Dice lei: Facciamo l’elenco. Cominciamo
con il complimento untuoso.
Dice l’altra: Capito. Lui dice cose tipo:
leggo tutto quello che scrivi, da quando non sei più alla radio ho ripetute
crisi di astinenza, sono il tuo ammiratore numero uno e persino, se è un
abietto totale, che-occhi-grandi-hai?
Dice lei: Esatto. Fase due?
Dice l’altra: Cita due o tre nomi di
scrittori contemporanei e magari coetanei e sostiene che il loro successo,
anzi, il fatto che siano arrivati a pubblicare qualcosa, è assolutamente immeritato
e frutto di ignobili manovre, parentele incrociate e perversioni fisiche e
mentali.
Dice lei: Brava. A questo punto?
Dice l’altra: A questo punto tu ti senti in
imbarazzo per lui, per la figuraccia che sta per fare, cioè, e gli dici che
almeno un paio di quei due o tre sono veramente bravi. Aggiungi che il mondo
dell’editoria non funziona esattamente così. Aggiungi che il mondo in
assoluto non è per forza così: e che, a tuo modo di vedere e per tua
esperienza personale, a volte capita di riuscire a realizzare un desiderio, un
progetto, una piccola o grande ambizione, senza doversi iscrivere alla setta
degli Illuminati o ingaggiare l’avvocato Taormina.
Dice lei: Ovviamente non vengo creduta.
Nemmeno quando racconto che io ho cominciato a condurre alla radio dopo un
provino. Leggere la lettera di un ascoltatore e improvvisare una risposta.
Pazienza. Fase tre.
Dice l’altra: Beh, la fase tre può avere
diverse tempistiche e diverse modalità espressive. Ma il succo è: ho scritto un
romanzo.
Dice lei: Con quel che segue. Fermiamoci
qui. Ma la domanda è: perché esistono persone disposte ad affermare tutto e il
contrario di tutto, a mentire, azzannare, blandire (pensando di essere
credibili, oltretutto) per un libro? Per farlo pubblicare o recensire,
ma comunque per un libro?
Dice l’altra: Perché un libro è la tua
garanzia di immortalità?
Dice lei: Ecco perché mi piacciono le
storie di vampiri: sono immortali anche loro, ma più simpatici.
Dice l’altra: Però non esistono.
Dice lei: Peccato.
Ps. Visto che è tempo di dialoghi (molto più
dotti di questo), qui ci si adegua. Questa è la trascrizione enfatizzata di una
recentissima chiacchierata telefonica (laddove l’altra è lei).
Pps. Per
quelle che qui si considerano buone notizie (per le patrie lettere, non per me medesima),
leggere questo.
Pps. Su Liberazione, Christian Raimo su Nove-Tedoldi-Desiati.
Chi l’ha detto che non esistono?? 🙂
ora – tranne per il fatto del libro – io sono proprio così.
Direi: io sono Quello (se non risultasee eccessiva l’enfasi).
Io giuro, spergiuro, traviso, accuso, abuso e sono acuto e ottuso.
Perché, mi si chiede (non a me lo si chiede, comprendo, ma abbiamo Noi deliri d’onnipresenza).
Ebbene, perché una vita sola non basta.
Perché occorre essere tutto e ogni cosa e allo stesso tempo.
Perchè per moltiplicarmi devo essere altro da me.
Devo negarmi e disconoscermi.
Perché solo l’incoerenza apre nuovi occhi e rivela qualche (minima, astenica e ingannevole – ma soprattutto inutile) verità.
Fui, in questo, un vero artista, un eroe tragico.
Non mi avete compreso mai.
Signor Effe, non menta. Lei, in questa storia – e posso giurarlo, non è Quello. Lei è il Vampiro. 🙂
Sei un simpatico pirla, in fondo (molto in fondo) ti vogliamo quasi bene.
Ma d’altra parte, signor Effe, lei com’e’ diventato una blogstar? Di chi e’ amico? Di quale conventicola fa parte?
p.s.
su liberazione, c’e’ anche il pezzo di Di Michele sul mastrocolismo. sti comunisti, non solo lessano i bambini, ma leggono anche i blog…
segnalazione:
Alle colonne d’una molto recente riflessione, lo scrittore Cesare Battisti affida alcune sue valutazioni che possono diventare frutto d’un ragionamento maggiormente sviluppato, sull’argomento proposto dallo stesso. Il testo è datato 30 gennaio 2006, ma solamente a fine marzo è stato divulgato “ampiamente” grazie al sito internet http://www.carmillaonline.com, “gestito” (fra le altre e gli altri) dagli scrittori Valerio Evangelisti e Giuseppe Genna.
Il documento comincia con una premessa significativa: “Non ho alcuna intenzione di fornire l’ennesima analisi degli anni di piombo. Non potrei farlo. Perché sono una parte in causa, perché non sono uno storico e soprattutto perché mi è oggettivamente impossibile raccontare una ferita che non si è ancora cicatrizzata nel corpo sociale italiano”. Infatti, le righe sono titolate con “68 o anni di piombo? L’anomalia italiana”. Per l’intera, o quasi, durata dell’articolo, Battisti non lesina critiche fortissime alla Dc (cosa abbastanza ovvia e giusta), individuata come una delle cause scatenanti “l’onda di violenza politica che sommergerà l’Italia negli anni ’70”; ma senza risparmiare niente di niente al Pc, e, allo stesso tempo, individuando le componenti umani che in quegli anni s’impossessarono dell’arma violenta. In questo spazio, non è nostra intenzione capire se lo scrittore ha completamente ragione o molto poco ragione o altro, (anche se la prima ipotesi sembra essere quella più corrispondente alla realtà), ma vorremo citare l’ultima parte del testo, che senza dubbio è quella più ambigua e sulla quale occorrerebbe discutere.
“Tra questi giovani, e anche meno giovani, che verranno chiamati prima Angeli e poi Terroristi, molti possiedono un meccanismo raffinato che mescola reazioni sentimentali e intellettuali. Non si fermano alle armi della critica e critica delle armi. Essi coltivano già l’idea di poesia delle armi e armi della poesia. Sono individui, fra molti altri, che lavorano sul campo. Sono numerosi e largamente sostenuti dal malcontento generale. (…) Se necessario si battono contro i fascisti o i poliziotti, oppure contro i manici di piccone impugnati all’occasione dal servizio d’ordine del PCI. Questi giovani sono abituati a lottare contro gli assalti fascisti. Resistono ai manganelli della polizia e non arretrano davanti al sibilo delle pallottole di caucciù. Ma quando, al posto del caucciù, appare del piombo, credono, a torto, che non vi sia che una scelta: le armi o la poesia. Questa è l’anomalia italiana”. Questi passaggi, specialmente gli ultimissimi contengono potenzialmente il frutto d’un ulteriore approfondimento. Nel senso che, tanto per cominciare, sarebbe il caso di chiarire quell’ambigua attribuzione al “malcontento generale”, senza tuttavia cambiarne il significato che potrebbe anche essere perfettamente esatto, ma spiegando che non si tratta del largo sostegno fisico e umano, quanto piuttosto d’un sostegno tutto ideale, ovvero intrinseco alle condizioni dello stesso periodo e non riconoscibile in individui chiaramente identificati. Inoltre, l’ultimissimo periodo volutamente “letterario” e sofistico, nonché carico d’una piccola dose di lirismo, appare molto generalizzante.
b!
NUNZIO FESTA
Gent.ma Loredana Lipperini,
mi ritrovo di nuovo ad interpellarla e magari penserà di essere perseguitata, dato che ci eravamo lasciati al telefono soltanto ieri sera, ma dopo aver letto il suo ultimo post del blog non potevo fare a meno di scrivere, giacché, paradossalmente, sono le stesse cose che ho pensato anch’io dopo la nostra telefonata. Ora le spiego.
Non so se ciò che ha scritto è riferito nel caso particolare a ciò che ci siamo detti, e forse rischio di fare la figuraccia di quel mio compagno di classe che venne chiamato dalla professoressa durante l’appello, e lui, pensando fosse stato chiamato per essere interrogato, si giustificò dicendo che non aveva potuto studiare.
Insomma, non so se il mio intervento sia pertinente o meno, fatto sta che mi sento chiamato in causa, perché della nostra telefonata non sono rimasto affatto soddisfatto, ma non per ciò che ha detto lei, per come mi sono posto io.
Il mio problema è sempre stato quello di essere troppo timido, di essere sempre troppo timoroso di disturbare le persone e d’invadere la loro libertà.
Telefonarle mi è costato sacrificio, se le dico che ero sudato e tremante prima di comporre il suo numero forse sorriderà, ma è davvero così.
Insomma, avrei voluto dirle tante altre cose e sopratutto diverse da quelle che alla fine le ho detto.
Comincio ora. Una persona che si occupa da tanti anni di giochi mi ha dato diversi indirizzi di giornalisti che trattano questo settore. Ho spedito loro il libro e li ho poi contattati per sapere cosa ne pensavano. E questo è il punto. Per me, forse ingenuo o comunque inesperto di queste cose, era cosa normale attraverso una telefonata, oppure un e-mail, ricevere una risposta, positiva o negativa che fosse, anche del tipo: “grazie del libro, ma non lo posso recensire”, ma comunque una risposta. Punto e a capo.
Poi qualcuno mi ha spiegato che certi giornalisti neppure ti rispondono perché sono sovraccarichi di richieste, e questo ora almeno un po’ riesco a capirlo, ma nel mio mondo provinciale all’inizio tutto ciò era incomprensibile.
Quando poi lei mi ha fatto presente che uno non può scrivere su tutto, le avrei voluto dire che ero d’accordissimo, ed era proprio per questo che le avevo telefonato, ossia proprio perché capisco che non tutto può essere segnalato (e poi sinceramente ognuno è libero di scrivere su ciò che vuole e su chi vuole), ho telefonato per sapere cosa avrebbe fatto, per sapere se potevo continuare o meno a sperare. Cercavo soltanto una risposta e non davo affatto per scontato ch’essa fosse positiva, tutt’altro. Anche il mio riferimento agli altri giornalisti di quotidiani nazionali che mi hanno segnalato poteva sembrare come una sorta di ricatto psicologico nei suoi confronti, ma in realtà voleva suonare così: “Guardi, io per primo sono stupito dell’accoglienza che il mio libro sta avendo, essendo uno studio di carattere locale, ma è proprio questa accoglienza che mi ha spinto a rivolgermi anche a lei, altrimenti non mi sarei permesso d’interpellare un giornale prestigioso come Repubblica e una giornalista come lei”.
Spero che certi fraintendimenti, se mai ne fossero nati, siano risolti.
Grazie per la sua attenzione, la sinteticità non è stata mai il mio forte!!
La lascio con una battuta: “Se scriverà qualcosa su di me, la ospiterò quest’estate nel mio agriturismo in Toscana!”, e poi non dica che farei di tutto pur di guadagnarmi l’immortalità!
Anch’io detesto i questuanti, che ti coprono di libri e lusinghe, però devo ammettere che in passato lo sono stato anch’io. Quando uno comincia a pubblicare è giocoforza goffo, inesperto e patetico, come l’intervento di Luca che mi precede. Quindi, siamo indulgenti coi neofiti! Almeno finché sono neofiti!
o Impermanente
(nel senso di Passante, alcuni commenti addietro):
moderi seduta stante i termini, o l’avrà a che vedere con me.
Non permisi, non permetto ed eziandio non permetterò ad alcuno mai di appellarmi impunemente come simpatico.
Illustri Signori Ricambisti,
io fui ordinato nel 1962 membro laico della conventicola dei Carmelitani Scarsi, un Ordine incredibilmente ancora in attesa di riconsocimento pontificio.
Riverenze
F
Ehi, LUCA ci vengo io nel tuo agriturismo. Ti faccio la recensione a scatola chiusa! (ehm.. però non so dove pubblicarla…)
😉
oh, bello il link a liberazione! ma quando raimo dice: “tedoldi evita ogni ironia”, è stranissimo!
quando ho letto le ultime righe del posto ho pensato:”eccoci,finalmente potrò capire cosa intendeva Giampaolo Ormezzano quando dichiarò di non credere ai fantasmi,ma solo alle storie di fantasmi”.Poi ho letto tutto(“tutto tutto,niente niente”,e ho capito che non era nemmeno questa la volta gista
Anche io sono un “neofita” che sgomita con racconti e piccole pubblicazioni. Solo, non so se per essermi informato di più, o per catartico sconforto parto dal fatto che già ricevere un rifiuto è un risultato! 😉
Comunque senza essere ossessivi si deve continuare a provare, MA se alla lunga si ricevono solo rifiuti…bé forse ciò che abbiamo scritto NON vale proprio.
( ho ricevuto una NON RISPOSTA in queste ultime settimane. pace. ritenterò)
In bocca al lupo caro Luca…
@Luca Che romanzo hai pubblicato?
Quando ho scritto l’ho fatto con l’intenzione di chiarire delle cose con la creatrice del blog, ed ho subito pensato che quello sarebbe stato il mio unico intervento. Non m’interessava affatto scatenare una qualsiasi reazione in chi legge questo blog, in chi comunque è al di fuori della mia vicenda. Tuttavia, dalle riflessioni che avete fatto si capisce che ci sono persone che hanno condiviso, o che comunque vivono la mia stessa situazione, ovvero quella di scrittore neofita, e allora ho deciso d’intervenire per l’ultima volta, stavolta per dire loro delle cose a cui tengo tanto, e che spero possano in qualche modo essere utili.
Insegno in una scuola media, ma da anni collaboro con un docente di linguistica italiana, svolgendo ricerche sul dialetto e sulle tradizioni. Col mio primo libro ho ricostruito il dialetto di alcune zone della regione in cui abito, la Toscana, attraverso i lavori tipici della vita contadina e di quella nei boschi (il mestiere del carbonaio, del taglialegna, del segantino, la raccolta delle castagne ecc.). Nel mio secondo libro ho invece trattato il dialetto parlando dei giochi e dei giocattoli tradizionali.
Come forse avrete intuito sono argomenti molto specialistici. Tuttavia, specialmente il secondo libro, è stato pensato per i bambini, quindi è scritto in italiano standard e le uniche parti in dialetto (filastrocche e nomi di giochi) sono sempre accompagnate dal corrispettivo termine in italiano. Per lo stesso dialetto ho utilizzato una trascrizione fonetica semplificata al massimo. Vi faccio un esempio: io adesso insegno in una scuola media di un paesino in provincia di Como. I miei alunni comaschi non hanno riscontrato alcuna difficoltà a leggere le parti in dialetto toscano.
Scusate il preambolo, ma era necessario per capire il seguito.
Come già detto, si tratta di un libro molto settoriale. E per la presenza del dialetto, e per l’argomento che tratta (giochi e giocattoli della tradizione), i possibili lettori e fruitori del libro si riducono di molto. Con questo ho risp a chi mi chiedeva quale romanzo avessi scritto.
Allora in questo caso come ci si muove? è inutile proporre il libro a giornalisti, riviste o case editrici che non trattano quest’argomento. E forse qui qualcuno dirà che ho scoperto l’acqua calda, ma rispondo io che si può essere neofiti, ma non sprovveduti.
Fatto sta che per prima cosa ho presentato il libro a chi è del settore, per tastare il terreno e vedere cosa succedeva.
Ebbene a mio avviso mi è andata benone, perché ho avuto riconoscimenti dalla Lega Nazionale giochi e sport tradizionali, il cui presidente verrà alla presentazione del libro che si terrà ad Arezzo tra breve, ho ricevuto riconoscimenti dall’Associazione giochi tradizionali di Verona, dall’Accademia dei giochi tradizionali di Cosenza e sono stato nominato “Accademico dei giochi trad.” dall’Accademia del gioco dimenticato di Milano col cui fondatore ora cercheremo di portare le Monelliadi a Como o ad Arezzo. Ho ricevuto recensioni positive da tutte le maggiori riviste che parlano di giochi: Il Discobolo, La Ludoteca, Ludica e Assoludo.
Dopodiché, forte di queste cose (o forse più coglione di prima), ho iniziato a rompere i maroni ai giornalisti che si occupano di giochi, e ho avuto recensioni positive dal Piccolo di Trieste, dal Messaggero Veneto, dalla Provincia di Como, dal Secolo XIX, dalla Gazzetta del Sud, da Tuttolibri-La Stampa, da La Nazione ecc. Ho poi ricevuto una recensione a cui tengo molto, dato che sono un insegnante, ovvero dal bimestrale Scuola e Didattica. Ho inoltre partecipato al programma radiofonico Giocando di Radio 2 Rai, grazie al quale ora inizierò una collaborazione con l’Università XIII di Parigi che tiene da 20 anni un corso post-universitario sul gioco.
E tutto questo ha portato all’interessamento di una casa editrice che mi vuol ripubblicare il libro in scala nazionale.
Tutto ciò per dire che:
1) bisogna essere consci dei propri limiti e di dove si può veramente arrivare. Non credo di essere superbo nell’affermare che con questo libro, dato che comunque alla fine nasce come ricerca locale, più di così non potevo veramente ottenere. Ma è anche vero che se l’ho ottenuto è solo perché ho mirato nel punto giusto.
2) bisogna essere pronti ad investire tempo e denaro.
3) scusate lo sfogo, ma crepo dalla voglia di dirlo: quei giornalisti che non vi rispondono sono e rimarranno per me dei grandissimi maleducati. Forse si sono dimenticati che un tempo anche loro erano “nessuno”, e dovrebbero sapere che un “neofita” spende soldi, tempo, ma che soprattutto ama fino allo spasimo quello che ha creato e vi ripone tante speranze. Capisco benissimo che può essere imbarazzante dover spezzare queste speranze, ma credetemi, sta peggio chi non riceve risposte, perché continua sempre a sperare e oltretutto non riuscirà mai a capire se è venuto il momento di “darsi all’ippica”, oppure di insistere e continuare a credere in ciò che fa. Tuttavia è anche vero che ci sono stati numerosi casi di opere ripudiate e poi diventate dei cult, ma qui il discorso si complica.
In definitiva, tutta sta questione la trovo davvero ridicola. Qualcuno ha detto che odia i questuanti che ti coprono di libri, e gli do ragione, perché è comunque un invadere la privacy altrui, ma scusatemi, se io scrivo un libro a chi lo debbo spedire per avere un riscontro? A un macellaio??! Oppure a uno che si occupa dell’arte dello scrivere?!
Un giornalista che tratta da anni di un certo settore, quanto tempo credete che impieghi a valutare se un prodotto è buono oppure no?! E inoltre, con i mezzi di comunicazione immediati che ci sono oggi, vedi internet, cosa ci vuole a crearsi dei messaggi modello con cui dire “no grazie, ma non lo posso recensire”. Un po’ come fanno le case editrici quando ti rispondono sempre allo stesso modo, ovvero che il tuo libro non rientra nei loro “futuri programmi editoriali”.
E con questo ho risposto all’amico che giustamente ha fatto notare come bisogna essere contenti e felici se solo riesci a ricevere una risposta. Ed ha tristemente ragione, questa purtroppo è la realtà, di persone che si sono dimenticate come erano quando sono partite da zero come noi, di persone che ora sono indifferenti verso gli altrui sentimenti, ma soprattutto di persone che sono tutto tranne che UMILI.
Ragazzi, oggi giorno manca l’Umiltà (e un mio amico toscano direbbe che manca anche la gnocca – raccontano che ci son sette donne per ogni uomo, allora le mie se son fatte tutte suore).
In bocca al lupo a tutti!!
Scialli e Ventagli, ciao.
Carissimo Luca,
in quello che scrivi c’è solo un errore, ma è di fondo. Prima bisogna trovare l’editore non stampatore che abbia anche una distribuzione e che sia specialista nello specifico. Poi, sarà compito dell’editore contattare chi è nel settore e può adeguatamente commentare/valutare l’opera. Diversamente credo proprio che l’unico effetto che si possa conseguire è quello di tartassare chi insieme al prodotto di valore riceve tonnellate, vagonate, secchiate di… varie ed eventuali:-)
Capita nel variegato mondo dei blog: quanti sono quelli che meritano? Pochi è già troppo… tu li leggi tutti? E, a naso, come si fa a capire quale vale?
Una discriminante nell’editoria poi è mandare un libro di giochi a una editrice di romanzi rosa, giusto per spararne una e pretendere una recensione da un filologo greco…
E, comunque, le cose che valgono non se le fa scappare nessuno, le altre evidentemente… non è questione di umiltà si chiama realtà. E con quest’ultima val bene imparare a conviverci…
Buon fine settimana!
Pubblicare e non avere pubblico, questo è terribile. Scrivere e non poter far leggere, questo è terribile. Spedire, dire, telefonare ai ‘grossi’ per vedere ‘l’effetto che fà’, questo è terribile. E pazzo. E’ patetico, anche. Ci si vergogna, anche. Ma i ‘grossi’… a volte sono troppo ‘grossi’, hanno il tempo piccolo, la pazienza piccola, hanno letto e letto e riletto i grandi ( e i grossi)e non ti leggono, perchè sei piccolo, sei ‘nessuno’ (non nel senso di ulisse), e il tuo editore è piccolo e senza pretese (magari ti ha preso in giro, magari in modo GROSSOlano) sei senza paracadute, sei SENZA tutto… tranne il tuo libro. Quello c’e’, non serve a nessuno, non farà riflettere nessuno, nesusno lo osanerà o lo stroncherà, nessuno s’accorgerà, potevi intitolarlo ‘Il Claandestino’ (ma c’e’già stato Mario Tobino) tanto è inservibile, tranne per il punto più oscuro della tua biblioteca…e della tua memoria…e poi se tenti di essere un pò ‘vampiro’, di cercare pure tu di esserlo tra gli altri, ‘magari coetanei’, ecco che la critichessa vempirbuster ti pianta il paletto di frassino in petto…e richiude la cassa. Per sempre. Amen…
A rowita:
si legge un libro in dieci: cinque dicono che è brutto. Uno, insomma. Gli altri quattro dicono che è bello.
Come è quel libro? Quello è un comitato di lettura e il libro non uscirà perchè la maggioranza ‘vince’…
E così per un recensione: una piccola casa editrice e un piccolo sconosciuto e umile ‘scrittore’spedisce il libro a un ‘grosso’ recensore. Io putroppo sono sicuro che vengo cestinato. Prima di esser letto… Perdonami, ma penso così..
Il mondo dell’editoria non è semplice, ed entrarci con un libro, da sconosciuto, è arduo e spinoso.
Personalmente non so cosa farò quando avrò finito il libro che sto scrivendo (appena inizito, ma già ben progettato). Forse lo spedirò ad editori ( grandi e piccoli) che potrbbero (per genere) essere interessati alla mia opera.
Oppure prenderò la strada costosa di un’agenzia letteraria. Per ora cerco di “entrare lentamente nel mondo delle lettere”, partecipando a concorsi (e qualcuno l’ho pure vinto) e collaborando con una rivista on-line come caporedattore. Così facendo oltretutto : a.scrivo, e la cosa mi piace davvero. b. miglioro di racconto in racconto. c. mi confronto con una crititca, e questo aiuta.
Poi, mi è difficile non capire quei giornalisti che ricevono centinaia di libri tutti “bellisssimi” e “imperdibili”, e che un po’ a naso devono fare una scelta.
Nel mio piccolissimo di caporeddatore di un magra rivista on line, dei libri che mi arrrivano ne riesco a recensire la metà. E sono pochi.
Eternauta
Pubblicare e non avere pubblico, questo è terribile. Scrivere e non poter far leggere, questo è terribile.
se il problema è che qualuno legga e poi dia risposta direi che ‘i Quindici’ vanno più che bene. Considera che sono anche riusciti a farne pubblicare alcuni (di buoni libri). Suvvia, da bravo, leggono a gratis e sono pure bravi: mandagli qualcosa o partecipa come lettore disinteressato. Una sana socialità a volte aiuta.
besos
a me è successo questo.
pubblico un libro, casa editrice blasonata ma non troppo, 2150 copie, contratto regolare, distribuzione nazionale.
la casa editrice, su mia indicazione, manda il libro a 25 giornali.
risultato: 2 recensioni. una su un periodico locale una, piccola ma importante, su Specchio.
e poi un’altra ancora, bestiale recensione: su un giornale “importante”, pure positiva: peccato che il recensore non avesse letto non dico il libro ma nemmeno la quarta di copertina.
fortuna che ha ricopiato giusto titolo e il mio nome.
(il prossimo libro, che è in dirittura d’arrivo, lo manderò a 25 blogger).
luca ti capisco (ma roswita ha detto bene), mi pare
Ben ritrovati. Faccio solo una piccola precisazione, per Luca e gli altri: guardate che il post non si riferiva affatto a coloro che chiedono attenzione, bensì a chi ritiene che per ottenere la medesima si debba prodursi in sviolinate e professioni di stima nei confronti del recensore. Chiaro adesso?
🙂
“Pubblicare e non avere pubblico, questo è terribile. Scrivere e non poter far leggere, questo è terribile.”
“…i lettori sono una specie ormai estinta. non v’è europeo … che non sia uno scrittore, in potenza o in atto…”jlb
Lippa, grazie per il chiarimento, ma evidentemente quello a cui parlavi è un orecchio da cui si sente male 🙂
Metodico. Non so, il problema non è solo sentirsi ‘scrittori’ il problema è sentirsi produttori di qalcosa che merita la pubblicazione, la vendita e, soprattutto, la Fama. Vado sul personale. Per fortuna sfogo (quando ne ho voglia e sempre più raramente) quel pò di creatività che mi resta su arti non scrittorie, e lo faccio solo ed esclusivamente perchè mi piace. A mio stesso giudizio non faccio cose ottime, ma le poche che mi sono state chieste in vendita le ho tenute. Se per pigrizia mi indirizzassi verso la scrittura, indipendentemente dal risultato, le mie cose resterebbero chiuse in un cassetto. Non posso più pagarmi un’analista per capire il perchè, ma diciamo che la cosa mi frega fin lì. Il lavoro mi assicura il pane e un pò di companatico, non vedo proprio perchè mi debba sbattere per una ‘carriera artistica’ perderei il gusto di fare quello che voglio e quando ne ho voglia.
besos
Spettatrice.
Se il fine del prodotto artistico fosse solo avere il merito della pubblicazione, perchè preoccuparsi del pubblico dei lettori?, del resto se la vena artistica è lo sfogo che sostituisce l’analista, allora si può continuare a fare ciò che si vuole senza altri problemi.
Invece, se ciò a cui si mira è la “Fama”, dunque l’eternità, credo si debba mettere in conto gli alti rischi che comporta, tra chi anche, futuri …ricorsi all’analista per le inevitabili frustrazioni.
Non ci si può sentire scrittori, se non siano gli altri a pensarlo e a dirlo, Spettatrice,
altrimenti si è ‘scriventi’.
Sono stato pubblicato e pure ‘apprezzato’, ma dico che molti, molti talenti sono finiti e finiranno nel limbo dei non nati. Questo in tutte le cose. Nell’arte, e nelle cose più fatue…ma oggi dovrebbe essere diverso. Dovrebbe, ma ho letto splendidi racconti o romanzi, in case editrici piccolissime e sconosciute, e mai nessuno ne ha parlato…
Leggere quello splendido romanzo di Robert Schnaider ‘Le voci del mondo’…di quello per fortuna hanno parlato. Feltrinelli, dieci anni fa, se non sbaglio…