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In realtà la discussione sulle storie e sull’immaginazione continua. Nel male (quelle e quelli secondo i quali cosa sia fantastico e cosa no lo decidono loro e solo loro e guai  chi esplora altri mondi che non conoscono o non benedicono) e nel bene (quelle e quelli che, appunto, esplorano con generosità e senza barriere). 
Nella seconda categoria rientra Girolamo De Michele, che offre alla discussione un suo intervento uscito qualche tempo fa su Euronomade.
Eccolo.
“In effetti, bisognerebbe dire che il realismo, ossia la fede nella “realtà che si vede” come unica realtà esistente, nasce con la recinzione del mondo magico all’interno del letterario e la negazione della realtà del magico e del fantastico.”

“È la contrapposizione netta fra “una” razionalità e un “irrazionalismo” ad essere errata: ce lo ricordava, fra i tanti, Primo Levi ne I sommersi e i salvati, stigmatizzando la nostra propensione verso le narrazioni storiche manichee. Ma non esiste “una” razionalità: come ogni cosa (a partire dalla soggettività e dalla natura), anche la razionalità è un campo di battaglia fra diversi razionalismi, alcuni dei quali strutturano quel campo avverso che chiamiamo ragione capitalistica o imperialistica. Non comprendere questo significa ricadere in certe teorie del disincanto, riedizione annacquata di un concetto weberiano già di per sé discutibile, che facendo coincidere ogni razionalità con una sola razionalità, fanno collassare tout court la razionalità col potere (a sua volta inteso come un monolito): col risultato di sdoganare in chiave “antagonista” ogni e qualsivoglia “irrazionalismo”.
Leggere queste parole fa bene, soprattutto dopo la trentesima mail in cui si annunciano i romanzi dell’autunno con la dicitura “tratto da una storia vera”, come se questo sancisse la qualità del testo a prescindere. Il pensiero è di Girolamo De Michele, in un lungo articolo dal titolo “Il fantastico è un campo di battaglia”, che vi invito a leggere integralmente.

Facciamo un esercizio di memoria. Facciamolo prima di attribuire la vittoria delle destre in Italia e non solo ai vestiti di Ellie Schlein o alle mancate alleanze elettorali. Facciamolo provando, per una volta, a interrogarci su cosa ci è accaduto (e non è accaduto solo a noi) negli ultimi quindici anni. Facciamolo chiedendoci come sia possibile che “fare rete”, considerarsi parte di una moltitudine, non riesca o riesca occasionalmente e male.
Nel 2008 Aldo Bonomi si chiede: “”Come è stato possibile che chi sapeva tutto della fabbrica, della catena di montaggio, del rapporto fabbrica-territorio negli anni Settanta e Ottanta, a un certo punto si sia trovato completamente spiazzato di fronte al cambiamento?”.
Il problema è che molti intellettuali sono stati e sono distaccati. Ripensate un momento alla coesione di ampi gruppi di scrittori e scrittrici sotto il governo Berlusconi. Guardate all’oggi. Non aggiungo molto perché ci tornerò.
A chiosa, le parole di Marco Revelli,di nove anni fa. Parlava, allora, dei “forconi”, che abbiamo già dimenticato (così come abbiamo dimenticato che la rabbia  cresce in un paese infelice, povero, immobile): “sarebbe una sciagura – peggio, un delitto – regalare ai centurioni delle destre sociali il monopolio della comunicazione con questo mondo e la possibilità di quotarne i (cattivi) sentimenti alla propria borsa. Un ennesimo errore. Forse l’ultimo”.
Speriamo di no.

LA MUTA

Da diverse settimane, ormai, ho contratto una piccola abitudine da social network: ogni sera posto su Facebook qualche verso di Franco Fortini, sotto la dicitura “il Fortini della sera”.  Oggi scelgo un frammento fortiniano (da “Gli ospiti”) per aprire questo…

LA SUA ULTIMA PAZIENZA

Riprendo e pubblico l’intervento che Girolamo De Michele ha fatto questa mattina su Carmilla. “Stanno votando la morte della Grecia. Noi abbiamo vinto contro i Nazisti, abbiamo vinto contro la dittatura fascista e vinceremo anche questa volta” (Mikis Theodorakis) In…

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