Se non ci fosse Margherita Ferrari, per esempio, avrei scritto un post di ben altro tenore. Margherita Ferrari è una giovane donna: l’ho conosciuta nei tempi lontani dell’antologia dei blogger, lei era allora un’adolescente, era bravissima e lo è ancora. Da qualche tempo ha dato vita a un blog collettivo, Softrevolutionzine, che vi consiglio di aggiungere ai preferiti, dove oggi appare un post da leggere e rileggere: questo.
Perché, come accennavo ieri, i corsi, i ricorsi e soprattutto i contraccolpi si ripetono: magari con tempi più stretti rispetto ad anni lontani, vista l’abbondanza di comunicazione attuale, e vista l’abbondanza di comunicatori faciloni (che non necessariamente sono i non professionisti: anzi). Il contraccolpo è noto. Nella primavera-estate 2013 si porta la femminista censora, d’età matura e oltre, col culo caldo di chi ha un bell’impiego e/o un bel matrimonio, un poco annoiata, magari un filo drogata di valium, all passion spent, caviglie gonfie e tette scese, la quale passa il proprio tempo a detestare i maschi, le donne giovani, i corpi nudi e a invocare, dietro i propri multifocali firmati, censura e leggi liberticide.
Si porta bene, il modello: fa comodo un po’ a tutti, giornali di destra e giornali regionali in calo di lettori, aspiranti celebrities di ogni provenienza e settore (mi è capitato di leggere post di una giovanissima sulla necessità del maschilismo, post pieni di inesattezze cui l’autrice replicava inviperita: “è lessico giornalistico! Se lo fanno i giornali lo faccio anche io!”), politici e politiche, fondamentalisti e fondamentaliste della religione, e così via.
Se non avessi letto, dunque, il post di Margherita Ferrari, sarei sconfortata: perché ogni volta che si cerca di rifare il punto, e di smontare quelle e quelli che sostengono che i femminismi vogliono solo infilare mutandoni alle statue, e censurare (il concetto di “moltiplicare i modelli” sembra essere difficilissimo da digerire: eppure sembra fin banale), e invocare leggi contro Internet e contro la libertà personale, arriva una nuova ondata a cancellare tutto. Incluse le ondate amiche.
Ieri sera, quando già era stata diffusa la notizia del femminicidio di Palermo, mi sono imbattuta nella campagna “Nessuno tocchi Rosalia“: “Neanche con un fiore”, è scritto nell’immagine. E ancora una volta lo sconforto è aumentato: perché al di là delle sincere e ottime intenzioni siamo ancora là, a usare gli stessi simboli, il fiore in alternativa al pugno, il cavaliere che prevale sul bruto, ignorando che cavaliere e bruto sono due facce dello stesso stereotipo, e il tentativo che si va facendo è quello di smascherare gli stereotipi, magari continuando a farne uso, certo, ma sapendo quale materia si maneggia.
Sei anni fa si diceva questo: bisogna procedere su entrambe le strade, quella dell’immaginario e quella del sociale, perché scegliere una via e ignorare l’altra significa consegnarsi al fallimento. E dunque non risolvi le disparità sul lavoro, l’assenza di welfare, l’ipocrisia del maschile colto che mai ammetterà di sottovalutare una collega (ma lo fa, eccome) senza agire sull’immaginario, e nessuna legge, tanto meno repressiva, sortirà effetto se non moltiplichi quei famosi modelli, se non insisti, ogni volta, a ogni gesto, a ogni parola, cercando i distinguo (Attaccate Santanché per quel che dice, non per il silicone. “Come ti permetti? Siamo liberi”, ti viene risposto. Bravi, siete liberi. Si vede).
Allora, che si fa, eh? Si insiste, evitando come la peste le polemiche che servono ad altri come quelle a cui facevo cenno ieri. E si legge Margherita Ferrari: perché, accidenti, dà speranza.
Ti leggo dopo aver scoperto, grazie ad Alessandra Repetto, proprio Margherita Ferrari ed aver condiviso il suo post nel quale mi riconosco e ci riconosco, parola per parola. A parte l’età, perché mi pare di capire che Margherita sia giovane. Ricordo che quando scoppiò la polemica sull’esternazione di Battiato circa le “troie in parlamento”, furono molte le donne che condivisero, a dimostrazione di quanta ragione avesse il cantautore siciliano, un brutale collage di immagini che ritraevano Carfagna, Mussolini, Santanché e altre donne del PDL in pose e situazioni pecoreccie (spesso legate a carriere nel mondo dello spettacolo) e mi trovai a pensare che quella era la dimostrazione di quanto ancora ci fosse, e ci sia, da fare. Perché a me non interessa se Carfagna ha fatto un calendario osè. Non glielo contesto in quanto tale. Ho da ridire sulla sua appartenenza politica, semmai. E non mi interessa se la Santanché va in bici col tacco 12 e la gonna stretta, mi interessa, oggi, che esorti alla rivolta armata pro-Silvio. Giudicare un personaggio politico per il suo essere politico, non per il suo aspetto, per il suo look e per le foto che può aver fatto in passato. E’ così difficile da capire?
Si, Margherita ha scritto un bel post, e tu hai ulteriormente ben illustrato la situazione.
Io, come sempre, mi domando: che fare?
Secondo me il primo problema da risolvere è la solitudine di chi lotta. E’ estremamente difficile, occorre un carattere fortissimo, tenere una posizione e esprimere idee in contrasto con chi ci circonda quando si è “soli”. E’ vero che si ha il conforto sapere che ci sono persone che la pensano come noi, persone che si incontrano in rete e qualche volta nel reale. Ma non basta. Occorre una organizzazione sul territorio, strutture alle quali far riferimento, in poche parole: un partito o un movimento. Altrimenti non si riuscirà mai a creare un rapporto di forza favorevole, e non si riusciranno a recuperare i pensieri e le azioni di chi non è così forte e si lascia intimidire, prendere dallo sconforto, o semplicemente “non conosce”. Io non credo sia possibile cambiare la società, porre in essere una rivoluzione, solo con la forza del pensiero. Credo che la parola sia necessaria ma non sufficiente, sia fondante ma non decisiva. Ma come fare a creare un movimento solido e duraturo? Occorre un obbiettivo chiaro e forte, semplice e dirimente.
Ed è questo fine comune che è molto difficile da trovare, ma che si può anche creare, scovare, grazie alla parola, al lavoro intellettuale:
La Pankhurst non dovette cercare molto quando fondò il WSPU, aveva un fine formidabile: il conseguimento del diritto di voto.
Oggi le cose sono più complesse, a volte sfumate, e l’agiatezza portata dalla tecnologia e dal consumismo complica ulteriormente le cose.
Qui mi fermo, sono solo un buon esecutore e non un creatore, con la speranza che qualcuna/o riesca in futuro a creare una “forza” che possa condurre una efficace azione politica.
Pensa te, mi ci sono riconosciuto pure io in quello che scrive Margherita.
Valberici, ne parlavo più di un anno fa, a Livorno, in un incontro pubblico al Feminist Blog Camp, della “solitudine degli antisessisti”. Il problema è: cos’è una “efficace azione politica”? Ho visto con i miei occhi che convincere tanti ad andare in piazza è facile – pensa al famoso “13 febbraio”. Ma i risultati durano pochissimo. Convinci uno per volta i tuoi “vicini” – scrivendo, parlando, traducendo, incontrando, diffondendo – è più difficile, ma poi quella persona diventa il cambiamento culturale che vai cercando. Oggi uno, domani un altro. E via così.
Dàje Valbè.
Leggo anch’io Margherita dai tempi di Underbreath e mi piace Soft revolution mentre, come sai, mi trovo a disagio col femminismo più tradizionale. Qui probabilmente la differenza generazionale conta e ho spesso pensato che sarebbe bello se le femministe di vecchia data (portatrici di un’esperienza diversa) se ne accorgessero come hai fatto tu e ci ragionassero su!
Ilaria, il punto è semplice: i femminismi sono tanti. E se gli obiettivi sul superamento delle disparità sono comuni, le opinioni si diversificano. Anche i femminismi “di vecchia data” erano non omogenei. E’ interessante – e grave – che ne sia passata una sola versione. Quella di cui ho parlato nel post, che non è veritiera. Quanto a me, non me ne sono accorta oggi: è dal 2007 che dico, spesso vanamente, le stesse cose. Per quello, spesso, sono preda di sconforto: perché mi vengono attribuite posizioni che non mi appartengono. E’ più facile rapportarsi con uno stereotipo vivente che con una persona, me ne rendo conto: ma quella persona, prima o poi, si stufa 🙂
Non posso che complimentarmi comunque anche se non fossi d’accordo su tutto. Troppo spesso dimentichiamo la libertà di pensiero è questo è un esempio… L’ipocrisia silente ci guida al qualunquismo ci vogliono messaggi forti sinceri e sopratutto veri altrimenti non si uscirà mai da una condizione femminile di subalternità
found in translation
http://www.youtube.com/watch?v=vS9DXW4qcmQ
IMboh Loredana. I femminismi sono tanti quando scrivono. Allora si pulviscoralizzano in forme diverse. Ma io ho la sensazione che quando si aggregano in forme di azione concrete un certo stilema italiano più arcaico tende a prevalere, questa è stata quanto meno la mia esperienza di tutto quest’anno, nel mondo delle pratiche femministe. E devo dire, è vero che sono tanti, ma certi più vecchi, io credo in parallelo con una crisi della produzione delle idee che affligge tutta la politica e la cultura, tendono a prevalere anche sulla bocca di molte giovani.
Dopo molto pensare, almeno io mi sono detta: io ho un pensiero femminista, interagisco con il pensiero femminista, ma si anche io alla fine – nelle forme attuali – sto molto scomoda nell’organico ecco.
Tutte siamo scomode nell’organico, evidentemente. Le dinamiche sono molto più complesse, però, di organico e disorganico. Entrano miliardi di sfumature, dall’ambizione personale al desiderio di riconoscimento a quello di disconoscimento. Personalmente, non mi interessa il “potere”. Mi interessano gli obiettivi. E sono molto d’accordo con Valberici quando parla di solitudine.
Sradicare l’immaginario cancellare la realtà. indignarsi per l’associazione tra la donna e il fiore, il fiore delicato, come la maternità. Vale la pena fingersi eruditi e ricordare come questo accostamento tra la donna e i fiori sia già stato considerato triviale, ma eterno e inattaccabile. Da questo famoso autore vengono riportati brani del Cantico dei cantici, il Nibelunglied, da l’ Ariosto, Shakspeare, Swinburne, di Stevenson la citazione più bella “ Un animale del colore dei fiori”
Secondo me non basteranno i post della Lipperini e i commenti di Barbieri a modificare queste eternità, ma non si finisce mai d’imparare quello che si sapeva, che confondere la donna con la femminista è ancora peggiore trivialità
Ciao,k.
Sempre graditi i fiori, gentile e cortese K. Quando non sono l’alternativa ai pugni.
Vogliamo ANCHE (ma non solo) le rose, non a caso 😉
http://www.youtube.com/watch?v=BykxkrmLuws
Ma al flash mob “nessuno tocchi Rosalia” i fiori non erano un simbolo di delicatezza. Non erano un’alternativa ai pugni. Al contrario erano un simbolo di rabbia e cordoglio che i partecipanti hanno deposto su un cimitero ideale composto da 124 sagome segnate a gesso sulla piazza centrale di Palermo.
Ci dispiace molto che abbiate avuto informazioni sbagliate. Oppure, semplicemente, si è dato per scontato che gli stereotipi non si possono cambiare?
Riporto di seguito il testo di uno degli articoli sulla manifestazione, così, magari, se parliamo di qualcosa, prima ne siamo un minimo informati.
Giornale di Sicilia:
“Palermo – servizio di Rossella Puccio – L’omicidio della 26enne palermitana consumatosi qualche giorno fa per mano dell’ex convivente è stato un motivo in più per scendere in piazza al grido di ‘Nessuno tocchi Rosalia’, con l’obiettivo di mantenere alta l’attenzione di istituzioni e cittadinanza sul femminicidio, ma soprattutto per dire basta a ogni forma di discriminazione e violenza verso le donne. Sono stati in tantissimi ad aderire a questa campagna svoltasi con il flash mob dal titolo ‘Neanche con un fiore: Palermo contro la violenza verso le donne. Nessuno tocchi Rosalia’: l’invito era di recarsi a Piazza Castelnuovo con un fiore in memoria delle donne vittime di femminicidio. Organizzato dal Coordinamento antiviolenza 21 luglio, l’Associazione Le Onde Onlus, il Coordinamento Palermo Pride, ha ottenuto l’adesione di diversi esponenti politici e anche di Serena Dandini, che quest’anno debuttò proprio a Palermo con il suo spettacolo-denuncia, ‘Ferite a morte’, incentrato su storie di donne ‘violate’ e uccise. E il fiore è il simbolo di questa iniziativa, pensata in occasione del 389°Festino della Santuzza (santa Rosalia), così come le 124 sagome in gesso disegnate per terra a piazza Castelnuovo, l’una nella mano dell’altra come una lunga catena di memoria e rabbia, perché 124 sono state le donne uccise nel 2012 dalla violenza maschile. L’installazione rimarrà ancora nei giorni a seguire e chiunque volesse aderire potrà portare un fiore da mettere su una sagoma. L’evento è stato preceduto nei giorni precedenti da una ‘call for action’ attraverso l’utilizzo di badge virtuali sui profili Facebook e Twitter e l’hashtag #nessunotocchirosalia . Una marcia silenziosa e colorata accompagnata dalle note in filodiffusione provenienti dal Teatro Politeama Garibaldi, un binomio emozionante che ha portato in piazza un’altra storia difficile, quella dell’agonia culturale della nostra terra: i musicisti dell’Orchestra Sinfonica Siciliana hanno aderito al flash mob eseguendo al calare del sole, in una piazza gremita di solidarietà e sguardi attenti, il Bolero di Ravel. Tra i presenti anche l’assessore al Turismo, Michela Stancheris. Il prossimo appuntamento fissato dal Coordinamento è per il 21 luglio con un flash mob sulla spiaggia per ricordare la triste ed efferata vicenda di Maria Anastasi, uccisa e data alle fiamme dal marito di cui era incinta per la quarta volta; fatto che portò alla costituzione del Coordinamento 21 luglio.”
L’intento era proprio sovvertire lo stereotipo. La gente è venuta in piazza con un fiore in mano pensando che il fiore servisse a simboleggiare non violenza e delicatezza e si è ritrovata, suo malgrado, in un cimitero a formare una file silenziosa e rispettosa a deporre quel fiore su una bara.
Le 128 sagome tracciate a terra rendevano, in un colpo d’occhio, la cruda realtà di 128 morte ammazzate. Molta gente piangeva, tutti stavano in rispettoso silenzio. Io credo che molti abbiano realizzato quello che con le parole è difficile spiegare. E cioè che queste morti riguardano tutti.