COME VE LO DICO, RAGAZZE?

“Non è più chiaro se vi siano ancora donne, se ve ne saranno sempre, se bisogna augurarselo o no, che posto occupano nel mondo, che posto dovrebbero occuparvi. ‘Dove sono le donne?’ […]. Ma innanzi tutto: cos’è una donna? ‘Tota mulier in utero: è una matrice’, dice qualcuno. Tuttavia parlando di certe donne, gli esperti decretano ‘non sono donne’, benché abbiano un utero come le altre. Tutti sono d’accordo nel riconoscere che nella specie umana sono comprese le femmine, le quali costituiscono oggi come in passato circa mezza umanità del genere umano; e tuttavia ci dicono ‘la femminilità è in pericolo’; ci esortano: ‘siate donne, restate donne, divenite donne’. Dunque non è detto che ogni essere umano di genere femminile sia una donna; bisogna che partecipi di quell’essenza velata dal mistero e dal dubbio che è la femminilità. La femminilità è una secrezione delle ovaie o sta congelata sullo sfondo di un cielo platonico? Basta una sottana per farla scendere in terra? Benché certe donne si sforzino con zelo di incarnarla, ci fa difetto un esemplare sicuro, un marchio depositato. Perciò essa viene descritta volentieri in termini vaghi e abbaglianti, che sembrano presi in prestito dal vocabolario delle veggenti”.
Come ve lo racconto, ragazze? Con le parole di Simone de Beauvoir, che appartengono a un secolo fuggito via? Con il film Suffragette, che ci ricorda come eravamo e come non saremmo state senza di loro, e che giustamente Lorella Zanardo porterà nelle scuole? O con le storie raccolte pazientemente dalle giovani donne di Softrevolutionzine (che, per dire, recensiscono questo piccolo libro per non far sentire sole, e colpevoli più che mai, quelle che decidono di interrompere la gravidanza)?
Come ve la spiego, la lettera del gruppo di #ObiettiamoLaSanzione alla presidente della Camera e alle parlamentari sulle difficoltà (oggi anche, appunto, sanzionate) che incontra chi decide se essere o non essere madre? Come faccio a raccontare che tutto quel che viene detto su un argomento complicatissimo come la gestazione per altri (lo spauracchio che viene agitato di qua e di là, senza quasi mai ricordare che il corpo di una donna non appartiene che a lei, ed è lei la sola che può decidere cosa fare, anche se la decisione dovesse costarle) è spesso frutto di semplificazioni e reciproche intolleranze?
Mi piacerebbe essere in grado di spiegare cosa significhi libertà di scelta, e anche cosa significhi non essere sole: perché quando si comprende l’importanza della libertà non solo non si teme la solitudine, ma non la si vive, perché si cammina su una strada aperta alle libertà degli altri, e dunque quella strada sarà fatta di incontri. Mi piacerebbe saper trovare le parole per darvi coraggio.
Perché le ragazze che hanno l’età di mia figlia non hanno paura di “perdere la propria femminilità” e di non venir riconosciute e gratificate in quanto femmine: hanno paura di un’indifferenza che non ha a che fare con l’appartenenza sessuale, ma riguarda tutte e tutti. Le ragazze dell’età di mia figlia non temono di non apparire belle quando si riflettono in uno sguardo maschile: temono gli sguardi abbassati, di donne e di uomini, su uno smartphone, come se il mondo esterno non esistesse. Le ragazze dell’età di mia figlia temono l’indifferenza, la violenza, il rancore, la pretesa di decidere anche per gli altri. Temono la fine di una coesione sociale. Temono la riduzione di ogni progetto futuro a un progetto individuale o di piccole monadi familiari.
Temono anche noi, ma certo: noi madri ingombranti che cerchiamo di sovrapporre i nostri discorsi ai loro, invece di lasciare che fioriscano. Perché fioriranno, e quelle parole che oggi non troviamo saranno loro a usarle: purché trasmettiamo loro la fiducia che già riponiamo in loro. Quella che abbiamo avuto la prima volta che sono uscite da sole, la prima volta che hanno dormito fuori casa, la prima volta che hanno fatto un viaggio. Sapendo che ci avrebbe dato ansia. Sapendo che ogni distacco è un lembo di carne in meno. Ma sapendo, e sperando, che ogni strappo, ogni perdita, è una promessa. E’ una speranza. E di questo le nostre figlie hanno bisogno, più che mai.

3 pensieri su “COME VE LO DICO, RAGAZZE?

  1. Un punto di partenza ferocemente necessario è, al di là di ogni retorica, l’accusa verso l’obiezione di coscienza nel servizio pubblico. Le mappe ci dicono dell’impossibilità di accedere, nei tempi stretti richiesti dalla situazione, ad un aborto in una struttura pubblica. E’, va detto, un crimine. Contro il quale dovremmo tutti, uomini e donne, incatenarci ai picchetti. In seconda istanza parliamo dello smantellamento sistematico dei consultori e delle conseguenze che comporta.

  2. Da anni combattiamo per marcare la differenza di genere, a cominciare dal linguaggio, nel voler evidenziare che i sostantivi hanno il loro peso soprattutto nei termini istituzionali, anche se i dizionari non li prevedono sempre. Come docente di scuola superiore cerco di sensibilizzare i miei studenti su questo. Inoltre ho deciso quest’anno per l’8 marzo di far vedere il filmato della Zanardi sul corpo delle donne perché voglio capire fino a che punto le ragazze e ragazzi nati nel 96/97 sono consapevoli dei danni prodotti dai media e dalla pubblicità nell’universo femminile.

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