CULTURAME

In queste ore, a Perugia, si discute di Alberto Moravia a trent’anni dalla sua elezione al parlamento europeo. Ohibò, un intellettuale in politica, si direbbe oggi: ma trent’anni fa sembrava faccenda quasi normale, dal momento che chi si occupava di raccontare il mondo aveva forse qualcosa da dire ai politici di professione. Oggi le cose stanno diversamente, mi sembra: pur invocando il rapido ritorno a casa dei medesimi politici di professione, si chiede che siano loro a occuparsi di raccogliere i cocci fra cui camminiamo. L’ultimo esempio è il Buongiorno scritto ieri da Massimo Gramellini (qui la mia risposta).
Moravia, per dire, visse l’esperienza europea portando avanti le proprie convinzioni contro il nucleare.  Negli anni, gioverebbe ricordarlo, sono stati deputati e senatori  Ignazio Silone, Massimo Bontempelli, Carlo Levi, ovviamente Sciascia, e poi Edoardo Sanguineti, Natalia Ginzburg, Paolo Volponi, Alberto Arbasino, Gina Lagorio, Claudio Magris. Sembrava normale: anzi, sembrava cosa buona, che al politico di mestiere si affiancassero portatori di parole nuove.  Quel che continua a colpirmi del presente, invece, è la contraddizione di cui sopra: i cultori del Novissimo sono, contemporaneamente, convinti assertori del (vecchio) Mestiere.
Pazienza. Per la cronaca, domani sarò a Terni Poesia a parlare di web, letteratura, questione femminile, e anche di Fortini. Dunque, di politica. A lunedì.

14 pensieri su “CULTURAME

  1. Purtroppo quella del rapporto fra intellettuali e politica è una delle molte questioni che oggi si tende sempre più a trattare in modo manicheo. Sarà perché i ruoli vengono sempre più confinati in stereotipi, per cui l'”intellettuale” o il “politico” diventano delle specie punching-ball immediatamente disponibili.
    Il punto, però, è che fino a qualche decennio fa l’impegno degli intellettuali in politica era il riflesso di un loro ruolo significativo nella società, grazie all’esistenza di tutta una serie di “strutture” e di snodi che mediavano fra società, conoscenza, potere – o in cui, quanto meno, c’era chi si proponeva questa mediazione come compito.
    Poi gli anni ’80 hanno incoronato il “consumatore” atomizzato come giudice assoluto, negando di principio e nei fatti qualsiasi ruolo alle strutture classiche della mediazione sociale. Anche gli intellettuali, così, si sono trovati catapultati in una logica che ha ridimensionato fortemente la possibilità di proporsi nella vecchia funzione.
    Per questo, secondo me, al di là dell’astio manicheo coltivato ad arte, oggi un intellettuale che si propone in politica ha più probabilità di essere accolto con scetticismo.
    E’ uno scetticismo che anch’io condivido, se devo essere onesto – e non per anti-intellettualismo, ma proprio perché penso che gl intellettuali posano recuperare un ruolo attivo in politica solo se, in un certo senso, tornano in qualche modo ad essere “organici” al mondo delle lotte, anziché incrociarlo solo occasionalmente in circostanze particolari.

  2. Oddio, “moltissimi” mi sembra esagerato 🙂 Ci sono *alcuni* intellettuali organici (nel senso in cui io intendo la parola almeno), poi ce ne sono molto altri che si mobilitano nelle lotte o le sostengono occasionalmente.
    “Organico” vuol dire essere parte integrante di un progetto politico/sociale, svolgere un ruolo consolidato in un’organizzazione.
    Molti degli intellettuali che hanno aderito alla Lista Tsipras, mi pare facciano quasi più da testimonial – e non tanto per un limite loro (non sempre, quanto meno) ma perché il progetto stesso della Lista è molto circoscritto alla prossima scadenza elettorale e non ha una vera e propria “storia” alle spalle.
    Di questo “distacco” (o partecipazione puramente esterna e occasionale) non ne faccio una colpa agli intellettuali; mi limito solo a “fotografare” la circostanza per cui davvero i cambiamenti che ci sono stati negli ultimi trent’anni hanno modificato il ruolo degli intellettuali (categoria peraltro poco utile sul piano sostanziale, io la uso più che altro per comodità) nella società, rendendo anche il loro lavoro e la loro attività più suscettibile alla dinamica disgregatrice del “libero mercato”.

  3. Tira un’aria del tipo gli unici intellettuali seri sono quelli che (a) non sono intellettuali, (b) hanno meno di 50anni, (c) non hanno fatto in tempo a credersi Fonzie per averlo visto fare “hey!” il pomeriggio (come la generazione dei DalemaVeltroni), ma hanno recuperato con “Casa Keaton” credendoci, cioè prendendo sul serio M.J. Fox, e prendendosi anche loro il Parkinson – ma non al corpo (che il cervello Michael J. ce l’ha ancora buono), all’anima. Fonzie è tramontato dopo aver fatto il Jumpin’-the-Shark, in attesa del loro Jumpin’-the-Bobwhite mi allungo i piedi sul tavolino e mi leggo un libro. Di racconti, così posso interrompere prima del previsto.

  4. La maggior parte dei candidati della Lista Tsipras non sono intellettuali di status elevato (secondo le vecchie bilance) né letterati-scrittori. Vi si ritrovano quasi tutti i tipi di lavoratori intellettuali: insegnanti, docenti universitari, giornalisti, attori, musicisti, operai-sindacalisti, urbanisti, persone attive in associazioni e movimenti, avvocati, psichiatri, economisti, ex amministratori pubblici.
    Gramellini, giornalista, quindi intellettuale, usa argomenti vecchi e piuttosto demagogici. E sottintende: io non disdegno la tivù, sono aperto al nuovo, universalista e progressista; loro invece sono snob, passatisti, dogmatici e settari. Ma anche chi sembra esecrare gli intellettuali (e non credo sia il caso di Gramellini), in realtà, sceglie, indica un certo tipo di intellettuale di riferimento. Anche Berlusconi ha e ha avuto i suoi (e in parte è vissuto di rendita, confidando sul capitale accumulato da chi poi, talvolta, è passato dall’altra parte: giornalisti, vecchio e nuovo ceto politico, tecnici dell’economia, chierici, operatori dello spettacolo).
    Anche i chierici, i funzionari, i politici, i giornalisti, gli scienziati, i ricercatori, i portatori di un sapere specialistico, gli imbonitori televisivi, i tecnici della persuasione sono intellettuali, sia pure con status, priorità etiche e funzioni diverse. Esistono intellettuali che si adeguano, amministrano e promuovono la società presente. Esistono intellettuali che non si pongono l’obiettivo della trasformazione. Certo, negli ultimo decenni il ceto politico italiano si è dimostrato particolarmente povero di cultura e moralità. Ma questo ceto includeva intellettuali, in senso proprio e in senso lato; e lo dico benché sia forte in me la tentazione di vederli quasi tutti come cialtroni, arrivisti, disonesti, tecnici della confusione, della mistificazione e della menzogna (ma non sono anche gli “intellettuali”, e non solo i Goebbels o i collaboratori di “La difesa della razza”, attraversati da queste contraddizioni?)
    La politica non è solo quella cosa che si vede nei talk show. Poco importa, secondo me, se si fa politica in Parlamento o altrove, a patto che si faccia ovunque, e non solo in occasione delle elezioni. Politica, sia pure su piani diversi, può essere legiferare in Parlamento così come lottare nei movimenti o in un sindacato, per migliori condizioni di lavoro o per una diversa organizzazione della cultura.
    Preferisco che non si usi la parola intellettuale soltanto per indicare il grande intellettuale e lo scrittore, o soltanto l’intellettuale che vuole trasformare la società. Sono intellettuali-massa milioni di lavoratori, subalterni e spesso precari, che dovrebbero unirsi, ma non è affatto scontato che lo facciano, per trasformare il nostro paese…

  5. Ho pensato ai miei pregressi in Cgil, la mia laurea in Filosofia qualificata come una laurea “che non serve a niente” e i tanti maschi dell’istituto tecnico che mi sono passati avanti, facendomi pure la morale.

  6. A Sara.
    In Cgil di che cosa ti occupavi? E ora che cosa fai? Scusa, sono curioso. Io insegno in una scuola media a Bologna. (Non sono iscritto alla Cgil).
    L.

  7. Limitandoci alla logica, o a una sua parodia ma tanto va bene lo stesso:
    Premessa 1: i politici vanno cacciati, tutti;
    Premessa 2: gli intellettuali ci fanno schifo, tutti;
    Domanda: e chi dovrebbe, di grazia, rappresentarci nelle istituzioni?
    Risposta: noi stessi, ovviamente! I cittadini comuni, chi altri sennò? E infatti abbiamo Beppe Grillo e i suoi onorevoli “cittadini”. In fondo sono talmente comuni che basterebbe sorteggiarli, risparmiando i soldi delle elezioni (vedrete che nella sua ansia ragionieristica Grillo lo proporrà, prima o poi). Avremmo così la sublimazione definitiva di quella religione nazionale della botta di culo che in questo paese ha preso il posto della meritocrazia.
    Adesso una domanda facciamocela noi: ci faremmo rappresentare in tribunale da un semplice cittadino – onestissimo per carità – anziché da un avvocato? O anche: faremmo progettare il nuovo quartiere cittadino in cui vogliamo andare a vivere da un più che onesto cittadino anziché da un architetto? Io no, voi non so. Ma, chissà perché mai, la professione di politico – che pure richiederebbe competenze molto elevate o quanto meno la capacità di assimilare in tempi rapidi nozioni complicate, cosa che di certo un intellettuale è più attrezzato a fare del cittadino onesto di cui sopra – questa professione, dicevo, dovrebbe essere lasciata a chiunque possa autocertificare di sbagliare tutti i congiuntivi e di essere talmente pippa da non aver mai superato un colloquio, vinto un concorso, niente di niente; perché, ovvio! La kasta l’ha respinto! Mah.
    Sì, mi rendo conto, non è una riflessione elevata come quelle di chi mi ha preceduto, ma sarà che l’ora tarda mi rende torpido e al tempo stesso però anche iroso, per cui abbiate la bontà di prenderla così come mi è venuta. Buonanotte.

  8. @maurizio eppure per far parte dell’elettorato passivo, la laurea non è richiesta. Nè un attestato di possedere qualche abilitá, o un intelletto. Stessa cosa per l’elettorato attivo, e il voto dell’ultimo kebabbaro o del primo evasore contano esattamente come quello di Rodotà. Bella, brutta o come sia: democrazia.

  9. qualche anno fa furoreggiava meritatamente questa battuta:
    “Micromega, una rivista scritta da e per elitisti di sinistra che sposta di 5 anni in avanti la vittoria del PD ogni volta che esce in edicola.”
    Ma Gramellini che non opera secondo distinguo ragiona come gli epigoni affaristi del capitan ganassa(e in parlamento c’è stato pure Calvino)

  10. Una considerazione di carattere generale: penso che i cosiddetti “intellettuali” (termine che, ribadisco, per me è inutile e fuorviante) debbano anche recuperare, intelligentemente, un po’ di orgoglio.
    C’è un sentire comune anti-intellettuale diffuso, che è estremamente dannoso perché, dietro il paravento della contestazione alla “ka$ta”, sdogana l’abbandono di ogni forma di riflessione critica sulla nostra società, sul suo funzionamento e sui suoi (tra mille virgolette) “valori”.
    Come si risponde a questo sentimento? Continuando a dire: “ma tanto siamo ininfluenti perché nessuno ci ascolta più”?
    Non voglio accusare nessuno di vittimismo o che, penso solo che si debba rispondere a tutto questo magari proprio ripartendo da un ripensamento radicale del ruolo dell'”intellettuale” (… di nuovo…).
    Secondo me, una delle cause di questa marginalizzazione – e del conseguente odio/scetticismo – sia stato l’abbandono di un “pensiero forte” capace di introdurre non solo degli elementi di critica, ma anche la prospettiva di una società diversa, da realizzare attraverso il coinvolgimento attivo dei ceti popolari. Cosa, questa, che implica non solo la capacità di sviluppare un pensiero all’altezza delle sfide enormi di quest’epoca, ma anche l’impegno diretto (e non soltanto occasionale) di chi “lavora d’intelletto” a progetti sociali e politici ambiziosi.
    In assenza di questo, si rimarrà per sempre intrappolati in una dinamica asfittica dalla quale guadagnerà soltanto chi ha gettato il sasso nello stagno dando il via alla stagione del “dagli all’intellettuale”.
    Rovesciare il frame, in altri termini.

  11. @Alessandro: dal che si evincerebbe che votare, legiferare e governare richiedono le stesse competenze, immagino. Un pentastelluto calzato e vestito. Già fatte le parlamentarie? Andate male? Peccato… ritenta, sarai più fortunato.

  12. @Maurizio “Il che” da cui tu evinci è quello che sta in costituzione, più o meno. Non l’ho scritta io, se preferisci un modello tecnocratico sei il benvenuto a proporlo, di questi tempi costituenti nessuno si scandalizzerà. (Ho la sensazione che gli intellettuali che vorresti tutelare sarebbero però tra quelli che prenderebbero cappello.)
    Se vuoi, lasciamo perdere il fatto (rilevante) che i requisiti praticamente utilizzati per selezionare chi pratica la professione di politico non mi sembra siano attualmente quelli da te indicati (le competenze elevate, l’assimilazione rapida di concetti complessi).
    Resta pur sempre il fatto che per governare il paese il requisito insostituibile è vincere un’elezione – in mancanza del che, qualunque altra considerazione su competenze professionali e acume intellettuale diventa irrilevante. Capisco che possa non piacere.
    Naturalmente, nel momento in cui i competenti intellettuali di cui si parla vincessero finalmente un’elezione, questa seccante separazione cesserebbe. Sto aspettando che lo facciano da qualche decennio, prima o poi arriveranno.
    (Quanto sopra per quello che riguarda la materia del contendere. Se invece ti interessa conoscere, in dettaglio, cosa indosso, cosa calzo, e perchè no, anche cosa voto, sarò felice di comunicartelo privatamente, per e-mail, come si faceva una volta, per non annoiare gli altri partecipanti al blog coi nostri battibecchi. Tu così magari mi spieghi cosa sono le parlamentarie e perché pensi che dovrei interessarmene anche io)

  13. @Alessandro: le mie consiederazioni non erano (ovviamente!) di carattere normativo, e pensavo che questo si capisse. Mi limitavo a criticare l’atteggiamento di quanti dileggiano la cultura e vagheggiano una rappresentanza fatta da persone “del popolo”. Che è esattamente quella che abbiamo: disonesto e ignorante il popolo, specularmente corrotta e scadente la classe politica. Non è che una selezione in base al profilo culturale possa migliorare la levatura morale della compagine di rappresentanza; però io parlavo di competenze, limitandomi a sostenere che vorrei reappresentanti che ne sappiano più di me, e non di meno; o, almeno, che sappiano entrare nei meccanismi tecnici della politica in modo sufficientemente profondo e veloce meglio, e non peggio, di quanto potrei fare io; trovando puerile l’idea che l’ignoranza al potere, spacciata per schiettezza e onestà (ma quando mai, nel paese in cui basta fare l’uscere per intascare mazzette) possa far meglio dei famigerati “professoroni”. Questo auspicio mi è consentito o anche questo viola la carta costituzionale?

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