CREATIVI ED EPISTOLE

Almeno quattro segnalazioni che meritano.
Wu Ming 1 su Giap! a proposito della mentalità del ghetto…
Girolamo De Michele su Carmilla, a proposito delle liste di proscrizione.
Tornate sul blog di Giovanna Cosenza, quindi, alla voce Creativi senza cervello. Da meditare.
Poi. Andrea Bajani mi segnala la nascita di Corrispondenze da Snova: a mia volta, vi riporto qui la loro presentazione, via newsletter.

Cara lettrice, caro lettore,
la pagina che stai leggendo è un biglietto d’ingresso per visitare l’ufficio postale Corrispondenze da Snova. Lettere da una posta in stato d’allarme – www.corrispondenzedasnova.it
Ebbene sì, un ufficio postale in piena regola trasferitosi in rete, un luogo di smistamento di missive per nulla private. Ma, soprattutto, un ufficio in stato di allarme. Arrivano e partono di qui lettere, telegrammi, pacchi, raccomandate, cartoline da ogni parte del mondo reale (e di quello immaginario), del tempo presente (e di quello passato e futuro), verso destinatari esistenti (e fantastici). A chi visita è concesso di leggere ogni documento che passi di qui perché lo stato d’allarme, appunto, ci ha costretti a eliminare ogni vincolo di privacy; perché l’urgenza di prendere posizione critica in questo tempo di “ordinato disordine” ci ha convinti a prendere contatto con realtà diverse in modo pubblico, rivolgendoci direttamente a ciascuna, interpellandole, chiedendo risposte.
Molti sono oggi i segnali che ci costringono in uno stato di allarme. La fase così aggressiva e brutale a cui è giunto il capitalismo contemporaneo sembrerebbe chiedere la resa totale allo stato delle cose, la resa all’impotenza, alla rassegnazione. La crisi profonda della democrazia che coinvolge ormai in modo eclatante l’intero mondo occidentale, l’affermazione di fondamentalismi e di una regressione neo-oligarchica che investe tanto l’economia quanto la politica, l’aggressione alle libertà civili e ai diritti costituzionali, lo sviluppo di logiche repressive interne ed esterne agli stati nazionali debbono costringerci in uno stato d’allarme. La pervasività con cui l’ideologia della fine della storia e della fine del conflitto sociale e politico ha investito nel corso degli anni ottanta e novanta molta parte del pensiero occidentale, il parallelo abbandono della politica come luogo del conflitto e della lotta per la collettività, il diffondersi di uno scetticismo antipolitico e di una percezione sempre più privatistica dell’esistenza debbono costringerci in uno stato d’allarme. La fitta ramificazione con cui l’industria culturale investe ormai la maggior parte delle espressioni della vita contemporanea, la violenza con la quale lo “spettacolo” -nel senso in cui Debord ne
scrisse con lucida preveggenza ormai quarant’anni fa- caratterizza gran parte degli aspetti della nostra società debbono costringerci in stato d’allarme. Eppure la realtà sociale e politica, economica e dunque anche culturale esprime in continuazione contraddizioni. Anche oggi.
Per questo dobbiamo costringerci in uno stato d’allarme. Aprire un ufficio postale per fare critica (letteraria, teatrale, artistica, ma anche, più ambiziosamente, dei nostri tempi) in una prospettiva che si dichiara apertamente di parte, intende essere un modo per non accettare il ricatto dell’industria culturale che chiede, fra le altre cose, di essere strumenti atomizzati e impotenti, perennemente inadeguati, se non rassegnati, alle sue logiche; per inserirsi nelle pieghe e nelle contraddizioni di cui la realtà culturale, e prima ancora sociale, intorno a noi è segnata. Per chi, dunque. Per coloro che non riconoscendosi nella rappresentazione che la società di oggi dà di sé e del proprio passato, rifiutando letture deboliste o postmoderne e assumendosi la responsabilità di un punto di vista critico (parziale e partigiano), avvertono l’urgenza di verificare e di discutere i propri strumenti d’analisi.
Per continuare a pensare che il mondo sia ancora, in qualche modo, trasformabile.
Abbiamo affidato a una Lettera aperta alcune nostre riflessioni sulle ragioni della critica e dell’uso della forma-lettera per l’intervento critico e militante che è rintracciabile nel sito sotto la voce Manifesto.
Tra i destinatari già contattati compaiono Antonio Gramsci e Gustavo Modena, Walter Benjamin e Vladimir Majakovskji, Carla Tatò e Remondi e Caporossi, Elio Pagliarani; e poi Ermanno Olmi, Andrea Bajani, Paolino Paperino, Tiziano Scarpa, la Mondadori e “gli studenti” e altri ancora…
Da alcuni, ai quali la lettera perverrà anche tramite la posta reale (su carta cioè, a domicilio nella buca delle lettere) ci aspettiamo una risposta che, se autorizzati, pubblicheremo; con altri invece il rapporto non potrà che essere a distanza e virtuale, ma comunque mediato dagli interventi dei lettori interessati.
Le caselle postali saranno periodicamente riempite di nuove buste nostre, delle risposte che alcuni destinatari ci avranno inviato, dei commenti eventuali dei lettori.

47 pensieri su “CREATIVI ED EPISTOLE

  1. Scrivono i Wu Ming nel Giap da te citato: “Nel periodo marzo-dicembre 2007, Manituana ha venduto 52.178 copie. All’arrivo della notizia siamo rimasti sbigottiti: il nostro intuito, una ragionevole cautela e alcune proiezioni empiriche avevano impresso in mente il numero ‘quarantamila’, e già così sarebbe stato il nostro record (ne parliamo tra un momento), ma un risultato del genere è [inserire roboante aggettivo a scelta] e si spiega solo con il ‘combinato disposto’ di lunga attesa + passaparola + lavoro su questo sito + un tour di presentazioni da mozzare il fiato + non ultima, la campagna estiva di sconti (-30%) sul catalogo Stile Libero Einaudi.”
    Personalmente sono sbigottito dalla modestia del risultato, considerando che stavolta l’Einaudi si è mossa con la macchina promozionale lanciata al massimo dei giri (interi paginoni sui quotidiani, i 10.000 iscritti alla newsletter continuamente sollecitati, recensioni ovunque, presentazioni eccetera… ). In pratica 10.000 copie vendute per ogni wumingo. Risibile davvero, dati i tempi. L’unica spiegazione è questa: se il libro fosse stato un cicinino più vero ed emozionate, la campagna avrebbe fruttato come minimo 500.000 copie. Ma vaglielo a spiegare tu, a quelli lì, che l’odore dei prodotti concepiti a tavolino è inconfondibile… E pensare che ognuno dei cinque è, in sé, dotatissimo… Ora lo dico per l’ultima volta, almeno a Roberto Bui che considero mio amico di rete e che magari da oggi mi metterà nella lista dei cattivi: torna a Dogato, Bob. La tua America è lì. Ne avevamo già parlato. Rispondesti: “Qualcosa c’è già qui:
    http://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/wm1_su_battiato.htm “. Ciao.

  2. A parte che Loredana aveva linkato un altro pezzo e quindi siamo leggermente OT, non quello a cui fai riferimento tu, comunque che ti devo dire, Lucio, de gustibus. Per un Angelini che non ha apprezzato il romanzo, tanti altri ci si sono emozionati sopra. Non possiamo, non dobbiamo, direi anche che non vogliamo accontentare tutti. I nostri libri dividono, uniscono, dividono.
    Quanto alla “modestia” del risultato, tutto è relativo. Di fronte agli esiti sbandierati (e a detta di alcuni “drogati”) per altri titoli, certamente le nostre sono vendite modeste. Di contro, però, viviamo in un Paese dove se un libro vende diecimila copie l’editore lo considera manna dal cielo, e Manituana è l’ottantesimo libro più venduto in Italia nel 2007, su circa quarantacinquemila uscite editoriali.
    Tuttavia, non è questa la comparazione da fare, secondo me. E’ un’altra, ed è tutta interna al nostro percorso.
    Nel ’99 l’Einaudi allestì per Q una campagna anche più massiccia, tanto che candidò il libro allo Strega, titoloni, paginate, pseudo-scandalo a sei colonne perché non ci presentammo, poi nel corso dell’anno vincemmo diversi premi letterari, poi articoli pseudo-investigativi su chi fossimo etc. e in buona sostanza se ne parlò fino allo sfinimento. Aggiungiamoci anche l’abbrivio di cinque anni di Luther Blissett Project, con azioni e beffe finite su prime pagine di giornali e anche ai TG di prima serata. Loredana può testimoniarlo: c’era, e seguì da vicino tutta la vicenda.
    Eppure, alla fine dell’anno Q aveva venduto “poco più” di 31.000 copie.
    Secondo il parametro che proponi tu, un autentico, miserabile, inappellabile fallimento.
    A distanza di nove anni, invece, abbiamo la misura autentica di come sia andato e stia andando quel libro. Perché per le nostre produzioni bisogna ragionare in termini di “coda lunga”.
    Manituana è il nostro libro che ha venduto di più. Ha venduto poco? Boh, in termini assoluti può darsi, non saprei dirlo. Per noi, comunque, rimane il nostro libro che ha venduto di più. E quindi, all’interno del nostro percorso, è un successo, e come tale continueremo a considerarlo.
    [Tra l’altro, le cose che vorresti scrivessimo le abbiamo già scritte. Le nostre radici, i nostri nonni, le nostre terre… Abbiamo reso omaggio a tutto questo in “Asce di guerra” e “54”.]

  3. Dunque: due giorni fa ho visto il film “Into the wild”. L’emozione, in certi momenti, è stata talmente forte e inequivocabile che mi sono venuti i lucciconi agli occhi, come a una sartina. E’ vero che non è questo l’approccio raccomandato dai formalisti russi, da Brecht e dagli altri fautori del cosiddetto STRANIAMENTO, ciò non toglie che, leggendo Manituana, a sbadiglio è succeduto sbadiglio… tutto così perfettino e tutto così noiosamente phoney (parlo per me, sia ben chiaro). Comunque, se voi siete contenti del risultato raggiunto, non c’è problema. Felice anch’io per voi. Ma lasciami sperare che, un giorno, finalmente, scriverai anche tu (e da solo!!!) l’appassionante libro di cui ti ritengo PERFETTAMENTE ALL’ALTEZZA.
    P.S. Sì, 50.000 copie sono tante o poche a seconda dei punti di vista. In rapporto allo sforzo promozionale, secondo me, decisamente poche…

  4. Lucio, ogni libro tocca ciascun lettore in un modo diverso, la noia di Tizio è la commozione di Caio, non è un problema, va così e basta. E’ un anno che giro per l’Italia incontrando i lettori, so quel che dico, e del resto per farmi un’idea mi sarebbero bastati alcuni commenti lasciati sul “Livello 2”. Del resto, questa cosa della “freddezza” e dello scrivere “a tavolino” è stata sostenuta a vario titolo, a destra e a manca, per ogni nostro libro (collettivo e solista), l’abbiamo catalogata tra i “Clichés immancabili” e quindi non mi tocca più. Sono profondamente convinto che sia una critica infondata, so che tanti altri la pensano (anzi, la *sentono*) come me, e tanto mi basta.
    Per il resto: nessun nostro libro ti ha mai convinto, non ti sfiora il sospetto che non siamo “your cup of tea” e che forse continuare a chiederci di scrivere come piacerebbe a te anziché come piace a noi sia, ehm, una perdita di tempo?
    Infine: qualunque tentativo, anche blando, anche involontario (come in fondo sono i tuoi), di metterci l’uno contro l’altro o dire che uno è più bravo degli altri ha sempre finito per rafforzarci come gruppo.

  5. @Biondillo. Immagino non ti farebbe schifo nemmeno una campagna promozionale tipo quella di cui ha potuto usufruire “Manituana”. Resto dell’idea che la montagna pubblicitaria abbia partorito un topolino, così come topolinesca considero la stessa ‘Manituana’, rispetto al montagnoso talento di cui, in potenza, dispongono i Cinque Diversamente Chiamati (nick per nick, tra WuMing e Sveva Casati Modignani , poco cambia). Inutile ribadire che questa è solo la mia tronfia opinione, che chiunque può contraddire in qualunque momento:- )

  6. Lucio, ci sono diverse ragioni per cui il tuo ragionamento non funziona. Elencarle è, da parte mia, l’ennesima dimostrazione che ti voglio bene 🙂
    – La prima ragione è che le vendite di Manituana hanno abbondantemente ripagato l’investimento della casa editrice già nei primi due mesi di presenza in libreria. Tutte le aspettative nostre e dell’Einaudi sono state pienamente ripagate, anzi, nel nostro caso le aspettative erano addirittura minori. Non so che idea ti fossi fatto tu, ma forse non hai molto presente il reale volume di vendite dei libri in Italia.
    – La seconda ragione, te l’ho già spiegata, è che per noi il dato del 2007 è un successo senza precedenti. E il fatto che Manituana abbia funzionato si vede anche nel fatto che la sua uscita ha ri-movimentato la back-list, basti dire che Q ha venduto oltre 26.000 copie, cioè quasi diecimila più del record precedente dopo il ’99.
    – La terza ragione è che, vivendo troppo sui blog letterari e parlando troppo con gente “interna” (o “wannabe interna”) a questo mondo, si tende a perdere di vista il quadro della situazione. Comunicare in ambienti troppo poco diversificati genera quello che in inglese chiamano “information cascade”, cioè la percezione distorta di un evento o di una tendenza viene presa per vera in un dato ambiente perché manca chi possa confrontarla con percezioni esterne a quell’ambiente.
    In parole povere: a te sembra che su Manituana ci sia stata chissà quale campagna pubblicitaria perché hai visto due manchette e due annunci a tutta pagina (uno sulle pagine culturali di Repubbica, l’altro sul retro di “Alias”, supplemento del Manifesto).
    Peccato che, quando negli “strascichi” delle ns. presentazioni chiediamo ai lettori (del Sud, del Nord, del Centro, giovani, anziani, incontrati in biblioteca, al pub, in libreria, al centro sociale occupato) dove abbiano sentito parlare per la prima volta di Manituana, nessuno nomini mai recensioni o manchettes apparse sui giornali, e tutti parlino invariabilmente di Internet o di consigli dati da amici.
    Come si spiega?
    E’ molto semplice.
    I giornali sono in calo di vendite irreversibile, e la tendenza non è nemmeno recente e va peggiorando.
    Tra coloro che imperterriti continuano a comprare i giornali (una minoranza dei cittadini), solo una percentuale irrisoria legge le pagine culturali.
    Le pagine culturali vengono lette, o forse soltanto sfogliate, quasi esclusivamente da addetti ai lavori (o “wannabe addetti ai lavori”).
    Comprare spazi pubblicitari nelle pagine culturali dei giornali significa rivolgersi a una piccola minoranza.
    Se tu davvero pensavi, dopo aver visto quegli annunci (tutti fatti nei primi dieci giorni di presenza in libreria, ci tengo a sottolinearlo), che l’Einaudi puntasse a vendere mezzo milione di copie, (cifra non ancora raggiunta nemmeno da Q) cioè SEDICI VOLTE il miglior risultato mai raggiunto da un nostro libro nel suo primo anno di vendite, beh, secondo me hai creduto troppo a tutti quei post e commenti (alla Andreina Campolmi, per capirci ;-)) sulla Restaurazione, lo Strapotere dei Moloch editoriali etc.

  7. Perfettamente d’accordo con Wu Ming 1. Temo che occorra insistere su questo punto: l’Italia NON E’ il paese dei best-seller, la media delle copie vendute è bassissima, scavallare le mille copie a libro è impresa ardua. Tra l’altro, la rincorsa all’esordiente non accenna a diminuire (e nella stragrande maggioranza dei casi, non per procurarsi il talento nuovo, ma per aumentare il numero di titoli presenti mensilmente in libreria).
    Le campagne promozionali di cui parla Lucio si fanno in ben altro modo, e non sono state certo fatte su Manituana.
    E, quando vengono fatte, non sempre sortiscono l’effetto sperato, soprattutto. Ne abbiamo non pochi esempi.

  8. Va bene, se tu insisti a dire che è andato male, allora come vuoi tu, hai ragione, è andato male.
    Però lascia che ti dia un’ulteriore informazione, poi la chiudo.
    Con circa 1000 copie vendute nella prima settimana, “Hitler” di Genna era undicesimo in classifica narrativa italiana. E’ una cifra data da lui sul suo blog.
    Con 1000 copie vendute, in Italia, si va undicesimi in classifica.
    Noi, in una certa settimana del 2007, con un po’ più di 5000 copie vendute arrivammo al quarto posto della classifica GENERALE.
    Hai capito di cosa stiamo parlando?
    La chiudo qui, ciao.

  9. P.S. Ricordo, per inciso e a scanso di equivoci, che non sono il tipo da identificare gli esiti commerciali con la qualità intrinseca di un libro. Come dire che facevo due discorsi diversi e paralleli: il topolino commerciale da una parte e il topolino letterario dall’altra. Ma mi sta benissimo che la cup of tea dei wuming piaccia a molti. Io, peraltro, sono un patito del caffè.

  10. Mi pare una questione di ‘lana caprina’ facilmente dipanabile, se fossero disponibili le cifre lorde legate all’investimento promozionale e ai costi, visibili e nascosti, sostenuti per la promozione. Una banalissima analisi costi ricavi; roba da ragioneria 3° anno.
    Assomiglia molto alle discussione fra giocatori: irrisolvibili. Per alcuni vincere un 10.000 è molto, per altri molto poco.
    Punti di vista. Certo che, avendo qualche numero in più, al di là del dato di vendita nudo e crudo, si potrebbe portare la discussione in una direzione, forse, diversa e meno noiosa delle opinioni personali.
    Comunque 52.000 copie, da profano, non mi paiono poche per l’italico mercato della parola. Personalmente, dopo aver visto il libro incatenato dal cellophane e senza alcuna possibilità di sfogliarlo, l’ho lasciato dov’era.
    Blackjack

  11. @Blackjack. Sì, lo confesso. Quando ho letto che le copie vendute erano state solo 52.000 ho temuto fortemente che la proprietà di Einaudi – pagate le spese – ci avesse rimesso. “Poveri Einaudi!”, mi sono detto. “E adesso come faranno? Dovranno vendere i gioielli di famiglia… E poveretti anche i Wu Minghi: CINQUE famiglie CINQUE ridotte sul lastrico, con l’euro che vale quello che vale…”. Ma adesso che so che sia gli autori sia gli editori sono felici, mi sento più sereno anch’io:-/

  12. @Lucio, io sono la persona meno adatta per affrontare temi di questo genere; ho un rapporto talmente ‘strano’ con il denaro che, per tornare a quantificarne il valore comune, mi tocca una fatica terribile.
    Comunque 52.000 copie non mi paiono poche. Il tuo ragionamento è però diverso, mi pare di capire e, se posso osare riassumerlo, la sostanza mi sembra questa: le 52.000 copie hanno coperto i costi e garantito guadagni adeguati a tutti? Non ne ho idea e, non conoscendo l’ambiente, correrei il rischio di sparare delle amenità atroci, quindi mi zittisco e torno a studiarmi un mazzo di carte nuovo (odio queste novità ‘americane’); stasera sarò dalle tue parti, Cà Vendramin, saletta privata e queste maledette carte nuove che non mi piacciono.
    Ti ricorda qualcosa il luogo?
    Blackjack.

  13. Beh, ora che mi sono finito di leggere tutto il bel ping-pong sulle vendite, mi si è impressa nella mente solo la (falsa) convinzione che il valore di un libro è nel numero delle copie vendute (magari neanche aperte).
    Mi sembra di vedere punti di vista solo molto ristretti che nulla spiegano se non quello ovvio e condivisibile che può fare solo piacere ( e un pochino più di denaro) a un autore di essere riuscito a vendere un numero di copie sufficienti a che la casa editrice non ti dia un bel calcio nel culo. Se poi invece allarga l’orizzonte e guarda su un lungo periodo a quelli che sono i libri più venduti, ci si accorge di una tale incongruenza di autori, temi, gusti preferiti dai lettori che non collima per niente con ciò che misura il valore di un libro

  14. @”Luminamenti”, i motivi per cui i cinque bolognesi (unici in Italia, se non mi sbaglio) rendono conto delle vendite dei loro libri è spiegato proprio sotto il testo che state commentando:
    http://www.manituana.com/notizie/21/8326
    Personalmente mi fa un poco ridere tutta questa pruderì ogni volta che si ricorda che i libri stampati se si vendono è meglio che se van no al macero :)))
    Sui discorso “lordo e netto” e “investimenti e ricavi”, x quel poco che ne so gli editori grossi non fann oinvestimenti su un singolo libro ma su una stagione intera di uscite..

  15. Io posso parlare nel dettaglio soltanto delle cifre nostre, non di quelle dell’editore, che conosco solo pressapoco.
    Manituana costa € 17,50. Moltiplicando per 52.178 si ottiene il ricavo delle vendite del libro. L’autore prende il 12% del prezzo di copertina.
    Ovviamente questo è il lordo, e manca la commissione d’agenzia. Tolto quel che c’è da togliere, per queste prime vendite ciascuno di noi cinque ha guadagnato più o meno l’equivalente di un salario da metalmeccanico inquadrato al 5° del CCNL industria. Non ci sputiamo affatto sopra (*).
    Se l’autore di Manituana fosse una sola persona, da quel libro avrebbe guadagnato cinque volte il salario del suddetto metalmeccanico. Solo che abbiamo scelto di lavorare in gruppo, perché ci stimola di più e ci rende più forti, e quindi dividiamo da bravi compadres. E’ il socialismo, baby 🙂
    Però va tenuto conto di altre due cose:
    – Ci sono le royalties delle vendite degli altri nostri titoli. Anche questa è “coda lunga”: a un certo punto un autore ha un suo catalogo, e quelle vendite gli garantiscono una base di reddito annuale. Quest’anno la nostra back-list è andata molto bene, e quindi qualcosa vediamo pure da lì. E non dimentichiamo le vendite all’estero di ciascun titolo tradotto.
    – In realtà noi non campiamo esclusivamente delle royalties dei libri collettivi. Non li scriviamo per i soldi. Li scriviamo per la passione… e per il prestigio. Sono il nostro “core business” spirituale, prima ancora che produttivo. Sulla base di tale “spiritualità” (ma qualcuno potrebbe chiamarla “street credibility”, fate un po’ voi), ci arrivano, anche se a cadenza irregolare, proposte di lavoro diversificate (articoli da scrivere, soggetti da proporre, partecipazioni ad antologie, traduzioni etc.), progetti che spesso, *in proporzione*, sono pagati meglio dei romanzi. Anche quando va male, sono comunque “arrotondamenti” importanti.
    Insomma, io personalmente ci campo, benché debba evitare di largheggiare. Nell’attuale contingenza la mia è una famiglia monoreddito, con due adulti, figlia piccola e tre gatti, in una casa in affitto, in una città molto costosa. Riuscire a mantenerla è per me fonte di grande orgoglio.
    Poi, vabbe’, non sono diventato milionario.
    Ma non lo avevo nemmeno messo in conto.
    *) A rigore, però, questo non è reddito dell’anno 2007, perché quelle royalties ci erano già state anticipate in due tranches: metà alla firma del contratto, metà alla consegna del libro.

  16. Non ho mai detto (perchè non l’ho mai scritto) che i libri molto venduti debbano andare al macero o non siano qualitativi. Quel link l’avevo già letto ma non mi dice nulla sui criteri che possano mettere in discussione quanto un libro valga o meno. E, purtroppo, spero di sbagliarmi, quei motivi, quel rendere conto come lo chiami tu, fa pensare esattamente a quello che fa Berlusconi quando annuncia i risultati dei suoi sondaggi. Debbo spiegartelo? non credo!
    Solo di uno, si può presumere, che a distanza di altro tempo, possa essere oggetto di valutazione seria sul suo valore.
    Quando non è così, si rimane nel campo dell’opinabile e la mia opinione può non valere proprio nulla come quella di chiunque altro. La si dà o per il piacere di ragionare o perchè si è interessati (leggittimo ma non elegante)

  17. P.S. Dico “nell’attuale contingenza” perché la mia compagna deve finire la tesi di dottorato. Per qualche mese tiro io la carretta, poi torniamo a essere famiglia bi-reddito, com’eravamo prima. Se nel frattempo il Paese non crolla su se stesso con grande strepito, things are looking up 🙂

  18. Per carità, non volevo provocare tutto questo. Mi resta solo una curiosità: mettiamo che un grosso editore scommetta sul libro di uno sconosciuto (che ne so? mettiamo “Nenio” di Eugenio De Medio, attualmente leggibile solo on line) e ci investa gli stessi soldi che Einaudi ha investito in Manituana. Le copie vendute sarebbero ugualmente 52.000, 520.000 o magari solo 5,2 ? Se fossi miliardario, giuro che mi piacerebbe fare l’esperimento:- )

  19. P.S. Ho nominato “Nenio” solo per indicare un libro che non fosse una schifezza qualsiasi (altrimenti avrei offeso i Wuming), avesse una sua, pur controversa, dignità e buone potenzialità di vendita.

  20. Oh oh! Sembra che abbia toccato un nervo scoperto. Un vaffanfaculo da un uomo che scrive libri colti per persone colte è sempre imbarazzante.

  21. Nella mia famiglia mancano i tre gatti ma le bambine sono due (e la casa è in affitto e la città cara): comprendo PERFETTAMENTE il ragionamento di WM1 e lo condivido.
    Il problema è, Lucio, che NON LO SA NESSUNO. Persino investimenti ingenti in pubblicità, passaggi televisivi, recensioni, etc. potrebbero non bastare. Per ragioni spesso misteriose. (alcune anche palesi: certi libri, per quanto pompati, si sono dimostrati alla lettura spompi, e il passaparola esiste sia in senso positivo che in quello negativo).
    Ovvio che una buona distribuzione e una buona visibilità conta. Ma è una condizione, spesso, necessaria ma non sufficiente. Indipendentemente dalla qualità del testo in questione.
    Spesso per un esordiente ci vuole anche la poco scientifica “botta di culo”.
    Mentre il discorso sulla “fidelizzazione” e sulla “coda lunga” è già più strategico e i WM, da questo punto di vista, sono un modello (poco imitato; lo dico io per primo, che mi reputo l’ultimo degli stronzi catapultato in un mondo che ancora NON capisco appieno).
    Se “Q” vende ancora dopo 10 anni, possiamo dire che è ormai un “classico”, che supera le logiche del best seller (in Italia bastano 7.000 copie per appuntarsi la medaglia al petto) e diventa un long seller (insomma, si venderà ancora fra 10 anni, ne sono certo).
    Tutto ciò, inutile dirlo, non ha nulla a che fare (se non di straforo) con la scrittura in senso stretto. “Lezioni di tenebra” o “Cibo”, libri straordinari, pubblicati dalla più grande casa editrice nazionale, non li trovi più da nessuna parte, neppure negli oscar.

  22. Scrive Gianni:
    —-
    “Lezioni di tenebra” o “Cibo”, libri straordinari, pubblicati dalla più grande casa editrice nazionale, non li trovi più da nessuna parte, neppure negli oscar.
    —-
    E questa è una vergogna, e qui rientra la questione di cui parlava Genna pochi giorni fa su Carmilla: la falcidia del catalogo, che non sono solo i classici ma anche le back-list dei contemporaeni. Ragion per cui, al prossimo libro, Helena Janeczek si troverà con una nuova uscita ma niente back-list. Nella sua nota biografica in quarta o in risvolto saranno menzionati i suoi libri precedenti, ma nessuno potrà recuperarli. Se il problema è che costa tenere un magazzino, mandare al macero le eventuali rese etc. etc., beh, allora la strada è veramente creare circoli virtuosi tra utilizzo della rete e introduzione di logiche più just in time, tecnologie di stampa rapida, sistemi print-on-demand.

  23. Sempre a proposito di information cascade, e sempre a proposito dell’articolo di Genna sul TERATOMERCATO menzionato da Wuming1, riporto: “In realtà, quello italiano è il sesto mercato al mondo. Mentre rischiamo di scivolare fuori dal G8 (e sarebbe l’ora, sia perché non siamo tra le otto nazioni che devono decidere le sorti economiche del pianeta, sia perché si tratta di un’associazione criminale interstatale), siamo abbondamente nel G8 della lettura. O, perlomeno, della vendita dei libri…”

  24. L’ho capito che il vaffanfanculo me l’hai detto tu. E che vorrà significare?
    Ma sai quanto può fregare a una qualsiasi persona sentirselo dire? E’ una parola che non signfica niente (per me). Per te che lo hai lanciato evidentemte sì. E ognuno si tiene per sé le parole che produce.
    In quanto al resto, mi spiace solo vedere confermato, data la reazione, nella mia idea che era solo un sospetto, una conferma.
    Sarò libero di pensare che dei vostri libri solo uno a mio parere merita un’attenzione che potrebbe rimanere nel tempo?
    Per il resto, tutta questa solfa sulle vendite eccetera eccetera, è il segno di una pretesa di aver scritto capolavori.
    E sembra ormai, che Internet sopratutto, venga usato per persuadere gli altri di questo. Un lavoro certosino e minuzioso di persuasione.
    Quanto sono belli quegli scrittori che non parlano quasi mai dei loro libri e li mettono in giro come quando si lancia in mare aperto una bottiglia con un messaggio dentro.
    Ma la maggior parte degli scrittori che pubblicano, scrive solo degli onesti libri e naturalmente ciò è di tutto rispetto.
    Per sentirsi dei capolavori, ci vuole il proprio silenzio e la parola nel tempo degli altri è quella che sarà!
    p.s non c’era in me alcuna intenzione di denigrarti come scrittore, non ne ho motivi, non credo però che siete grandi scrittori (è grave la cosa per te che io pensi questo? non hai sbandierato tanto le vostre vendite da reagire scompostamente a una persona come me di cui non dovresti temere il giudizio? o forse nell’ottica non solo della globalizzazione totale ma anche della persuasione totale non è consentito avanzare sospetti, dubbi, critiche, giudizi? ci si aspetta di più da scrittori tanto ma tanto letti)

  25. Di libri in giro ce ne sono talmente tanti e tanti che poi vanno al macero.
    Fin quando rimanete ancorati ai vostri libri e non uscite fuori dal vostro punto di vista personale…

  26. Miiiiii, LumiLamenti, ma un pochino di leggiadria e sensoviùmo mai e poi mai, eh? Mi hai dato del sondaggista di Forza Italia, io – sorridendo e en passant – ti ho mandato affanculo. Finita lì, no? Al massimo rispondi anche tu con ‘na battuta, mannò, tu c’hai ‘n’incudine appesa allo scroto e ogni volta vuoi esibirla: “Guardatela tutti, sciore e sciori!!! Un’incudine attaccata ai maroni!!!!”… Cheppalle (appunto :-)))
    @ Angelini. Scusami se foro anche questa bolla di sapone, fatto che siamo il sesto mercato al mondo – attenzione: per fatturato medio complessivo, e credo siano inclusi anche i libri che escono in edicola – non significa che ciascun singolo libro vende tanto. Ormai l’editoria è divisa su tre livelli: da un lato i libri-evento, che sono fenomeni di costume, alla Moccia o alla Faletti, e superano il milione di copie e sono acquistati da persone che quell’anno non comprano nessun altro libro; poi c’è il fenomeno totalmente sui generis – per me positivo – dei libri allegati a giornali e riviste, cosa sconosciuta in quasi tutti gli altri paesi; poi c’è l’editoria “normale”, che si rivolge alla comunità dei lettori abituali, che in Italia sono pochissimi, e per capirlo non c’è nemmeno bisogno delle (impietose) statistiche che escono ogni anno: basta comparare l’esperienza di un viaggio in treno in Italia con quella di un viaggio in treno in Germania o in Inghilterra. Laddove qui quasi nessuno legge un libro e gli sguardi sono fissi nel vuoto, negli altri paesi due su tre hanno gli occhi sulle pagine di un libro.

  27. Mi piace la risposta con qualche numero di Wu Ming1 e, se posso azzardare, taglierei le spese sui 4 gatti 😉
    Comunque 52.000 copie a me non paiono poche e il 12% del prezzo di copertina, una buona percentuale. Parafrasando l’Avvocato [Gianni Agnelli]: anche la quantità è una qualità. Non facile da raggiungere.
    Mi lascia invece perplesso la considerazione dello spiritosissimo Joe Catore d’Azzardo sulle grandi case editrici che ragionano solo per investimenti globali. Personalmente mi pare una grandissima cazzata. Ovvio che i bilanci tengono conto di tutte le entrate e le uscite annuali, massimizzando gli importi e livellandoli, ma è altrettanto ovvio che, se non vuoi ritrovarti a fine anno con le pezze al culo, non è una brutta idea gestire bilanci mensili, magari per divisione, magari con un’analisi puntuale delle singole commesse [vedi libri in questo caso] e una scheda dettagliata, per ogni singolo autore, che riporti, assieme ai dati di vendita, i livelli di produttività. Sia in percentuale, sia in termini assoluti; denari per capirci.
    E’ anche in funzione di queste analisi, molto puntuali e che utilizzano sistemi matematici e informatici di un certo spessore [non metto i nomi dei prodotti utilizzati da Mondadori e Einaudi perché sarebbe pubblicità gratuita e non mi pare il caso], che le case editrici decidono come e in che modo investire, anche in termini promozionali, su un autore piuttosto che su un altro. Come qualunque azienda di questo pianeta.
    Blackjack.

  28. – Scusa, quanti Capolavori hai scritto?-
    – Almeno quattro, sicuri. Forse cinque. Magari sei.-
    -Sicuro che fossero Capolavori?-
    -Giuro, Capolavori. Non ci sono dubbi.-
    -Ma Capolavori Capolavori?-
    -Capolavori. Assoluti.-
    -No, perchè io leggo solo Capolavori.-
    -Allora i miei puoi leggerli, perchè sono Capolavori.-
    -Bene. A che Capolavoro stai capolavorando adesso?-
    -Non posso dirtelo. Sarà un Capolavoro.-
    wm3

  29. Infine, per una volta, sono d’accordo con il povero Angelini: se un suo libro avesse ricevuto lo stesso impressionante battage di manituana, paragonabile solo al marketing della saga di Guerre Stellari, avrebbe venduto non meno di 52 milioni di copie. infatti in Einaudi sono disperati, sono sotto di almeno venti milioni di euro investiti nell’operazione.
    Si dice in giro che abbiano assoldato feroci guerrieri mohawk per scalparci, ottenendo così un doppio risultato: la sacrosanta vendetta e l’occasione di un rilancio postumo del libro che li faccia rientrare delle colossali perdite.
    Wm3

  30. Posso dire una cosa su stà storia di queste vendite di manituana??….
    CHE COJONI!!
    Sono stracerto ( non è corretto ma mi piace…) che se Manituana avesse venduto 500.000 copie in un mese qualcuno qui avrebbe scritto
    “e Te credo!! con tutto il Battage pubblicitario che ha avuto!!”
    Leggo, tra le righe, una piccola invidia da scrittori che, non riuscendo a pubblicare o avendo pubblicato con vendite da prefisso telefonico della provincia di Aosta, si aggrappano a qualsiasi argomento per attaccare chi vende. Se si vende o si è commerciali o si è fatta un sacco di pubblicità. Non si pensa, forse, che 50.000 persone hanno comprato il tale libro perché gli erano piaciuti gli altri precedenti, o qualche amico gliene ha parlato benissimo, o chissà che. No, si compra tale libro perchè la pubblicità è stata massiccia o non lo si compra perché non ne ha avuta.
    C’ è sempre qualche altro motivo, qualche aiuto dall’alto, qualche “raccomandazione”. La lamentela di fondo è sempre la stessa, in tutti i campi. Io sono un genio, ma nessuno mi si caga perchè sono sfigato, non ho gli aiuti giusti mentre gli altri…quelli si che sono fortunati…
    non sto a difendere il libro di Wu Ming, non mi frega molto. Quello che mi scoccia è la ricerca ossessiva e compulsiva della polemica in cui specchiarsi per poter forse dire agli amici” oggi gliene ho detto 4 a quel raccomandata di m…..
    Hai venduto 50,000 copie? con tutta la pubblicità che hai avuto dovevi venderne 10 volte tanto.
    Hai Venduto 500.000 copie? facile con tutta la pubblicità che hai avuto ..
    hai venduto 1000 copie? nonostante tutta la pubblicità che hai avuto? fai schifo…l’avevo detto che i tuoi libri facevano schifo…
    Non ci si interessa del libro. Se è scritto bene o male. Se è interessante o meno. Quello che conta è far polemica…

  31. @Pino Valente. Direi che il cliché è soprattutto tuo: quello di accusare gli altri di “rosicare” ad ogni piè sospinto. Sono un fan di Roberto Bui (un po’ meno di Luca di Marameo) e gli auguro – anzi: mi auguro – che prima o poi la smetta di “confezionare” lotti di capitoli (quelli di sua spettanza nei vari lavori di gruppo) e si concentri su qualcosa di vero ed emozionante, tirato fuori dalle sue stesse budella. Ha fatto benissimo Roberto a rspondermi: “Se permetti, scriviamo quello che piace a noi, non a te”. Nessuna invidia per nessuno. A ciascuno i suoi doni e le sue amarezze. Non ho più 17 anni. Fra una ventina d’anni manco ci sarò più, puoi immaginare quanto mi freghi essere colpito dal successo letterario alla mia età (non scrivo cose nuove da anni; anche quella di recente apparsa su Carmilla è stravecchia); mi dedico, anzi, con gli amici di Vibrisselibri, soprattutto allo scouting di talenti sfuggiti alle case editrici ufficiali e sono felice, per esempio, che la nostra Monica Viola sia stata, grazie a noi, pubblicata da Rizzoli. Nel suo testo ci sono tutti gli ingredienti che piacciono ANCHE a me: un pizzico di verità, un raccontone che ti prende fin dalle prime pagine… e chissenefrega se venderà 52.000 copie o 520.000? Vibrisselibri è nata come forma di lotta contro la logica – appunto – del profitto editoriale. Il giudizio da me espresso su Manituana (= risultato inferiore alle potenzialità di ciascuno dei Cinque autori) è, ribadisco, solo mio, e, ri-ribadisco, mi fa piacere che sia contraddetto da quello di molti altri. C’est tout.

  32. Beh, lo dice uno che in privato e in pubblico ha sempre difeso Angelini: sono contento che ogni tanto Lucio, anziché “confezionare” lotti di commentini sarcastici (quelli di sua spettanza all’interno della commedia dell’arte da blog letterario), ogni tanto scriva qualcosa di vero ed emozionante, tirato fuori dalle sue stesse budella. In quest’ultimo commento ci sono tutti gli ingredienti che mi piacciono: un pizzico di verità e senso della caducità della vita, una “confessione” quasi micro-agostiniana… e chissenefrega se lo apprezzo soltanto io! 🙂

  33. @ Lucio Angelini. La mia risposta non era riferita solo a te. Comunque voglio dirti che non penso di averti accusato di rosicare. Ho solo fatto notare che in moltissimi blog letterari si vive di polemiche sterili sui libri “famosi”. Non sarà il tuo caso ma penso, visto la tua esperienza, che te ne sia accorto.
    Mi piacerebbe che in un blog del genere si discutesse di libri, del loro valore o meno, e non di q

  34. @ Lucio Angelini. La mia risposta non era riferita solo a te. Comunque voglio dirti che non penso di averti accusato di rosicare. Ho solo fatto notare che in moltissimi blog letterari si vive di polemiche sterili sui libri “famosi”. Non sarà il tuo caso ma penso, visto la tua esperienza, che te ne sia accorto.
    Mi piacerebbe che in un blog del genere si discutesse di libri, del loro valore o meno, e non di quanto abbiano venduto o se sia giusto che i wu ming scrivano un libro in 5 piuttosto che 5 libri da soli… Queste per me sono polemiche inutili.

  35. @Gianni Biondillo. Scrivevo ieri nel mio blog, a proposito della definizione di “INTO THE WILD” come “Il film manifesto per i giovani del terzo millennio”:
    “Devo dire che, quando ho visto il film, avevo effettivamente davanti a me una piccola rappresentanza di ragazzini del terzo millennio, purtroppo ridanciani e rumorosi (a un certo punto ho dovuto persino sgridarli). Per fortuna, a circa mezz’ora dalla fine della proiezione, si sono alzati in massa e hanno abbandonato la sala, tutt’altro che desiderosi di conoscere l’explicit del loro film manifesto. Che sia io il vero prototipo di ragazzino del terzo millennio? :-)”

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