DITE AMICI, ED ENTRATE

Fra le cose che danno dolore – molte – della situazione attuale è che gli amici si dividono, in moltissimi casi. Naturalmente non smettono di volersi bene, anche se l’idea di affetto sembra, al momento, trasognata, non definibile: affetto è abbracciarsi, per le persone molto fisiche come me, sfiorare i capelli, stringere mani, e naturalmente fare tutto quello che in una vita intera abbiamo fatto, senza poter pensare che avremmo smesso di farlo. Anche nei miei periodi di isolamento già narrati (due volte in ospedale, a lungo, un’altra, più recente, in convalescenza dopo un’operazione) non ho mai smesso di vedere amici, accarezzarli, baciarli, lasciare che si sedessero sul mio letto, o sul divano accanto, per chiacchierare senza misurare distanze, e senza mascherine, e senza guanti, e senza restrizioni di sorta.
La divisione di cui parlo è, intanto, nell’atteggiamento nei confronti di quanto stiamo vivendo: noto, giorno dopo giorno, un’incrinatura che si allarga. C’è chi vive la chiusura come un abuso, e non vede l’ora di uscire, e c’è chi, sia pur con i dubbi politici e biopolitici sul tema, pensa che uscire sia ancora molto, molto imprudente. Mi colloco, genericamente,  a metà, ma più vicina alla seconda categoria per un semplice motivo: mi sembra che nessuno abbia certezze né sulla natura del virus, né sui dati reali di contagiati e morti. Potrebbero essere molti di meno, dicono i miei amici, potrebbero essere molti di più, dicono altri amici.
Dico genericamente perché rifiuto la divisione, provo a ostinarmi a stare nel mezzo, a non tracciare confini di separazione che dureranno anche nel dopo, ovunque sia il benedetto dopo, a, come detto altre volte, guardare, prendere nota, mettere da parte, pensare o almeno provare a farlo. Ma non è affatto semplice: molti amici sono severi, non amano la via mediana, si stupiscono, in molti casi, se tu, proprio tu, non riesci a capire. Ebbene no, non capisco. Non so dove siamo, non credo che riusciremo a capirlo ancora per un po’. E’ pur vero che non ho figli piccoli, non sono messa all’angolo (non del tutto, almeno) dalla totale perdita di lavoro (parziale sì, ma stringo i denti, mendico lavoretti, mi arrampico sui muri, poi piango, poi smetto, poi ricomincio, e così via), dall’età. Io sono nella famigerata età a rischio, molti dei miei amici no: ma non è per egoismo generazionale che esito a collocarmi dall’una o l’altra parte. E’ che non so se davvero dovrebbero esserci due parti, in fin dei conti.
Gandalf direbbe che “è ora che gli amici si riuniscano per difendersi contro la distruzione”. Non sono sicura che stia avvenendo, non sempre, non ovunque. E non parlo, ovviamente, delle altre punture di spillo, che male comunque fanno: delle piccole incrinature, delle invidie che si muovono sott’acqua o cavalcano le onde, dei piccoli e grandi voltafaccia che sono normali anche in tempi anormali. Immaginavamo che la natura umana divenisse chiara e limpida e coraggiosa nel momento del pericolo, ma la storia ci si insegna che non è mai stato così, e sciocchini noi che continuiamo a sognare utopie (sciocchina io, via, non generalizziamo).
Dunque? Dunque si aspetta. Sto ferma e insieme lascio che i pensieri camminino per me.  E che si inseriscano nella scia dei sogni e delle visioni. Qualunque cosa accada, quelli ci restano, quelli ci confortano. Come l’idea che possa esistere un drago, da qualche parte.
“Un drago non è una fantasia oziosa. Quali che possano essere le sue origini, nella realtà o nell’invenzione, nella leggenda il drago è una potente creazione dell’immaginazione umana, ricca di significato più che il suo tumulo sia ricco d’oro”. J. R. R. Tolkien.

2 pensieri su “DITE AMICI, ED ENTRATE

  1. Come ti capisco, Loredana.
    Il mio stare nel mezzo -sempre strattonato dai due estremi, beninteso- è però una resistenza (attiva?) a un ignoto che non ha nulla di attraente, affatto. E allora cammino imbilico sulla faglia sperando che la prossima “botta grossa” non mi colga proprio dalla parte che collasserà.
    Sì, perché anche questa roba qua è un terremoto: per ora interiore; poi, quando usciremo, anche fisico, materiale, concreto.
    Ho paura, semplicemente.

  2. E’ vero che rispetto a questa pandemia abbiamo tutti delle reazioni più che altro emotive, però alcuni dati oggettivi ci sono, e può essere utile rappresentarseli. ( e mi piacerebbe sentire qualche opinione altrui.)
    1-Inanzitutto l’età media dei deceduti che è di 80 ottanta anni. Per le donne di 85. Ripeto L’età media dei deceduti da corona virus è di 80 anni, 79 gli uomini 85 per le donne .
    Ricordiamo che l’aspettativa di vita media in italia è di circa 83 anni.
    2—Il numero dei morti complessivo per corona virus in italia è di trentamila. MI permetto un raffronto. Nel 2015 ci fu in italia un incremento generale dei deceduti di quasi 60.000 (sessantamila) morti.
    3—La percentuale di decessi sul numero dei contagiati è piuttosto bassa, in pratica uno su cento ma secondo molti probabilmente anche meno. ( non si può conoscere il numero reale dei contagiati asintomatici etc.)
    Insomma ( qui esprimo un parere personale) sebbene la parola pandemia ci porti direttamente a pensare a città devastate carretti pieni di cadaveri puzzolenti che ciondolano, bubboni grossi come albicocche pieni di pus, etc. per fortuna per ora siamo plùtot lontani da quelle catastrofi.
    Diciamo pure che se il covid 19 fosse arrivato negli anni 80, non se ne sarebbe nimmeno accorto nessuno visto che allora l’età media era sui 75 anni.
    Ma attenzione con questo non intendo minimizzare ne dire che le misure restrittive prese dalle varie istituzioni siano esagerate o strampalate. anzi. Non facciamoci prendere dal panico
    ciao,k.

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