo ogni parola. Anche se, purtroppo, i richiami alla complessita’ non sono ignorati o ridicolizzati solo da un lato. Purtroppo, talvolta questo accade anche all’interno di alcune delle numerose e diversificate frange del movimento femminista (sto pensando al caso di JK Rowling ma mi fermo qui perche’ temo di essere un po’ OT).

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