COME D’ARIA: UN LIBRO, PER UNA VOLTA. QUESTO LIBRO

Non parlo spesso di un libro specifico, qui sopra. Oggi faccio eccezione, perché ho finito di leggere Come D’Aria, di Ada d’Adamo, che è uscito da pochi giorni per Elliot. Sì, è un libro sulla maternità, ma non solo. Ada è una danzatrice e una coreografa, una di quelle donne che appunto sembrano poter galleggiare nell’aria, e che controllano ogni frammento del proprio corpo. Ma non tutto si controlla, purtroppo. Specie se non si viene aiutati. Sembrerà paradossale, ma io ricordo benissimo la lettera che Ada scrisse a Repubblica. Era il 12 febbraio 2008. Questa:

“Gentile Augias, un «bravissimo» medico non è stato in grado di leggere da una ecografia che mia figlia sarebbe nata con una grave malformazione cerebrale. Oggi la mia bimba, poco più di 2 anni, è persona pluridisabile, invalida al 100 per 100. Frequentando i reparti di neuropsichiatria infantile incontro decine di bambini nati prematuri. Sono per lo più ciechi o ipovedenti, come la maggior parte dei nati pretermine. Quasi sempre il deficit visivo si accompagna ad altri danni, cerebrali o motori, irreversibili. Ho conosciuto famiglie sbriciolate, unioni distrutte, donne sprofondate nella depressione. Non tutti hanno la forza fisica, gli strumenti psicologici, i mezzi economici, la cultura che ci vuole per combattere contro la burocrazia, la crudeltà di certi medici e l’ inciviltà imperante, la solitudine e la stanchezza, infine, contro se stessi e la propria inadeguatezza. E’ per queste persone, soprattutto, che le scrivo. La chiesa, la politica, la medicina smettano di guardare alle donne come a puttane che uccidono i propri figli. L’ aborto è una scelta dolorosa per chi la compie, ma è una scelta e va garantita. Anche se mi ha stravolto la vita, io adoro la mia meravigliosa figlia imperfetta. Ma se avessi potuto scegliere, quel giorno, avrei scelto l’ aborto terapeutico. Ai medici che vogliono rianimare i feti anche senza il consenso delle madri dico di uscire dai reparti di terapia intensiva, andare a vedere cosa sono diventati quei bambini, a quale eterno presente hanno condannato quelle madri”.

Nasce Daria, dunque. E nulla è semplice: il pianto è continuo e disperato, la diagnosi è oloprosencefalia. Una malformazione molto rara, e soprattutto diagnosticabile con l’ecografia. Nasce Daria, e non nasce Bianca, la figlia di Francesca che è la migliore amica di Ada. In quel caso, per la stessa, rarissima malformazione ma diagnosticata dal medico, la scelta è l’aborto terapeutico (e anche questa storia è stata raccontata in un bellissimo libro, appunto Bianca, di Francesca Pieri). Nasce Daria, dunque, e la vita di Ada, il corpo stesso di Ada, si modellano sulla bambina. Finché il corpo di Ada tradisce, e subentra un cancro. Molto grave.

Io sono una lettrice che diffida spesso delle storie del trauma: l’ho scritto tantissime volte, anche qui. Ma non stavolta. Perché questa storia non chiede a chi legge di specchiarsi e non è stata scritta per questo: certo avverrà lo stesso. Chi ha attraversato il terribile tempo sospeso in cui il figlio o la figlia sono nel limbo della terapia intensiva neonatale, e ancora nei sogni ascolta il suono dei monitor che sembrano campanellini di volta in volta magici o spettrali a seconda del ritmo, ecco, non potrà a sua volta non ripensare a quel che è stato. Ma c’è qualcosa di più del pelle-a-pelle fra chi scrive e chi legge. C’è la bellezza. C’è, nonostante tutto, luce e grazia. C’è quel che ci fa capire quanto  gli esseri umani rechino in sé speranza. Hope, dice Morfeo a Lucifero. Hope, anche all’inferno.

E c’è, in questi giorni in cui si parla di maternità, anche la sottolineatura di quel che avviene quando si viene private della libertà di scegliere. Che non significa disamore, per niente.

Grazie. Davvero grazie per questo libro: non c’è altro da dire.

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