DANZARE LA GIGA SULLA TOMBA DELLO SCRITTORE: A PROPOSITO, ANCORA, DI FANTASTICO

Mi è capitato di imbattermi, da ultimo e per l’ennesima volta, nel pregiudizio nei confronti dell’elemento fantastico in letteratura. Da ultimo e per l’ennesima volta, sottolineo, perché è ben strana la situazione italiana, da questo punto di vista. Da una parte una cospicua schiera di esponenti di literary fiction (anche scrittori, ma soprattutto critici e operatori culturali) che non ritengono opportuno il deragliamento dal binario del realismo. Dall’altra, come si sa, la schiera dei puristi del fantastico stesso che guardano con sospetto, o con aperta acrimonia, il deragliamento dal binario del canone interno al genere.
Ora, dovrebbe bastare il Nobel per la Letteratura assegnato a Kazuo Ishiguro, che nella sua carriera letteraria ha usato il genere della distopia (Non lasciarmi) e del fantasy (Il gigante sepolto) per scavalcare d’un balzo l’annosa e stucchevole polemica (che è anche pericoloso riprendere, ogni volta, perché si viene calati nei panni della vittima lamentosa, mentre il problema non riguarda, a mio parere, i singoli autori ma una concezione miope della letteratura stessa).  Invece non basta. Né bastano gli infiniti esempi che si possono addurre: da Murakami Haruki a McCarthy, per non parlare degli autori e delle autrici di casa nostra che nei territori del fantastico camminano in numero sempre maggiore, trovando, se provenienti dalla literary fiction, le solite perplessità (è una metafora? è un esperimento? che diavolo è?) o, se appartenenti al genere puro, l’invito a scrivere per un pubblico giovanissimo, o a restare nella nicchia. Il fantastico, ebbe a dire Ursula K. Le Guin, è rovesciare la caraffa del tè, non sedersi al tavolino e versarlo nella tazza:
“Stendhal, da quell’austero realista che era, si vantava di aver creato coi suoi romanzi «uno specchio al lato della strada» per riflettere la realtà. Che però non può fare ciò che invece fa la fantascienza: mostrarti il mondo, o te stesso, da un punto di vista mai conosciuto prima”.
Il fantastico è attingere con libertà alle forme date perché quella determinata storia va raccontata in quella forma, ebbe a dire Ishiguro:
“mi sono valso della grande libertà del romanziere, della enorme scelta a disposizione tra geografie e tempi storici, per reagire a quanto accadeva intorno a me. Il mio è un tentativo di defamiliarizzare cose familiari, per far vedere in modo efficace fatti ai quali ci siamo tanto abituati da non accorgercene più”.
Se Ishiguro usa un drago, Muriel Barbery gli elfi, Le Guin cosmologie ignote (e se indegnamente la sottoscritta usa le figure del mito) non è per fuga dalla realtà: è per rafforzare semmai la presa sulla realtà. Come ebbe a scrivere Wu Ming 4 a proposito di Tolkien:
“Sembra che siamo ancora lì: non ci si è mossi di un passo da Tolkien l’escapista. Come se la sua produzione narrativa fosse basata esclusivamente sulla costruzione meticolosa di mondo e quello stesso mondo non fosse attraversato da questioni, problemi, conflitti inquietanti, che riguardano la vita di ciascuno. Come se – citando Stephen King – una buona storia non fosse quella che dice la verità su di noi, sulla condizione umana, e l’opera di Tolkien non facesse proprio questo”.
Pazienza. Ci sarà un tempo in cui più che citare Harold Bloom o Todorov e i loro canoni, si accetterà la libertà con cui gli scrittori si muovono sulle strade dei generi, attraversandoli e rimaneggiandoli. Nel frattempo, se interessati, potete contribuire alla nascita del primo museo italiano dedicato a Tolkien, già in fieri a Dozza, Imola, e destinato ad accogliere anche incontri, studi, libri. Qui il progetto per la Tana del Drago (uh, che vergogna! Draghi!). Siatene lieti, e andiamo avanti.
Quando scrivo, mi diverto un mondo a sfidare tutte le convenzioni, danzando una piccola giga metanarrativa sulla tomba dello scrittore-che- si-nasconde (Ursula K.Le Guin)

3 pensieri su “DANZARE LA GIGA SULLA TOMBA DELLO SCRITTORE: A PROPOSITO, ANCORA, DI FANTASTICO

  1. Concordo in pieno e allargo il discorso cita la “Furniture’s rule” di George RR Martin – non si guarda tanto alla storia, a quello che dice, a come lo dice, ma alla “ambientazione” a come “è ammobiliata” la storia
    Scrive Martin (https://en.wikiquote.org/wiki/George_R._R._Martin):
    “The House of Fantasy is built of stone and wood and furnished in High Medieval. Its people travel by horse and galley, fight with sword and spell and battle-axe, communicate by palantir or raven, and break bread with elves and dragons.
    The House of Science Fiction is built of duralloy and plastic and furnished in Faux Future. Its people travel by starship and aircar, fight with nukes and tailored germs, communicate by ansible and laser, and break protein bars with aliens.
    The House of Horror is built of bone and cobwebs and furnished in Ghastly Gothick. Its people travel only by night, fight with anything that will kill messily, communicate in screams and shrieks and gibbers, and sip blood with vampires and werewolves. ”
    Pertanto, per esempio “star wars è fantascienza perché ci sono laser e astronavi”. mentre è probabilmente una storia fantasy
    Ma, cosa più importante, è una bella storia

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