CRONACHE DA COURMAYEUR

Mezzo metro di neve, due soli computer a disposizione in sala stampa, fila alle mie spalle. Quindi, cronaca parzialissima.

La prima domanda al convegno sul Noir al potere riguarda il punto interrogativo da collocare subito dopo il titolo.

La pone Fabio Zucchella, in veste di moderatore. Risponde Giancarlo De Cataldo: “Davvero qualcuno pensa che esistano stanze blindate e videosorvegliate in due o tre case editrici dove alcune persone decidono che il noir deve diventare il vero pensiero unico? La prospettiva fa sorridere: basta scorrere le classifiche di vendita. Nulla di disdicevole, così come non è disdicevole chiamare noir scritture che non utilizzano quegli stilemi, ma semmai ne mantengono, in alcuni casi, il profumo. Probabilmente qualcuno si sente irritato dal fatto che la comunità di scrittori italiani che vengono definiti noir siano fra loro estremamente solidali: fenomeno anomalo in Italia dove abitualmente ci si accoltella.

Seconda domanda: E’ una citazione d’annata (1969), Oreste Del Buono nella prefazione a Milano calibro 9 di Giorgio Scerbanenco, quando parla della letteratura italiana “razzista e classista” e per questo mai popolare. Stantio ribadirlo, dice Zucchella, ma stantio anche che si debba continuare a rifletterci.

Carlo Lucarelli: Sono sempre stato diffidente verso l’idea che esista una élite evoluta che decide quali sono le cose e le letture che vanno bene e quelle che vanno male. I termini sono sbagliati. Sbagliati per gli scrittori, che dovrebbero utilizzare altri concetti. Noi scriviamo storie che ci piace raccontare non per un gioco di vendite e strategie o per indirizzare l’opinione pubblica. Anche i cosiddetti scrittori noir, quando iniziano a scrivere, non pensano di scrivere un libro noir. Pensare che siamo al potere significa pensare che esista una direzione generale che stabilisce cosa è letteratura e cosa no. Per quanto ci riguarda, ci sono scrittori che raccontano e lettori che leggono. Il potere esiste se lo eserciti. Non conosco scrittori che lo fanno. Semmai esiste un’investitura popolare che non ha a che fare con il potere, ma con la legittimazione.

Sandrone Dazieri: "In Italia non c’è una società letteraria degna di questo nome: altrove, per esempio nei paesi anglosassoni, il noir è addirittura in minoranza nella capacità di descrivere il presente. Scrittori come Foer, Ellis, Palhaniuk sono molto più efficaci nel descrivere il presente di qualsiasi scrittore di noir".

Questione posta da Loriano Machiavelli in un intervento scritto: “Il giallo non preoccupa più nessuno. Il Partito Nazionale fascista ostacolava il diffondersi della letteratura gialla perché ne aveva intuito la pericolosità; la ricca borghesia italiana del dopoguerra, con l’aiuto dei loro pensatori, confinava il genere nell’ombra e lo faceva passare per un gioco enigmistico privo di contenuti e stili perché ne aveva capito le potenzialità; la critica di sinistra, meno attenta, lo tollerava, ma con moderazione… Ci sarà stato un motivo! Quel motivo non c’è più e la letteratura gialla italiana gode del plauso e del consenso generali. Non fa più paura perché è diventata inutile. La società che raccontiamo nei nostri romanzi si è vaccinata e fatalmente l’affermazione del giallo (o del noir) è una sconfitta del genere. Non siamo più un possibile motivo di squilibrio, non siamo più un virus nel corpo sano della letteratura alta e quindi siamo autorizzati a parlare male della società nella quale viviamo”.

Marcello Fois, in chiosa: “La scrittura deve impegnarsi su cose che producano un oggi costante. La guerra. La stupidità degli umani. La difficoltà di essere civili. Quello che ci stiamo raccontando da tremila anni a questa parte. Questa secondo me è la letteratura. L’impegno, quando si dice, non è. Come per l’identità: quando ne parli non ne hai più. Per gli scrittori vale la stessa cosa. Gli scrittori servono per avere le parole giuste per dire le cose”.

Continua, ovviamente.

83 pensieri su “CRONACHE DA COURMAYEUR

  1. Sambigliong: se ti dico che non conosco nessun collega a cui sia mai stato detto né proposto nulla del genere, tu la prendi come una testimonianza sincera o come una difesa d’ufficio dell’industria editoriale?
    Industria con le logiche della quale in realtà, a cominciare dalle questioni sul copyright, abbiamo un rapporto di conflitto (articolato, "a scacchiera", negoziato di volta in volta, ma comunque conflitto).
    Non escludo che ci siano editori stupidi che "ci provano", e autori che pur di pubblicare sottostanno: mi limito a dire che io di questi ultimi non ne ho conosciuti.
    La verità è che, anche volendo (e gli editori vorrebbero), è molto difficile stabilire prima se un libro sarà un best seller oppure no. Libri ultra-programmati a tavolino sono stati dei flop totali, libri pubblicati tanto per fare hanno venduto l’ira di dio. Gli editori "pescano con le bombe", le provano tutte, e un libro su cento forse diventerà un best seller.
    Il ragionamento di Girolamo non fa una piega: il fatto che un libro venda non significa che sia un libro ruffiano o sovra-mercanteggiato, come il fatto che un libro non venda non significa che sia un libro "geniale ma incompreso": a volte, dico a volte, i libri vendono perché sono buoni, e non vendono perché sono scarsi. I lettori sono più intelligenti di quel che si crede. Ad ogni modo, c’è troppo moralismo intorno a questa questione del "vendere". Se posso citare da un numero di Giap di qualche mese fa:
    Tra gli scrittori "idealisti" (nel senso filosofico, cioè
    che antepongono l’Idea di Letteratura alla realtà concreta e terrena
    delle narrazioni) è uso fingere di non auspicarsi il successo, negare
    che il libro sia anche (orrore!) una merce, simulare disinteresse o addirittura
    disgusto per la prospettiva di vendere tante copie… Peccato che tale posa
    di indifferenza sia in contraddizione coi toni lamentosi usati dai medesimi
    nel descrivere la propria condizione di "poco-vendenti", "poco-cagati",
    "relegati ai margini", "incompresi" etc. Ecco che ci
    viene riproposta la sbobba del genio-che-soffre, accompagnata alla tirata
    sul popolo infingardo e bue. Ma perché soffre, ‘sto genio, e perché
    mai inveisce, se è riuscito nello sbandierato intento di non vendere?
    Conseguendo l’insuccesso, ha avuto successo, e allora che altro vuole? Se
    vendere è per i venduti, se sono i lettori a non meritarsi certi
    libri, se l’ars è longa e la vita è brevis e sarà la
    storia della letteratura a capire quanto vale il tale scrittore etc., allora
    perché pubblicare in vita? Perché rivolgersi a un editore?
    Perché non lasciarlo nel cassetto, il sudato manoscritto? L’unico
    valido interlocutore non è forse l’archeologo che un giorno scaverà
    e troverà i resti della scrivania? Che senso ha lamentarsi del fatto
    che altri vendano, se vendere è cosa ignobile e il danaro è
    stercum diaboli?
    In realtà, pare banale dirlo, non tutti i libri che vendono sono
    per forza banali o compiacenti o derivativi, e non tutti i libri invenduti
    sono incomprensibili, elitari o – semplicemente – brutti. Eppure, ancora
    troppa gente schifa chi vende solo perché vende ed esalta chi "floppa"
    solo perché "floppa". Occorre un approccio più laico
    e meno ipocrita. Se uno pubblica un libro è perché si auspica
    che altri lo leggano, possibilmente molti altri, più ce n’è
    meglio è. Se lo pubblica presso un editore, accetta che il libro
    rechi un prezzo in copertina e venga scambiato con denaro. Se firma un contratto
    in cui gli viene accordata una percentuale (bassa o alta che sia) del prezzo
    di copertina, vuol dire che si auspica di guadagnarci qualcosa pure lui
    (e ci mancherebbe altro, è stato lui a scrivere!). Quanti scrittori
    si sottraggono a questa trafila di loro spontanea volontà? Non ce
    ne vengono in mente: di norma, gli scrittori che pubblicano un libro vogliono
    anche venderlo. Quanti scrittori falliscono nel sottoporsi alla trafila
    poi vanno in giro a dire che l’uva non è dolce, anzi, è pure
    guasta? Troppi.

  2. Be’ anche se la risposta alla mia seconda domanda è indirizzata direttamente a Sambigliong mi viene da intromettermi e ringraziare WuMing. Dunque per l’esperienza che ne ha lui quello che è capitato a Sambigliong è un brutto incidente del tutto isolato.
    Per il resto, il discorso sui libri buoni/cattivi e il loro rapporto con le vendite, a me pare che sia Wu che Girolamo dicano delle banali verità: chi può sapere a tavolino che cosa succederà.
    Non sono invece d’accordo sula questione scrittori e lamentele, direi che molti grandi artisti si sono lamentati di tutto ma la cosa non ha mai influito sulla qualità della loro produzione: diciamo che tra il lamento quotidiano e la forma del cappello che indossavano non c’era alcuna differenza, anzi a volte i grandi lamentosi sono stati i più incredibili feroci combattenti (vedi per esempio Van Gogh o Kafka).

  3. Alberto: volte riesce a prevederlo a volte toppa. Mozzi aveva raccontato di un caso eclatante, 300.000 copie in prima tiratura e fu un flop colossale, non vorrei dire una cazzata ma mi pare che fosse uno dei libri recenti della Fallaci. Comunque il fatto secondo me si legge così: non si può dire che allo stesso tempo l’editoria non sa prevedere le vendite e che non cerca di controllare la produzione indirizzandola verso forme collaudate in termini di vendita e per le quali esiste già un robusto canale di marketing.
    Cioè se di mezzo c’è l’aspettativa di discreti guadagni (per la piccola editoria questo è meno vero naturalmente) ovviamente non sapendo progettare un best seller a tavolino, perlomeno si cercherà di ottenere dall’autore qualcosa che so sa essere vendibile. E quindi quando Sambigliong telefona gli si suggerisce, verificate le sue capacità, di scrivermi un giallo o un giallo medioevale.
    Questa naturalmente è una congettura sul solco dell'”io so”. Ma è possibile che sia smentito.

  4. Alberto: più o meno sì.
    Soprattutto in questa fase storica, in cui non solo l’editoria ma l’intera cultura sta subendo trasformazioni radicali, discontinuità impreviste, crisi di progettazione dovute al mutare degli scenari.
    Qualche esempio, tra migliaia di esempi possibili:
    1)L’industria discografica – che quando comparve Napster rimase come colpita da un fulmine sul glande – pensava davvero che i cd anti-copia fossero la più grande figata degli ultimi cinquant’anni, e invece hanno scatenato la rivolta dei consumatori.
    2)La Sony ha appena dovuto ritirare dal mercato il suo rootkit perché invasivo e lesivo della privacy degli acquirenti. Anche in quel caso, pensavano fosse l’idea più geniale da quando si è inventata la ruota.
    3)L’Associazione Italiana Editori ha protestato vivamente contro i giornali che allegavano libri, prevedendo scenari di catastrofe, e invece pare proprio sia andata come dicevamo noialtri non-apocalittici: le vendite di libri sono aumentate, non diminuite.
    4) George Lucas dovette faticare non poco per convincere i produttori a fargli girare “Star Wars”. Ci mise anche soldi di tasca sua. La sua poco lungimirante controparte pensava che il film avrebbe avuto un modesto successo, e non ebbe alcuna obiezione quando Lucas volle tenersi i diritti di sfruttamento del merchandising. Merchandising? Quale merchandising? Inutile far notare com’è andata a finire, e cercare di calcolare i proventi di Lucas su giocattoli, fumetti, t-shirt etc.
    5) Quando Salani comprò il primo Harry Potter, non sospettava minimamente che quel libro sarebbe divenuto il capostipite della più fortunata serie romanzesca degli ultimi trent’anni, non sospettava che sarebbero stati tratti kolossal cinematografici, che sarebbe esploso il fenomeno del merchandising etc., non si è posta problemi di continuity o di rimbalzi transnazionali, così si prese un po’ troppa libertà nel tradurre i nomi dei personaggi, e in seguito è dovuta correre ai ripari.
    6) Einaudi Stile Libero, qualche anno fa, fece un grossissimo investimento su un’agenda che, nelle intenzioni, doveva fare concorrenza alla Smemoranda. Fu un fallimento immisericordioso.
    Rassegnati, Alberto: si va a tentoni. A volte si azzecca la tendenza, a volte no.

  5. Ecco, Wu Ming1 aggiunge esempi al mio unico scarno. Esempi che non fanno che rafforzare la seconda parte del mio ragionamento.

  6. Tanto per rimanere nell’editoria e anche nella discografia. Raf, quello di Cosa resterà degli anni 80, vende 500mila copie con il suo album Iperbole. Si decide di fare un libro (il si è riferito alla Mondadori, dove ai tempi prestavo la mia opera). Vende circa 3mila copie. Un bagno di sangue. Cristina Donà, vende circa quindicimila copie. Ma è un’autrice con un’anima, credibile. Scrive un libro che vende circa settemila copie. Un successo (vende settemila copie negli Oscar, a fronte di una tiratura di 5mila copie di prima tiratura). Partendo da questo esempio Raf ne avrebbe dovute vendere 250mila. Ma sempre rimanendo nel pop, visto che magari la Donà viene considerata sofisticata e quindi rivolta a un pubblicao più alto. Gigi D’Alessio vende 500mila copie ufficiali (quelle tarocche non si conoscono). Si decide di fare un libro (come sopra…) che vende nel giro di poco circa 40mila copie, quasi tutte nel sud. Niente male, visto i casi di Raf. Ma uno dice, è del sud, ha fan fanatici. Ok, ma Nino D’Angelo, sempre in casa Mondadori, vende 8mila copie. E anche lui è napoletano (anche se era da poco stato sdoganato da Giusti, e quindi avrebbe dovuto beccare anche il pubblico alto). Non ci sono cazzi, è quasi impossibile fare previsioni corrette. Dimostrazione è data dal successo del libro di Luca Bianchini su Eros Ramazzotti. Per anni la Mondadori si era rifiutata di pubblicare libri scritti su qualcuno (invece che libri scritti da qualcuno). Non funzionano, dicevano. Io ero andato a pubblicare Vasco chi? da Tropea e avevo dimostrato che era una congettura basata sul nulla. Mondadori pubblica un libro su Eros Ramazzotti e vende una valanga. Bingo. Da adesso si fanno anche libri su cantanti, per la gioia di chi (come alcuni frequentatori di questo blog), pensano che questi libri siano il male assoluto.
    Era tanto per dare un contributo da addetto ai lavori.
    M

  7. Ma Michele, questa impossibilità di azzeccare previsioni cosa porta: apertura totale al nuovo (da un giorno all’altro basta libri di cantanti, da oggi proviamo coi poeti! oppure, datemi un esordiente italiano!) o ricerca di prodotti fungibili rispetto a altri che hanno già venduto bene?

  8. Poeti ed esordienti sono molto meno nuovi dei cantanti, e vanno a occupare nicchie (perché salvo rari casi, tipo Piperno o Melissa P, tanto per fare un paio di nomi, di nicchie si tratta) di mercato che nulla o poco hanno a che spartire con il mass market, che è la parte di mercato cui i libri dei/sui cantanti ambirebbero. Credo che l’insicurezza spinge e spingerà sempre di più gli editori a procedere brancolando nel buoi (tanto per citare un linguaggio che un tempo era caro agli autori di genere). Poi fa ridere parlare di editori. Ci sono le persone che lavorano per le case editrici, e chi si occupa di editoria da un po’ di tempo, ormai, li conosce tutti. Uno per uno. C’è chi è illuminato e chi meno, anzi c’è chi è proprio oscuro. Come nel resto del mondo. Il caso di Sambigliong (citazione salgariano, i supposed…) mi sembra estremo. Cioè, i coglioni ci sono in editoria, ci mancherebbe, ma uno che dice cose del genere (si ripresenti con un giallo o un libro storico) mi sembra un po’ sprovveduto. Insomma, non direi che fa statistica, per capirsi. Per quel che riguarda invece chi ha venduto bene, anche lì, chiaramente, non esiste certezza matematica, basti vedere il caso di Enrico Brizzi, uno che, vuole la leggenda, si è preso un miliardo (parlo di lire) per passare a Segrate e andare a vender poche migliaia di libri contro il milione e passa di Jack Frusciante. L’editoria non è scienza esatta, ma ce ne faremo una ragione…
    saluti, M

  9. Sono tornata! Domani provo a rispondere: o meglio, vi riferisco di quanto hanno detto questa mattina gli editori in proposito (alcuni editori, almeno). Buona notte

  10. Andrea, non montarti la testa, “alludevo” a Russell, che si faceva la barba prima ancora che tu fossi (e se avesse saputo di te ti avrebbe insegnato che da un caso individuale non si trae una regola generale).
    Io conosco un aspirante scrittore esordiente che per 10 anni si è sentito dire (quando glielo dicevano): questo dattiloscritto è un poliziesco, e noi non te lo pubblichiamo, prova a cambiare la trama (oppure: prova a mantenere la trama e cambiare lo stile).

  11. OT
    faccio un giro nei soliti posti e …che ti ritrovo?
    un rifiorire di Lucio Angelini citato dai wm in nandropausa e, soprattutto, pubblicato su carmilla come:
    IL FANTASMA DI ANDERSEN – 1a puntata
    di Lucio Angelini
    [Lucio Angelini, uno dei migliori autori italiani per ragazzi, ha pubblicato per EL, Emme, Panini Ragazzi, Il Capitello, Loescher, Flammarion-Castor Poche eccetera]
    Lucio: complimenti!!!
    :-)))))

  12. Può essere utile segnalare che da pochi giorni è nato un sito voluto da Giorgio Di Costanzo e georgia, con la collaborazione tecnica di Carlo Capone, dedicato ad Anna Maria Ortese.
    Questo è il sito:
    http://insonnoeinveglia.splinder.com/
    Vi sono pubblicati articoli su di lei, ma soprattutto interviste e lettere da cui emerge un certo rapporto tra la grande autrice e una editoria sprovveduta.
    Un sito, secondo me, destinato a diventare un punto di riferimento per chi si interessi della scrittrice.
    Bart

  13. Wu ming1, la mia era una testimonianza, che non voleva essere un piagnisteo o un atto d’accusa.
    monina, ti assicuro: in quella casa editrice lì non sono dei coglioni. a un certo punto hanno privilegiato quei generi visti i risultati commerciali.
    e dal momento che viviamo in un paese con determinate logiche di mercato (editoriale), che non coincidono con quello che pensava che guevara, così è (se vi pare).

  14. Sambigliong, non ti ho accusato di niente. Il profilo generico dello scrittore lamentoso descritto in Giap non poteva certo essere riferito a te, che manco ti conosco 🙂
    Resto perplesso sul valore dell’aneddoto, sulla sua portata generale, sul suo possibile rivelarci qualcosa di utile sull’industria editoriale. La rondine, la primavera, il barbiere, il rasoio etc.

  15. invece di sorpenderti vai a vedere cosa prediligono pubblicare alcune case editrici; mi basta che tu ti fermi alle prime dodici

  16. E’ proprio la classifica dei libri più venduti in Italia a smentire l’idea di una “dittatura del giallo” o di un’egemonia del thriller tra le uscite italiane:
    http://www.arianna.org/classifiche/attuale/top_generale.htm
    Di “genere italiano” (peraltro… sui generis, e molto poco “giallo”) c’è solo “Romanzo criminale” di De Cataldo, al 27esimo posto su 35.
    Nessun libro con ambientazione medievale, peraltro.
    Faletti e Montalbano a parte, i maxi-successi italiani degli anni scorsi sono stati:
    – i saggi razzisti della Fallaci;
    – la testimonianza di Terzani sul suo percorso nella malattia;
    – le algide chiavate di Melissa P.;
    – le barzellette su Totti;
    – il manuale sullo smettere di farsi le seghe mentali;
    – le robe della Mazzantini;
    – er “pischellismo” de Federico Moccia;
    – il libro di Augias sui segreti di Roma.
    Quindi, l’editore che ti ha fatto la proposta del giallo medievale stava scazzando la tendenza. La vera tendenza è che… è una non-tendenza, quindi non è intercettabile, men che meno la intercetti programmando a tavolino gialli storici.

  17. ho postato in fretta wu ming, e questo, non faccio fatica a riconoscerlo, ha creato equivoci. ho sintetizzato parte di un discorso, più articolato. l’ho sintetizzato perché riguardava vicende mie, che qui non interessano a nessuno.
    ma prendi per vero questo: a un eventuale romanzo storico sull’ottocento (l’epoca di sambigliong, no?) mi dissero che avrebbero preferito qualcosa di medievale.
    ma, ripeto, sto riassumendo una chiacchierata di un’ora. adesso non voglio generalizzare, ma allora non mi stupii più di tanto. e non fui indotto in tentazione: perché so scrivere storielle da bollettino parrocchiale, io…

  18. Però, non sono sicuro che il richiamo ai dieci più venduti fatto da WuMing1 sia tanto persuasivo. Primo perché in pochissimo tempo sono fioriti in libreria intrighi alla Codice da Vinci. Secondo perché in due anni da frequentatore di librerie mi sono trovato davanti una moltiplicazione di copertine con scritto noir, anche (soprattutto?)da case editrici importanti come Einaudi (persino la trilogia della città di K.!).
    Secondo me è difficile dire che non sia esistito un marketing già pronto per un libro che usciva con l’etichetta di noir (che da termine tecnico è diventato passaporto commerciale tanto che si organizzano gli stati generali del noir senza quelli che davvero scrivono noir). Lo stesso discorso vale per i libri dei musicisti.
    A Girolamo vorrei chiedere una cosa, perché questo scrittore ha dovuto tentare per dieci anni di pubblicare il suo libro, perché non era nell’onda del mercato o perché c’era un – chiamiamolo così – veto intellettuale sulle opere di “genere” (sia chiaro, Scirocco secondo me è un bel libro punto e basta)?

  19. ora mi leggerò (se ne avrò voglia) con attenzione tutto, per ora dico solo che sono d’accordissimo con chi afferma che la letteratura gialla è una tendenza editoriale attuale (anche se al momento è in chiara via di disfacimento e sta facendo marcia indietro). E’ verissimo e non capisco come lo si possa negare. Non è neppure la prima volta che accade (anche nel passato una simile “moda” ci ha dato libri eccelsi di scrittori che hanno tentato di scrivere, anche loro gialli, come lo stesso Gadda). Io però non vedo la cosa nè nuova nè scandalosa. (lo scandalo semmai avviene dopo ma questo è altro discorso).
    E’ così vera che persino i Meridiani preferiscono stampare i “giallisti” agli altri, e questo è veramente la prima volta che accade. Non c’è bisogno di urlare allo scandalo, ma negarlo mi sembra una operazione più ridicola (e infingarda) che sofistica.
    Lo scandalo semmai è a monte: è la nostra società, dove quello che non rende nell’immediato in soldoni è NIENTE.
    Ma questo non è problema delle sole case editrici, questo è un problema Globale che mette in forse anche ambiente e vita, se non fosse cosi sarebbe solo gossip divertente da linkare e stop
    geo

  20. cara lisa, è sempre molto soggettivo quel tirare fuori le bolas come dici tu.
    a me è piaciuto mozzi quando ha spiegato questa contraddizione: le donne scrivono più degli uomini, e magari pure meglio, ma, dati alla mano (non credo che wu ming possa smemtirmi) pubblicano di meno.
    uno dei motivi è, appunto, il fatto che non sono insistenti, rompibolas insomma.
    io diffido di chi vuol pubblicare a tutti i costi. di chi esagera, insomma, in fatto di bolas.
    per dirla alla de andrè è preferibile un mondo «dove i muti parleranno e taceranno i noiosi..»

  21. @sambigliong
    ma se i muti saranno poi noiosi, è meglio lasciarli muti o dare anche a loro l’opportuntà di parlare?
    E’ un problema importante e profondo, che sarebbe interessante da risolvere 😉
    @lisa
    Un interscambio tra autore ed editore (a meno che uno non sia un proust o altro di sommo) è forse sempre auspicabile, non foss’altro per non andare incontro a frustrazioni distruttive ;-).
    Se uno è un genio la frustrazione distruttiva diventa arte somma, ma se uno non lo è, e non è neppure poeta come la valduga, rischia di diventare solo gossip e recriminazione noiosissima anche se, tutto sommato, serve a garantire posti di lavoro a costanzo, alla filippi e … a molti blog
    geo

  22. lisa: mai chiesto a un editore cosa scrivere, mai avuto frequentazioni salottere: parola di boy scout
    grazie georgia della tua precisazione: coincide con quel che penso

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