DI FILM E DI TACCHI

A proposito, ancora una volta, di immaginario e di generazioni e di modelli. Su questo punto, su L’Unità di oggi, appare un articolo in risposta a quello di Francesca Rigotti, firmato da Anna Paola Concia, Eliana Frosali, Zauberei e la sottoscritta. Lo trovate qui.
Segnalo il post di Lorella Zanardo, che torna  sulle divisioni fra donne e sugli stereotipi sciattone versus taccomunite. L’intervento è accompagnato dal trailer di un film, che Lorella ha amato e che anche per me è stato il film del cuore, per più di un motivo. E’ Julia, di Fred Zinnemann.
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Julia mi è caro non solo perchè racconta l’amicizia fra due donne diverse ed entrambe meravigliose. Ma perchè mi ricorda anche una vicenda personale. Mi ricorda un’amica carissima dell’adolescenza, un’amica  che ho perso, Graziella (sì, questa Graziella). Un’amica con cui ho condiviso gli anni che vanno dalla fine delle medie alla maturità e ai primi passi nel mondo adulto. Poi, le nostre strade si sono divise, e la sua è terminata tragicamente, misteriosamente e troppo presto.
Eravamo diversissime, Graziella e io. All’epoca giravo in jeans e maglione e lei andava alle riunioni del movimento delle donne in reggiseno a balconcino (questo, per chi sostiene che il femminismo degli anni Settanta fossebigotto e baffuto). Abbiamo discusso, e anche litigato ferocemente, per anni e anni: ma ci volevamo bene, e molto. Da lei ho assai imparato, e spero che lei abbia imparato da me. La diversità, nei gusti e nelle scelte, era una ricchezza, non un motivo di divisione.
Però, a proposito di immaginario e di film, bisogna tener conto di quanto i modelli siano cambiati, nel giro di soli dieci anni. Julia era del 1977. Undici anni dopo, il film di riferimento era Una donna in carriera. Sigourney contro Melanie. Ricordate? Facciamoci i conti, perché i dettagli, com’è noto, non sono mai innocenti: poi, con i tacchi o con i mocassini, ripartiamo.
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23 pensieri su “DI FILM E DI TACCHI

  1. bello.
    a me Julia la fece vedere mia madre, e mi piacque molto, da ragazza.
    anche io avevo (e per fortuna ho ancora) un’amica con la quale condividevo una certa visione del mondo e sulla quale discutevo di donne tacchi e sottanine.
    nel mio caso era una situazione diametralmente opposta: l’adolescenza e la relazione con la chiesa e “le ragazze serie”.
    lei sosteneva che “una ragazza seria” aveva la maglia a collo alto, la gonna lunga e trucco sobrio.
    a me piaceva avere la gonna corta e le calze verdi, le scarpe alte e il rossetto.
    ci vogliamo ancora molto bene e ogni volta che ci vediamo si sorride e si parla di “ragazze serie”.
    un bacio grande ilaria!

  2. Oddio, Julia… che commozione, anch’io ho molto amato quel film. Ma vogliamo parlare, invece, delle pettinature e delle spalline di Una donna in carriera? Il primo che mi dice di avere nostalgia degli anni ’80 lo impicco!

  3. Ma insomma, signore mie, avete scritto a Francesca Rigotti per parlare dei vostri sacrosanti principi. Mi piacerebbe domandare: a chi parlavate? A lei o a voi? Chi era la Rigotti se non una giornalista che diligentemente interpetava il mestiere per cui è pagata e quindi usava la retorica più efficace a proprio sindacabile giudizio per portare acqua alla sua causa demolendo quella altrui.
    Siamo tutti certi che la Rigotti la pensi come voi – chi ne dubita? Solo che Rigotti magari riteneva che in questo contesto fosse utile sfottere la donna dell’altrui partito usando consapevolmente stereotipi per favorire in futuro le donne del proprio clan. Questione di opinabile strategia.
    Riflettiamoci un attimo.
    Voi ritenete che il potere delle donne seguirà solo dalla libertà totale dai vari frames che di volta in volta la cristallizzano nell’istantanea
    infedele di un’univoca prospettiva. Altre ritengono invece che quel potere
    verrà ottenuto dall’uso spregiudicato di ogni frames declinato di volta in volta in funzione di un obbiettivo contingente. Voi volete vincere con la strategia, altre con la tattica. La vostra vittoria si basa su una pedagogia della donna che rischia di invecchiare l’alunna prima che sia pronta per la maturità. Calcolo rischioso che sogna il successo della consapevolezza ed è persuaso ottimisticamente che una donna definisca se stessa in relazione agli altri sessi e non invece in opposizione a altre donne
    La vittoria altrui è meno esigente e sa che in classe ci sarà sempre l’alunna virtuosa e quella di lei invidiosa. Obiettivo meno esigente che lavora per il successo della contingenza e quindi conosce la forza dell’incoerenza nell’usare oggi un argomento come offesa e domani come difesa.
    Chi vincerà?

  4. Non so chi vincerà. Posso però dirti, Hommequirit, che tu ci creda o meno, che non c’è nulla di pedagogico o di strategico in quell’intervento: c’è insofferenza, c’è stanchezza nel vedere la molteplicità ridotta a un paio di modelli semplici quanti annosi. E non c’è, almeno da parte mia, alcun desiderio di dare “potere” alle donne: semmai, di darci libertà e diritti. Sono cresciuta alla scuola che credeva e crede che non esistano poteri buoni. E che, a forza di dirlo, non pedagogicamente, qualche risultato si possa ottenere.
    Ps. Francesca Rigotti non è una giornalista, bensì una filosofa, il cui intervento è stato ospitato da L’Unità allo stesso modo in cui è stato ospitato il nostro.

  5. @Lipperini
    Posso anche concordare. Ma la scuola che credeva e crede che non esistano poteri buoni ha fatto crescere le orecchie d’asino ai suoi studenti, educandoli alla beata felicità della pars destruens e alla purezza della propria inconsistenza. Una scuola che licenzia eremiti che poi quando vanno in città si perdono per strada.
    Anche perché non c’è bisogno di Foucault per scoprire che chi è persuaso che non esistano poteri buoni sta parlando dalla posizione di chi il potere non l’ha, non lo cerca e quindi non l’avrà probabilmente mai.
    Se preferisce accontentarsi di sognare il paradiso…
    Ps.
    Giusto, Rigotti è una filosofa ma quando scrive in un articolo di giornale va interpretata alla luce delle ragioni per le quali quel giornale le conceda quello spazio.

  6. A me questa cosa che la scuola italiana – per colpa dei mitici “sessantottini” – è incapace di formare, etc. m’è sempre parsa una minchiata epocale. Qualcuno mi deve spiegare allora perché appena uno dei nostri ragazzi (ne conosco personalmente molti) se ne va all’estero lo accolgono a braccia aperte e gli danno borse di studio, lavori ben pagati, ruoli di responsabilità, etc.
    Non sarà, forse, perché il nostro sistema scolastico pubblico (con tutti i limiti delle risorse sempre più scarse) forma assai bene?

  7. Sognare il successo della consapevolezza? Un momento. Avete presente lo switch off della Tv? Ecco, prima vedi in un certo modo, poi non puoi più – qualunque cosa tu faccia – vedere come prima. Devi risintonizzarti, cambiare apparecchio, stop.
    Se si parla di modelli, immaginario, lavoro, qualunque cosa, questioni di genere, noi siamo incredibilmente, assurdamente indietro. E’ arretratezza, e che fa pure parecchi danni.
    @gianni biondillo, anche le donne che vanno all’estero forse si trovano meglio :-/ … quei ragazzi, non è che vanno su Marte, no? E nemmeno in paradiso. Vanno a lavorare, cioè a misurarsi con dei problemi, quelli del loro lavoro. Forse in luoghi dove è già avvenuto, nel lavoro (e non solo) uno ‘switch off’…

  8. Gianni, certo. E’ che mi rendo conto che parole usate qui come ‘donna’, ‘lavoro’, ‘bambini’ e direi tanto altro, sono le stesse parole usate lì, all’estero (in un altrove che esiste). Ma ormai hanno un significato diverso. Le donne hanno ancora problemi, dappertutto, ma spesso non sono più i problemi che (ancora) ci sono qui.

  9. Premesso che sono del tutto d’accordo con la sostanza dell’ intervento sull’Unità, mi fa cadere le braccia ( a me, persona di sinistra e simpatizzante del movimeno femiinile, del “Se non Ora Quando”, etc”) che si battibecchi su queste cose – tra persone che condividono certamente le stesse idee, magari le esprimono diversamente – quando abbiamo (o abbiamo avutop) un presidenrte del consiglio che non lesina occasioneper insultare le donne, i gay etc. Quello doveva essere l’unico ns.obiettivo da 20 anni invece stiamo a discutere di chi mette in primo pianoi i tacchi e chi n..poi ma mi sarei risparmiata una certa”autocompiacenza” sulle scaroette nervoise, lo chignon etc..si vede che c’e’ gusto di stupire, autoreferenzialita’, voglia di essere “piu’ a sinistra” di chi è gia’ì a sinistra etc..Uno dei motivi principali per cui (una certa) sinistra..tipo Bertoinotti etc ha consegnato l’Italia berlusconi. Snobismo, lo stesso che spesso mi fa cambiare canale quando ascoltoFarenheit e Radiotre (ieri è arrivata li’ pure la critica “di sinistra” a Roberto Saviano, fuguriamoci)..sempre con gran simpatia e stima per Loredana, la numero uno (a lampi)

  10. “…per scoprire che chi è persuaso che non esistano poteri buoni sta parlando dalla posizione di chi il potere non l’ha.”
    posso interporre un’obiezione? Lei confonde potere con coercizione.
    Se la se contenta, ghe dirò che anche sti altri qui che dise che no esiste “poteri buoni” se sbaglia e de grosso.
    E credo non sia bastante specchiarsi negli altri per capire della misura del proprio potere, ma serve proprio cercarla con costanza in sé e, non facendo come la maggior parte dei maschi che sappiamo bene come lo commisura, metterlo alla prova dei propri sbagli.
    Ma, ed è qui secondo me lo sbaglio per eccellenza, la via è segnata da chi non sbaglia mai e quand’anche fosse ha il POTERE di farsene beffe…
    e questo è in sintesi il potere di cui ella parla.
    Non è esso coercizione, esso è?

  11. @nickdrago: quando due politiche parlano si vorrebbe sapere cosa dicono e non solo come son vestite, anche se sono donne. E’ snob dirlo? A me sembra invece parte integrante delle “lotte comuni”, se ti riferisci a quelle volte migliorare la condizione femminile in Italia.

  12. Perdonate se copio-incollo una cosa già scritta, ma se ogni volta che qualcuno ripete la solita stronzata sulla scuola italiana dovessi inventarmi qualcosa di nuovo avrei i calli ai polpastrelli.
    «Andiamo a verificarla, questa scuola che prima del 1968 funzionava così bene. Abbiamo uno strumento che può darci qualche risposta, uno strumento imprescindibile per chi voglia occuparsi con cognizione di causa della scuola: la ricerca sulle competenze alfabetiche degli italiani che, a cavallo tra secondo e terzo millennio, ha fotografato una situazione preoccupante: circa un terzo degli italiani ha competenze alfabetiche modeste, al limite dell’analfabetismo. Stiamo parlando della capacità di comprendere un articolo di giornale, di trovare l’informazione nel tabellone degli orari ferroviari, di compilare un bollettino di conto corrente. Per contro, poco meno del 10% degli italiani è in possesso di un patrimonio di competenze linguistiche e di un numero di vocaboli conosciuti medio-alti. Ebbene, se prendiamo il 1968 come discrimine, scopriamo che tra gli italiani che hanno terminato gli studi prima del ’68 la percentuale di soggetti ai limiti dell’analfabetismo, riferito alla comprensione dei testi in prosa sale al 63%, mentre quella che si colloca nelle fasce medio-alte è di appena l’1.9%. La scuola pre-Sessantotto, quella tanto cara a Gelmini, a Tremonti, a Mastrocola; quella dell’esame in quinta elementare, dei voti numerici, dei contenuti e della memorizzazione generava una società analfabeta. Ma a parlare della scuola, a suonarsela e a cantarsela tra loro, erano – e in buona parte sono – sempre gli stessi: quel 2% di istruiti che avevano superato una selezione neanche darwiniana, ma malthusiana». Nel dettaglio: «Rispetto alla comprensione di grafici e operazioni matematiche, le percentuali sono rispettivamente del 61% e del 52.3% nella fascia dell’analfabetismo, dell’1.5% e del 4.8% nella fascia di eccellenza. Al contrario, tra gli scolarizzati dopo la metà degli anni Settanta la prima fascia varia tra il 21.9-15.4% (27.2-18.2%, 23.5-19% nella lettura di grafici e operazioni matematiche), e la fascia medio-alta tra il 11.4-14.6% (8.4-9.6%, 10.9-11.4% nelle altre competenze)».

  13. Ot, ma non tanto. Qui da Umbria Libri…attenzione che non è solo questione di tacchi a stiletto, mocassini o rossetto. Un libro può essere molto peggio: stampe del ‘700 mostravano le donnine poco rispettabili sempre con il segno distintivo di un libro accanto!

  14. Vi ho immaginato sedute a quel tavolo, dove l’Unità era aperto a quella pagina, e vi ho sentito rifiutare l’idea di indossare una precipua divisa per dare maggiore forza alle proprie idee. E ho pensato che, in fondo, la libertà delle donne in un mondo nuovo è proprio sotto quel tavolo, ove quattro diversi tipi di scarpe riescono a camminare per la stessa strada.

  15. @maddalena Bellissimo il tuo commento! Le divise mi ricordano il film “L’onda”, tra l’altro, e ci sono molto allergica.
    @Rita Charbonnier Già, la rabbia in questo momento è forse l’unica cosa in crescita e che non riescono a portarci via. La connoterei positivamente come grinta, però.

  16. @ nickdrago e hommequirit:
    parlo per me, non so gli altri come la pensino, anche se credo di interpretare, nel mio pensiero, anche quello di Lorella Zanardo.
    Tra le tante lotte che desideriamo combattere, la più importante non è quella che caccia berlusconi! La lotta più importante, in questo momento, è quella sulla questione femminile, sui modelli, sui frames.
    Non ha senso non intervenire contro l’articolo della Rigotti, accettare la photogallery di Repubblica, ignorare il manifesto del pd con la gonnellina svolazzante, non notare il ruolo ancillare dedicato alle donne da Santoro, solo perché sono nostri alleati nella lotta contro Berlusconi! La lotta che porrà un “compagno sessista” al potere non è la mia lotta.
    Non è snobismo di sinistra. È semplicemente dare la priorità ad un altro obbiettivo.

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